La farsa vicina è quella dell’ultima gara di Abu Dhabi con i due piloti Verstappen e Hamilton a pari punti. In precedenza, dal 1950, era successo solo nel 1974 con Clay Regazzoni\Ferrari e Emerson Fittipaldi\McLaren. Ancora oggi si piange per Clay che inspiegabilmente, nel momento decisivo, si ritrovò con una macchina inguidabile e Fittipaldi, arrivando quarto vinse il titolo. Ma veniamo a noi e ad Abu Dhabi e alle decisioni del direttore di gara molto discrezionali. I due piloti andavano sanzionati subito al primo giro, ma si arriva al 52° giro e all’incidente di Lafiti, Inutile dire che la dea bendata è stata scandalosamente dalla parte di Verstappen. Mancavano 6 giri alla fine e con 10 secondi di vantaggio Hamilton aveva già il mondiale in tasca. Ed ecco il colpo di scena. Non sapendo che pesci prendere, il direttore di gara fa entrare subito la safety car e ordina alle 3 vetture doppiate che si trovano tra Hamilton e Verstappen di sdoppiarsi ma non ad altre disperse nella confusione totale. E’ chiaro che il selvaggio Verstappen attacca subito e potendo contare su gomme morbide con pochi giri in luogo di quelle dure con tanti giri di Hamilton, non ha problemi a effettuare il sorpasso all’ultimissimo giro e quindi a far suo il titolo mondiale.
La Mercedes presenta subito due reclami: Verstappen dietro alla safety avrebbe messo il muso davanti ad Hamilton e poi procedura errata e totalmente discrezionale nello sdoppiamento delle vetture. I due ricorsi sono stati subito rigettati perché ritenuti ininfluenti ma la Mercedes ha presentato appello al tribunale della FIA. Credo che tutto finirà a tarallucci e vino. Sarebbe stato corretto fermare subito la gara e dare una nuova partenza, meglio lanciata dietro alla Safety, in modo che i piloti avessero a disposizione 4\5 giri per giocarsi il titolo, in luogo di un solo giro.
E veniamo alla farsa lontana nel tempo ma altrettanto gustosa. Luca Dal Monte, scrittore cremonese, ha riportato in memoria una storia della F1 che risale al ’75 per una presunta collaborazione tra la Brabham e l’Alfa Romeo. La risultante è stata una colossale delusione e incomprensione di due mondi, quello inglese di Bernie Ecclestone e quello italiano dell’ingegner Carlo Chiti, ex Ferrari.
Si parte dalla lingua. Nel team inglese nessuno parla italiano, in quello italiano nessuno parla inglese e quindi bisogna farsi aiutare da ‘mamma’ Alfa. E poi mentalità, metodo di lavoro, valutazione dei piloti, costi di revisione dei motori (che devono essere sostenuti da chi?) e mille altre divergenze.
Ecclestone cerca l’Alfa perché vorrebbe un motore più potente del vecchio Cosworth 8 cilindri. L’Alfa disponeva di un 12 cilindri piatto, molto potente ma poco affidabile, che nel ’75 e ’77 con il prototipo 33 TT aveva vinto due mondiali, in gran parte per merito di Artuto Merzario che Chiti vorrebbe sulla F1 Brabham ma Ecclestone risponde che per quanto riguarda i piloti la competenza è sua. Nessun pilota italiano troverà un sedile alla Brabham e i piloti saranno solo i vari Reutemann, Pace, Lauda, Watson, Piquet.
Da questo momento in avanti sono solo accuse reciproche con risultati inesistenti. L’ingegner Gordon Murray, progettista della Brabham è molto lento mentre il motore Alfa è troppo pesante, ingombrante e consuma molto. Gli inglesi trovano differenze da motore a motore sino a 1,5 cm sulle quote e quindi il montaggio in vettura diventa problematico. E si avvicina così la lite finale. Nel ’78 l’Alfa comunica che farà una F1 tutta sua. Lauda ritiene che sia una follia farsi concorrenza in casa e ha ragione. E ripartono le accuse a doppio senso, Ecclestone ritiene che Chiti a 50 anni non sia al passo con i tempi. I meccanici inglesi sono pochi, gli italiani troppi ma poco precisi. E siamo alla fine. Si chiude l’avventura insensata dopo 4 anni con una sola vittoria di Lauda più che contestata e la pole di Watson a Montecarlo. Tutto qui.
E non dissimile sarà il destino della F1 tutta Alfa-Alfa. Chiti ancora una volta si era illuso che costruendo tutto in casa con il suo potente motore avrebbe vinto. Bruno Giacomelli, forte pilota bresciano, ottiene in 6 anni una pole, 31 giri in testa nel GP USA a Watkins Glen nell’80 e un 3° posto.
Un fiume di soldi finiti non si sa in quale mare.
Pietro De Franchi