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L’uomo, il miraggio dell’immortalità e la medicina che non è solo tecnologia

23 Maggio 2022

Partiamo dal mito la cui lettura, come sempre, ci aiuta a capire qualcosa di quello che siamo. Prometeo, istruito da Athena in materie quali architettura, astronomia, matematica e tante altre discipline, è un titano che ha voluto riscattare l’uomo dal suo stato di sudditanza donandogli il fuoco; con il fuoco l’uomo potrà costruire e realizzare le proprie opere, cioè entrerà in possesso della techné. Grazie alla tecnica l’uomo potrà ampliare la proprie conoscenze a velocità esponenziale. Il fuoco però è un dono straordinario che rischia di essere vanificato dal senso di caducità della vita; per questo il titano offre all’uomo un altro dono che è ben spiegato nel Prometeo incantato di Eschilo:
– Spensi nell’uomo la vista della morte. Dice Prometeo
– Che farmaco hai usato contro questo male? Chiede il corifeo.
– Seminai la speranza che non vede.
.
L’associazione fra i due doni (fuoco e oblio della morte) non è affatto casuale: la consapevolezza della propria fine renderebbe gli uomini come larve, incapaci di passione. L’uomo ha bisogno di darsi una prospettiva di immortalità, per questo fonda imperi, cerca la fama, conia un’ideologia, accumula patrimoni, realizza opere d’arte, ma soprattutto ricerca il potere, cioè insegue la fallace illusione di essere diverso, superiore, immortale appunto. Questo ricorda le parole di Pascal : ‘Tutta l’infelicità dell’uomo sta nel non sapere restare quieto in una stanza’.

Nemmeno i medici, pur abituati alle sofferenze e alla morte, hanno saputo sottrarsi al fascino del “miraggio immortalità”. Eppure il primo mitico medico, il centauro Chirone, soffrì al punto da cercare la morte; questi, a differenza dei propri simili, violenti e ignoranti, era colto, intelligente e amava dedicarsi agli altri. Asclepio fu suo allievo, fu inoltre educatore di Eracle. Quest’ultimo colpì accidentalmente il maestro con una freccia la cui punta era stata intinta nel sangue dell’Idra, un veleno potentissimo che uccideva fra immani sofferenze. Chirone però era immortale, così dovette affrontare la prospettiva di soffrire dolori atroci per l’eternità. Capì che solo la morte poteva essere una liberazione, così scambiò la propria immortalità con la mortalità di Prometeo (nel frattempo era stato “degradato” da Zeus allo stato mortale). Il ruolo di guaritore che sa di dover morire ci ricorda il mito del centauro. Ma se Chirone ha cercato la morte, i seguaci della disciplina medica, come tutti gli uomini, hanno cercato l’immortalità. Eppure il rifiuto del farmaco di Prometeo è un presupposto indispensabile per affrontare le sofferenze altrui, ma non è andata così.

Oggigiorno l’arte medica viene considerata una branca della tecnologia e questo ha inevitabilmente portato a rimuovere la morte. Questo ha portato ad una distinzione netta fra corpo e mente. Ciò è avvenuto sull’onda del pensiero cartesiano che delimita un confine invalicabile fra materia bruta e mente (res extensa e res cogitans). Però il corpo senza la mente non è altro che un insieme di leve, ingranaggi e umori ora stagnanti, ora torrentizi. In altre parole una macchina iatro-meccanica come è stata definita ormai più di tre secoli fa.

Va inoltre considerato che il malato è stato escluso dal suo universo ambientale e mentale, per cui la malattia è un’entità esterna all’uomo, diventa cioè una “entità morbosa”, provocata sempre dalle stesse cause, che produce gli stessi sintomi e viene curata con le stesse terapie.
Sappiamo che le cose non stanno sempre in questo modo, ma preferiamo ignorarlo. Ecco il limite del modello che pochi sembrano voler considerare; stile di vita, corredo genetico, precedenti patologie, alimentazione, ambiente e clima sono fattori che non ci rendono uguali gli
uni agli altri. A peggiorare le cose si è ricorso alle specializzazioni e alle super specializzazioni che hanno parcellizzato il corpo in un insieme di parti meccaniche che funzionano secondo modelli matematici, per cui se un numero non rientra nel modello previsto siamo ammalati..
il corpo umano è sano se adeguato a sé, ma non è sempre possibile determinare i valori normali dell’adeguatezza” (da Prometeo: I due doni di Prometeo e il Chirone ferito, dicembre 2018). In altre parole la medicina resta un’arte che, come tale, è indeterminatezza.

Ad essere onesti va riconosciuto che il modello iatro-meccanico ha prodotto grandi avanzamenti nella conoscenza, avanzamenti senza i quali soffriremmo ancora oggi di malattie da tempo sconfitte. Il successo di questo modello è in parte supportato dalla sua indubbia efficacia e in parte dal fatto che rappresenta uno strumento di potere: la scienza si occupa della res extensa, mentre le religioni si occupano della res cogitans. Due regni paralleli e complici nello spartirsi il dominio sull’uomo.

Con ciò non intendo demonizzare il metodo vigente che, come ho appena accennato, ha permesso uno straordinario ampliamento della conoscenza, auspico tuttavia che tutto ciò rappresenti un punto di partenza per la ricerca di nuovi approcci alla disciplina scientifica perché, citando ancora Pascal, .” l’uomo è il termine fra il tutto e il nulla...” : siamo perennemente a metà strada fra l’ignoranza bruta e la conoscenza assoluta; ci allontaniamo sempre di più dalla prima, ma non raggiungeremo mai la seconda. Questo è il nostro scomodo destino, l’importante è che in questa nostra ricerca non vadano confusi il mezzo con il fine, il malato con la malattia, la medicina con la sola tecnologia.

 

Giuseppe Pigoli

2 risposte

  1. Ciao Beppe. Condivido. Nella ricerca scientifica e nella pratica clinica ci sono però altre due importanti variabili che condizionano l’operato del medico: l’arroganza e l’ignoranza. La prima è generata dalla seconda e porta il medico a credere di conoscere tutto, supportato da quella tecnologia che lo solleva dal fare lo sforzo di capire. Anamnesi ed esame obiettivo fanno parte del bagaglio esperienziale di una ormai estinta categoria di medico. E sono invece le cose più importanti nella pratica clinica perché la tecnologia non può tutto. È capitato a chiunque di giungere in un qualsiasi pronto soccorso del nostro pianeta per una cosa e finire per ritrovarsi a fare una messe di altri esami che forse non competevano con quel problema. Ecco, manca la ricerca clinica. Diranno che il tempo manca per visitare il paziente e per parlarci. Si spera che la tecnologia (spesso un pochino a caso) venga incontro sia al medico che al paziente. La clinica non fa risparmiare tempo, è vero, ma denaro sì : il costo di tanti esami inutili è sui testi di farmaco economia. Fai bene a ricordare nel tuo bell’articolo questo passaggio ma non credo che questa tecnologia usata in questo modo – male – potrà risolvere o ridurre i problemi della nostra sanità.

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