Logistica senza logica, in Regione si vota sui nuovi poli

12 Luglio 2024

Con riferimento al progetto di legge di iniziativa della Giunta Regionale della Lombardia, si
accoglie positivamente l’attivazione istituzionale su un ambito di attività economiche sviluppatesi
in modo esplosivo nell’arco dell’ultimo quindicennio in modalità sostanzialmente ingovernata.
L’attivazione, ancorché assai tardiva (a ‘buoi scappati’, si potrebbe constatare), è sicuramente
quanto da noi ripetutamente sollecitato, anche con iniziative di denuncia, documentazione e di
sensibilizzazione con il coinvolgimento di cittadini e amministrazioni locali. D’altro canto, il ritardo con cui viene messa in campo rivela una incapacità, o quanto meno una inadeguatezza, di Regione nei confronti dello sviluppo e della concertazione delle politiche industriali della Lombardia. Una inadeguatezza che, se da un lato espone gli operatori industriali e gli investitori a forti incertezze (si vedano, a riguardo, la conflittualità locale e i ricorsi amministrativi, a fronte di scelte localizzative incongrue e di smisurati consumi di suoli agricoli, che hanno inficiato o fortemente rallentato percorsi autorizzativi già incardinati), dall’altro ha impedito di cogliere e accompagnare la concretizzazione di opportunità e sinergie che un importante processo di reindustrializzazione avrebbe potuto generare per il territorio.

Quello della logistica industriale è infatti un settore capace di esprimere un valore aggiunto che
avrebbe potuto consentire di avviare iniziative di risanamento e reinsediamento di attività produttive in aree deindustrializzate, spesso lasciate al degrado, restituendo vitalità a territori in sofferenza eriutilizzando sedimi e perimetri produttivi dismessi, sovente da bonificare: un governo del processo, con adeguate garanzie messe in campo dal settore pubblico, avrebbe potuto generare una cascata di investimenti utili a rigenerare superfici e complessi abbandonati. Quello a cui abbiamo assistito è stato invece un processo disordinato di accaparramento immobiliare di terreni agricoli liberi – soprattutto in aree a forte connotazione rurale in quanto di più facile trasformazione – spesso lasciando a se stessi preesistenti siti dismessi e degradati.

Vi è da sottolineare che gli impatti ambientali dei nuovi insediamenti di logistica, che il Pdl
giustamente coglie come critici, costituiscono solo un aspetto, e non sempre il più rilevante, delle
problematiche che accompagnano queste nuove attività. Nonostante la crescita dei processi di
automazione, infatti, la logistica industriale genera grandi opportunità occupazionali per il territorio, una parte importante delle quali è però costituita da mansioni a bassa qualifica e basso livello di tutela.

Ne consegue che i comuni che accolgono i nuovi insediamenti – generalmente di piccole o
piccolissime dimensioni demografiche – spesso non possono far fronte al fabbisogno di servizi che
esprimono gli addetti delle imprese logistiche e i loro familiari: servizi di housing e di trasporto
pubblico in primis, ma anche sociosanitari, scolastici e di sicurezza. Il rischio è dunque che un
processo ingovernato porti opportunità che il territorio non è in grado di cogliere, e che anzi generi sacche di disagio e di difficile integrazione, oltre che di competizione per l’accesso a servizi
essenziali, con le conseguenze più gravi a carico dei nuovi arrivati, oltre che dei residenti, anche dei Comuni circostanti e dei capoluoghi, che si trovano a dover far fronte a una repentina forte crescita di bisogni senza peraltro beneficiare delle risorse economiche generate dalla fiscalità locale.

Per tutte queste ragioni, il provvedimento sottoposto corrisponde a un rimedio pur necessario, ma
insufficiente al governo delle complesse questioni di governo a cui il territorio è esposto da un
pervasivo processo di reindustrializzazione (oggi da parte della logistica, ma sempre più anche da
parte di altri processi insediativi: citiamo il caso, particolarmente estensivo quanto a fabbisogno di superfici, dei data center).

L’opportuna indicazione, da recepire negli strumenti di pianificazione di scala sovralocale, di ambiti ‘idonei’ (ATI – Ambiti territoriali idonei) all’insediamento di attività logistiche, non appare
sufficiente a fronteggiare la complessità delle questioni poste, non dal singolo insediamento, ma dal fenomeno alla scala dell’area vasta, che non può ridursi, come criteri di riferimento, ai ‘principi direttivi’ indicati all’art. 3 che, pur condivisibili nella enunciazione generale dei temi, richiedono, da subito che siano fissati alcuni obiettivi prestazionali di riferimento per la valutazione che non possono essere demandati alla sola successiva attività definitoria della Giunta Regionale. Inoltre, la dimensione sociale richiede di essere integrata nel processo decisionale, con particolare riferimento alle condizioni territoriali che consentono di sviluppare processi di inclusione delle nuove realtà industriali e dei relativi addetti nel tessuto sociale preesistente. Sembra, inoltre opportuno che la definizione degli Ambiti territoriali idonei per gli insediamenti logistici di rilevanza sovracomunale non sia di esclusiva delega alle Provincia e alla Città Metropolitana, seppur sulla base dei criteri e indirizzi definiti dalla Giunta Regionale, ma sia esito di un processo di codeterminazione tra Regione e Province che individui a scala regionale la definizione di un vero e proprio scenario territoriale di coerenze localizzative (rispetto ai caratteri infrastrutturali, paesaggistici, ambientali ed economici). Un rischio evidente di una individuazione lasciata alle singole province, oltre alla necessità di rendere disponibili alle province risorse tecniche ed economiche non individuate dalla legge, riguarda una possibile eterogeneità dei metodi utilizzati caso per caso nella individuazione delle ATI, con situazioni che potrebbero essere molto disomogenee, laddove il distretto logistico lombardo ha invece una dimensione regionale (anche con sconfinamenti nel territorio di altre regioni).

La ‘localizzazione prioritaria nelle aree dismesse, in quelle da rigenerare o da bonificare’ è un
principio condivisibile, ma siamo tutti consapevoli che la sua traduzione concreta richiede azioni di governo a lungo termine, con un ruolo di regia da parte dell’ente pubblico e in particolare di
Regione e degli enti e delle partecipate del Sistema Regionale (SIREG), chiamate a comporre un
quadro di azioni e di investimenti pubblici, necessario a rendere accessibili tali aree agli
investimenti dei privati. Si chiede in ogni caso che la formulazione sia resa più prescrittiva,
affinché non vengano assentite nuove previsioni di insediamenti logistici in territori in cui sono
disponibili aree dismesse per la stessa funzione.

Come detto, appaiono troppo vaghi i principi direttivi (Art.3) secondo i quali le Province e Città
Metropolitana dovrebbero individuare gli ambiti territoriali di cui al comma 4 Art.1 del Pdl. A titolo di esempio si ritiene necessario introdurre indicazioni quantitative e qualitative sul consumo di suolo; non vengono indicati eventuali criteri compensativi che dovrebbero essere adottati nel caso gli insediamenti logistici occupassero ulteriore suolo libero (agricolo o naturale).

Le misure compensative che dovranno essere garantite dovrebbero essere definite in relazione all’impatto prodotto sulla perdita di servizi ecosistemici forniti dai suoli trasformati. Analogamente si ritiene necessario introdurre indicazioni sulle modalità di applicazione della perequazione territoriale indicando misure di redistribuzione degli ‘oneri e onori’ prodotti dall’intervento tra tutti i Comuni interessati, nonché prevedere misure di definizione degli oneri capaci di equilibrare le distorsioni attuali nelle logiche economiche localizzative. Si propone inoltre di esplicitare il divieto di proporre ambiti territoriali per la logistica all’interno delle aree agricole strategiche così come individuate dalle Province/Città Metropolitana o comunque di utilizzare la carta del valore agricolo quale base per evitare il consumo di suolo in aree a forte vocazione produttiva e, laddove non risultasse possibile evitare il consumo di suolo, per quantificare le compensazioni ambientali dovute.

La soglia dei tre ettari di superficie indicata come requisito per la rilevanza sovracomunale degli
insediamenti logistici, se potrebbe essere valida per alcune tipologie di attività, non lo è nella
generalità di esse, atteso che esistono tipologie di lavorazioni particolarmente intensive che
presuppongono livelli elevati di impiego di personale e di movimentazioni di merci, oltre che per la necessaria considerazione degli effetti cumulativi associati a cluster di imprese logistiche di piccole o medie dimensioni. Si propone pertanto di abbassare la soglia a 1 ettaro.

Si evidenzia la carenza di partecipazione effettiva di parti sociali e dei Comuni: nelle conferenze
di co-pianificazione (art. 5) il ruolo dei comuni limitrofi è puramente consultivo (nonostante siano
noti molti casi in cui la maggior parte degli impatti negativi di un nuovo insediamento logistico
ricada sui territori confinanti), non è previsto quello dei capoluoghi provinciali o mandamentali (che pure devono far fronte a parte della maggior domanda di servizi generata dai nuovi insediamenti), è prevista la partecipazione delle imprese di settore, ma non quella dei sindacati né delle associazioni ambientaliste. Si chiede di correggere questa asimmetria partecipativa, sia nella indizione delle conferenze di co-pianificazione, che nel processo di individuazione degli ambiti a livello di pianificazione provinciale/metropolitana.

Si chiede di allargare la categoria delle imprese soggette alla disciplina della presente legge
anche ai ‘data center’, che, ancorché non siano imprese di logistica in senso stretto (a meno di
considerare i dati come ‘merci’ da gestire, come in effetti è), espongono il territorio a forti pressioni trasformative, in particolare per quanto riguarda il consumo di suolo, estendendo anche a questa tipologia di insediamenti gli obblighi di valutazione ambientale già previsti, per disciplina nazionale, sugli insediamenti logistici, oltre all’obbligo di riutilizzo di aree dismesse.

L’allargamento ai data center della fattispecie delle imprese logistiche consentirebbe di tamponare, almeno a livello lombardo, un vuoto normativo severo entro cui questo settore emergente sta mettendo a segno operazioni di grandi o grandissime dimensioni, risultando esentato dal considerare il consumo di suolo come impatto da evitare, ridurre e/o compensare.

Si chiede infine che, in un ambito in cui stiamo assistendo allo sviluppo di enormi superfici
impermeabilizzate, venga quanto meno esplicitato un obbligo di copertura con pannelli
fotovoltaici di almeno il 70% della superficie operativa degli interventi, provvedendo alla
copertura sia dei capannoni che dei piazzali e delle superfici adibite ad aree di sosta: si consideri
che, se tale indice di copertura fosse stato imposto ai nuovi insediamenti logistici, oggi la
Lombardia disporrebbe di una potenza fotovoltaica installata su sedimi logistici superiore al GW,
ovvero pari ad oltre un quarto dell’installato fotovoltaico complessivo, con grandi benefici sia per i
privati che per il sistema energetico regionale

 

Legambiente Lombardia

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