Francesco Alberoni ci ha lasciati la notte prima di Ferragosto, quasi l’eccezione nella norma per lui che era nato la notte prima di Capodanno. E infatti ogni anno, immancabile, arrivava il suo invito via SMS a casa sua a mezzogiorno per un brindisi: era troppo garbato per azzardarsi a disturbare i cenoni di Capodanno altrui, ma troppo affettuoso per non volere gli amici attorno nel giorno del suo compleanno nella sua grande casa di via Torino, esattamente di fronte a dove per anni aveva abitato un altro grandissimo milanese, Giorgio Strehler.
Gli stucchi veneziani azzurri, i divani chesterfield in pelle bianchissima, le enormi tende di pizzi fittissimi e i tantissimi vasi e tavoli di marmi coloratissimi erano un tuffo immediato in quella Milano da bere degli anni ’80, un po’ kitsch e un po’ lussuosa. Fu proprio in quella casa che ebbi la fortuna di conoscerlo, introdotto da Pino Farinotti che di Alberoni era fidatissimo consulente e grande amico. Appena entrato in quella casa mi sentii già sui divanetti del Maurizio Costanzo Show assieme al meglio del jet set televisivo di quegli anni pronto a dire la mia sulla qualunque. E non era solo un riverbero televisivo: lui, il Prof, assieme alla terza moglie Rosa, di quei salotti era stato protagonista assoluto e commentatore indiscusso della società italiana, e quella casa ne era lo specchio ineluttabile.
Lui che ai funerali di Gianni Versace era seduto di fianco a Naomi Campbell, a pieno titolo nel novero degli italiani più conosciuti nel bel mondo.
Lui che aveva costretto i cinesi e i giapponesi a inventare l’ideogramma della parola “innamoramento” che non esisteva ma che era inevitabile perché in oriente i suoi libri vendevano milioni di copie, con i cui diritti si era comprato la bellissima villa di Forte dei Marmi, l’altro suo rifugio periodico ma sempre per pochi giorni, perché non amava nessun luogo al mondo come Milano.
Lui che negli anni ’70 andò dall’amico Bassetti, il più grande “lenzuolaio” d’Italia a dirgli perché non faceva le coperte colorate. Risposta: “perché la biancheria si vende solo bianca”. Alberoni, il più grande sociologo d’Italia, prende la macchina e fa letteralmente il giro dell’Italia bussando casa per casa. Esito del sondaggio: alle casalinghe piacerebbero le lenzuola colorate. Bassetti gli dà retta ed il successo commerciale è miliardario.
Aveva il marketing nel sangue il Prof: una mattina va da Pietro Barilla (sì proprio quello della pasta) e gli dice: gli italiani sono stufi di far colazione a pane e latte e hanno fretta, ormai vanno al lavoro e a scuola tutti alla stessa ora. Vogliono far colazione in famiglia con biscotti e brioches già pronte ma sempre diverse. Nasce così Mulino Bianco, un’altra invenzione miliardaria.
Ma il Prof era stato molto di più: laureato in medicina, specializzazione in psichiatria, da studente modello diviene l’ultimo assistente del mitologico Padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica: voleva far politica e insistette che Gemelli lo introducesse nei gangli della DC ma il grande vecchio (infallibile) lo obbliga alla carriera universitaria e alla Sociologia, prevedendone la centralità nella società del dopoguerra. E arriva la terza laurea e la carriera accademica. A 39 anni è già Rettore dell’Università di Trento, proprio quella in cui nel suo biennio di reggenza nascono le Brigate Rosse. È arrivato il Sessantotto e Alberoni si trova proprio al centro dell’uragano.
Alla fine degli anni ’80 capisce che la Comunicazione diventerà virale e allora fonda l’università della comunicazione, lo IULM di cui sarà Rettore per quasi vent’anni.
E siccome non gli mancava proprio nulla, trovò anche il tempo di fare il presidente della RAI, benché non fosse di certo tra i suoi ricordi migliori, anzi guai a norminargliela.
Era un uomo fuori dal comune il Prof.: tra i primi a capire la potenza dei 5 Stelle fu il primo a prevederne la caduta dopo la morte di Casaleggio. Fu tra i primi a predire la irresistibile ascesa di Renzi e si candidò con Fratelli d’Italia appoggiando la Meloni e lasciando piuttosto perplessi noi amici: capolista alle europee non venne eletto ma ancora una volta aveva predetto (e indovinato) che Meloni sarebbe stata il nuovo leader del Centro Destra italiano.
Studiava ogni giorno, ma solo ciò che poteva essere importante per capire cosa sarebbe successo di lì a poco nel mondo: ricordo benissimo che anni fa in auto mi diceva che stava studiando tutto quello che poteva sulla Russia perché sarebbe stata centrale …e ancora una volta aveva ragione.
Ti mandava un sms con scritto “caro Francesco ho bisogno di parlarti, Franco”. Andavi da lui e invece ti ascoltava per anche due ore, facendoti domande su domande: rarissima umiltà per un uomo famoso? Anche, ma in realtà lui voleva capire cosa pensavano gli altri, perché solo capendo cosa pensavano gli altri capiva la società e la prevedeva.
Era altissimo, anche allungato sulla poltrona del suo salotto, con delle lunghissime mani affusolate come la erre moscia della sua originaria pronuncia piacentina: di un garbo eccezionale, ad ogni incontro ti dava un nuovo sguardo sulla realtà, un nuovo punto di vista, come se frequentarlo ti smuovesse delle nuove sinapsi nel cervello. Ma in fondo i maestri veri sono così: non ti insegnano nulla, è solo frequentandoli che impari ogni volta qualcosa quasi senza accorgertene.
E poi il dubbio sano, l’altra grande dote del vero intellettuale: tratte le conclusioni ragionate, convinto l’uditorio, quasi mai chiudeva un incontro senza insinuare divertito che forse si poteva anche aver sbagliato tutto il ragionamento.
Milano soprattutto, ma tutta l’Italia, perdono un uomo unico il cui giudizio mancherà gravemente, anche se i più nemmeno se ne accorgeranno, segno dei tempi (non buoni).
Ciao Prof, ci mancherai tantissimo.
Francesco Martelli
sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
docente di archivistica all’Università degli studi di Milano
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