Linda era bellissima: lunghi capelli rossi, carni bianche, come una suora che non aveva mai visto il sole, lentiggini e occhi verdi, piccoli e intensi, come punte di coltello lanciate verso l’infinito. Sembrava una musa preraffaelita. Ma lei voleva fare la liutaia, non posare per un pittore. La scuola cremonese di liuteria le aveva proposto un viaggio estivo di specializzazione ad Angers, in Francia, dove c’è un distretto interessante di arti liutaie. Era ospite in un convitto, un po’ spartano, situato all’interno dell’Université Catholique, che condivideva con giovani di tutto il mondo. Era partita di buon grado, anche perché è francofona, madrelingua francese. La mamma è di Bruxelles, il padre era cremonese. Giocava in casa. L’incontro con il professor Ducruet fu professionalmente folgorante. Era un uomo che aveva scavallato i sessanta, dinoccolato, barba curatissima e capelli bianchi lucidissimi, camicia di lino bianca con maniche rimboccate ai gomiti e calzoni beige. Assomigliava all’attore Vincent Cassell, aveva fascino da vendere e ci sapeva fare. Era il professore capace di trasferire una patina erotica sulla materia di studio. Lui faceva innamorare. In una società senza padri e senza maestri, lui sapeva far esistere mondi nuovi, sapeva fare del sapere un oggetto del desiderio in grado di allargare gli orizzonti della vita. Un violino non era un semplice prodotto creativo e artigianale, ma un oggetto d’amare, Linda si perdeva mentre lui toccava il legno e lo accarezzava, con dita lunghe, magre, nodose, spiegando l’importanza di seguire un senso delle venature, perché il legno è vivo, si plasma come argilla, poi ancora quando spiegava le vernici, le lacche, le colle, erano come coadiuvanti di una relazione amorosa antica, che richiedeva memoria, rispetto, amore e dedizione.
Un giorno Ducruet la invitò a casa sua: voleva mostrarle il suo atelier. Viveva in una piccola casa singola su due piani, tutta vetri, con un magnifico bowindow nella salle à manger. Era immersa in un giardino minuscolo soffocato di fiori e piante. Anche il suo studio era minuscolo. Due violini erano appesi ad asciugare fra le rose del patio. Fece la sua apparizione per portare il tè una signora con i capelli grigi corti, il naso all’insù, conservava della giovinezza le forme garbate, era mignonne, ma l’età le aveva appesantito un po’ i fianchi, e le unghie avevano bisogno in fretta di una french manicure. Forse era la moglie. Posò il tè su un tavolino bianco rotondo con lingue di gatto di pasticceria e sparì. Con Ducruet avevano parlato del più e del meno e Linda decise di intervistarlo. Una decisione presa al momento, per dare un senso a quell’incontro e levarsi dall’imbarazzo. Conosceva il Direttore del giornale locale della sua città. Avrebbe dato il pezzo che raccontava di un liutaio/professore ad Angers così gentile ed affabile con gli studenti stranieri. Era a disagio. Non era né consapevole, né padrona dell’attrazione che era in grado di esercitare. Era in atto con il Ducruet una sorta di sortilegio amoroso, che lei respingeva. L’artigiano di Angers le piaceva molto, ma lei voleva solo fare la liutaia. Un’aspirazione complessa in una città, Cremona, con 157 botteghe liutaie, quasi tutte a trazione maschile. Non voleva scorciatoie e non voleva innamorarsi a 19 anni di un vecchio professore francese. Per quanto ne fosse assolutamente sedotta.
Fra le astuzie didattiche di Ducruet vi era il sottofondo musicale alla lezione. Un cd aveva colpito Linda: Claude Debussy e Maurice Ravel musica per violino e piano. Il professore, per omaggiare gli studenti italiani, aveva scelto una raccolta con Salvatore Accardo al violino e Laura Manzini al piano. Al Claire de Lune, Linda sopraffatta dall’emozione, mentre il professore levigava la tavola armonica in abete del violino e modellava i riccioli, con le sue mani sapienti, cominciò a sudare. Era settembre ad Angers e la città era invasa da colori caldi, aranciati, gialli, rossi. Linda si sentiva stordita, erano come gli effluvi del Grand Marnier, la bevanda alcolica a base di scorze d’arancia dolci e amare, creata ad Angers dai fratelli Cointreau.
La sera prima della partenza gli studenti decisero di organizzare una bevuta al convitto riunendo tutti per un saluto finale. Invitarono anche il professore che aveva saputo parlare al loro cuore. Erano tutti pazzi di Ducruet. Si sedettero in cerchio davanti alla macchinetta erogatrice di bevande, qualcuno seduto sui gradini della scala e parlarono a lungo. Il francese non era più un problema, erano tutti fluidi, sereni, giovani. Giovani, ecco, soprattutto giovani. Fra risate e battute, il professore si avvicinò a Linda e da dietro le fece dei massaggi affettuosi sul collo. Linda si irrigidì. Non si spiegava il motivo delle sue reazioni. Non voleva intralci rispetto ai suoi obiettivi. Non voleva essere corteggiata. Non voleva creare illusioni. Del resto, lei, non aveva fatto nulla per irretire Ducruet. Lei era così, incapace di capire la forza magnetica che sapeva esercitare. Si nascose nei suoi capelli rossi, prese congedo da tutti e si diresse verso la sua stanza. Superò in fretta il suo turbamento. Dormì sonni tranquilli.
La partenza fu straziante, il gruppo era affiatatissimo, scambi di indirizzi, numeri di telefono, promesse di rivedersi. Pianti, lacrime e abbracci. Linda tornò a Cremona più forte, entusiasta, aveva cominciato un violino e lo voleva finire al più presto, aveva viaggiato in aereo con il suo strumento abbozzato come bagaglio a mano, di tanto in tanto si sincerava che fosse al sicuro, ben sapendo che per realizzare artigianalmente questi preziosi oggetti servono mesi e servono una pazienza e una cura infinite.
Quindici giorni dopo, a casa, arrivò una lettera dalla Francia, era Ducruet, Charles, Charles Ducruet. Una lettera che sembrava figlia della Belle Époque. Per definirla in italiano: una roba dannunziana. Paragonava i suoi capelli rossi a quelli di Elisabeth Siddal di cui il pittore Dante Gabriel Rossetti era stato amante e maestro. Ducruet era colto, sapeva come manipolare le storie. Siddal aveva superato il suo mentore. Come lei poteva fare con lui, solo accettando una maggiore vicinanza. Paragonava i suoi denti a schiuma di mare, i fianchi a colline innevate, i capelli infuocati al ventre della terra e i suoi occhi ad antichi fari bretoni. Descriveva un amore stucchevole e zuccheroso. Complice forse anche la lingua francese che tutto dolcifica. Rimase delusa. Era l’umanità di un uomo che lei voleva immune da pensieri amorosi, deboli, fiacchi. Rimase nel suo cuore, il Maestro. Ma con un machete, con virulenza, con vigore quasi maschile ne respingeva la mollezza.
Arrivata alle battute finali della lettera, che le era apparsa sopra le righe, scoppiò in una fragorosa risata. Non rispose mai.
Linda oggi costruisce violini: leggerissime e delicate opere d’arte. Ducruet è un lontano, tenero ricordo.
Francesca Codazzi
10 risposte
Molto delicato. Forse qualche francesismo di troppo. Bella la descrizione di Linda ma ancor più bella quella del Maestro, un maschio che con le poche righe di una lettera sa distruggere la sua reputazione e l’immagine che Linda aveva costruito. Ah, i maschi! Brutta razza. Complimenti. Andrò a cercare altri suoi racconti.
Grazie! Mi piace il parere di un maschio. Eliminerò qualche francesismo. Sorriso.
A chi non è capitato un tentativo di seduzione da parte di qualcuno che ha in quel momento tutto il potere, il fascino per realizzarlo? Brava Linda che, nonostante una certa attrazione, aveva le idee ben chiare: seguire i propri obbiettivi paga quasi sempre di più! E brava Francesca che, come sempre, delinea con cura e sensibilità ritratti di varia umanità.
Hai fatto centro! Grazie
A me i francesismi sono piaciuti, aggiungono realismo al racconto, mi sono sentita in Francia!
Allora teniamoli. Un abbraccio
Semplicemente perfetto. La descrizione di Linda è una pioggia di petali di rosa tanto è suggestiva, di classe e contemporaneamente dolce e chiusa nel suo mondo. Il racconto ti tiene legato, fino alla fine. Per nulla scontata.
Sempre Francesca
A volte penso che i vostri commenti siano più belli dei racconti stessi. Grazie Guido
Bel racconto. Realistica fotografia di uno spaccato di vita di una tarda adolescente che ha le idee chiare….condizione sempre più rara. Camminare sul filo delle emozioni senza farsi sopraffare non è facile a quell’età.
La narrazione dei dettagli è molto bella.
Grazie Fra
Bel contributo! Grazie!