Che le restrizioni del lockdown potessero determinare pesanti conseguenze sulla vita degli italiani non era certo un mistero per nessuno. In particolare, quando è impossibile uscire dall’abitazione se non per portare il cane a fare i bisogni o per fare una corsetta attorno all’isolato ed è praticamente precluso qualsiasi rapporto con il resto del mondo, non c’è dubbio che il numero dei rapporti sessuali che si possono consumare all’esterno del nucleo famigliare si riduca considerevolmente sino quasi ad annullarsi. Una situazione assai difficile e tormentata non solo per amanti e fidanzati non conviventi, ma anche per le/i protagoniste/i di amori mercenari i quali, seppure non del tutto interrotti, hanno forzatamente ridotto di molto la loro attività di servizio pubblico, senza peraltro godere di alcun ristoro o supporto economico governativo.
Il che potrebbe anche essere sopportabile per le/i dilettanti di tali pratiche e per chi fa il doppio lavoro (in nero), molto meno invece per le/i professionisti del settore, usciti pesantemente provati dal lockdown. Una situazione spiacevole ed un argomento da tener presente in previsione della prossima ondata pandemica.
Quello che invece non si poteva supporre era che si dovesse registrare una grande riduzione dell’attività sessuale anche all’interno delle mura domestiche, spettatrici di un notevole calo delle performance erotico/riproduttive di coppia e con una riduzione almeno del 25%-30% nel numero dei rapporti sessuali.
Lo racconta un importante studio italiano in pubblicazione sulla rivista scientifica Journal of Epidemiology, mettendo a fuoco una tendenza che speriamo limitata al tempo delle restrizioni e quindi superata ai giorni nostri.
Una delle ragioni del calo del numero delle normali pratiche coniugali è stata messa in relazione con il fatto che il lockdown ha visto un grande aumento dell’uso di sigarette (il fumo riduce la libido sia nel maschio che nella femmina) che, associato al crollo delle vendite di Viagra e prodotti similari, ha determinato un brusco arresto della normale attività sessuale. Certamente a questo calo hanno contribuito anche altri fattori: l’ansietà e la preoccupazione legate ad una situazione del tutto inedita; il fatto che i figli fossero sempre a casa; una condizione economica talora precaria e che privilegiava l’acquisto di Amuchina e mascherine FFP2 rispetto ai consueti anticoncezionali da supermercato.
In realtà lo studio in questione ci racconta una riduzione percentuale dei rapporti sessuali, senza però dire nulla sulla loro reale frequenza. Se però confrontiamo il nostro Paese con altre Nazioni occidentali (dagli USA alla Gran Bretagna alla Finlandia) potremmo ipotizzare che anche da noi in periodi normali, prima della pandemia, meno della metà delle coppie stabili dai 25 ai 44 anni riusciva ad avere almeno un unico rapporto sessuale alla settimana. Una riduzione del 30% di questa frequenza ci avvicina pericolosamente ad una periodicità quindicinale. E’ pur vero che anche questo traguardo rappresenta un’utopia per molte coppie in condizioni normali, però non tutto il mondo è Paese ed in altre situazioni il lockdown ha avuto conseguenze differenti. In Nepal, ad esempio, il numero di coppie che hanno almeno cinque rapporti sessuali alla settimana è passato, durante il lockdown, dal 6,7% al 10%. Probabilmente perché le coppie nepalesi si vogliono molto bene oppure perché, tra le montagne dell’Himalaya, il segnale di accesso ad internet non è sempre stabile. Tornando ai dati che descrivono la realtà italiana, emerge però un ulteriore elemento di riflessione: la riduzione dell’attività sessuale tra le mura domestiche ha riguardato molto di più i maschi rispetto alle femmine conviventi, sottolineando da un lato la solita condizione legata al gender gap ma determinando, dall’altra parte, enormi interrogativi che al momento non hanno ancora trovato una risposta soddisfacente. Tutto ciò comunque appare strano, molto strano. O non ce la raccontano giusta, oppure gatta ci cova.
Octopus