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Morta la politica, restano i politici. che tirano a campare

2 Febbraio 2022

Doglie lunghe, cruente e sterili, concluse forzando il Presidente uscente a riportarsi al Quirinale gli ormai celebri scatoloni: questi in brutale sintesi sono i fatti. Il panorama umano emerso è di allarmante fragilità e il Re è ormai, a tutti gli effetti, nudo. A nessuno sfugge infatti che dietro la furiosa lotta per bande consumata fra Quirinale e palazzo Chigi non c’è alcun conflitto programmatico su come governare l’Italia (materia ormai oscura e indifferente ai più) ma solo il disperato conato di un sistema dal fiato corto che cerca d’assicurarsi qualche mese di sopravvivenza. La politica evidentemente ne sa una più del diavolo su come restare a galla ma ha poche e confuse idee su come tenere a galla l’Italia.

Come siamo arrivati a questo punto è dunque la legittima e inevitabile domanda del giorno. E un tentativo di risposta che non eluda il cruciale nodo del rapporto fra politici e tecnici deve inevitabilmente partire da lontano. Per esempio, dall’autunno del 1945 quando in una Milano ancora ingombra di macerie non solo materiali lo scrittore Elio Vittorini, siciliano di nascita e milanese d’adozione, fondava una rivista dal nome non inedito: Il Politecnico. Lo stesso nome del periodico che, nella Milano austriaca del 1839 , il ‘gran lombardo’ Carlo Cattaneo, patriota, federalista e intellettuale laico di prim’ordine aveva ideato come ‘mensile di studi applicati alla prosperità e cultura sociale’. Un sottotitolo così volonteroso e concretamente promettente non poteva che maturare in una Milano già consapevole del proprio destino manifesto di locomotrice economica del Paese e di laboratorio in cui doveva consumarsi il transito verso un nuovo modello intellettuale che archiviasse per sempre certa vecchia cultura parruccona, astrattamente retorica o pericolosamente cortigiana. Si lavorava a un intellettuale di nuovo conio, capace di autentico impegno civile e positivamente orientato verso scienza, tecnica e tutto quanto può produrre progresso e conseguente benessere. Un’evidente affinità di analisi delle storiche tare italiane e di obiettivi legava dunque il Vittorini del 1945 al Cattaneo del 1839: sollecitare l’impegno civile degli intellettuali e favorire una feconda collaborazione fra i nuovi saperi scientifico tecnologici e i più antichi e blasonati saperi umanistici, tradizionale miniera estrattiva di avvocati, politici nonché svariati professionisti e mestieranti della parola. Chi si metteva al servizio della ricostruzione postbellica transitando dalle colonne del Politecnico -comunista, laico o cattolico che fosse- condivideva la convinzione che in un mondo contemporaneo dominato dall’economia, tipica materia in cui promesse e belle parole non possono eludere la tagliola dei fatti e dei concreti risultati, ci fosse più bisogno di ingegneri, statistici, maestranze qualificate e così via che non di avvocati azzecca garbugli, letterati con la testa fra le nuvole e, per l’appunto, politici di rotonda eloquenza e modeste attitudini operative. Era tempo di passare il testimone a gente disposta a mettere se stessa, le proprie idee, teorie e filosofie alla cruciale prova dei fatti: ‘la teoria in senso positivamente e costruttivamente umano non si realizza senza il fare’.

Nel 1947 la breve vita della rivista si concludeva. Ma una ragione ci dev’essere se nei giorni del ‘festival Quirinale’, forse non a caso seguito a stretto giro da quello di San Remo, mi è tornata in mente l’austera e concreta Milano del dopoguerra, illusa di riuscire ad archiviare per sempre ogni infondata presunzione di superiorità della casta politico intellettualoide verso la categoria dei ‘tecnici’. Mi tornava in mente mentre ascoltavo i soliti poveretti che, sbarcati in Parlamento per inesplicabile benevolenza astrale, recitavano con diligenza la canzoncina del giorno: profilo alto, personalità condivisa, sacrale atto elettivo e attenzione a non aumentare la quota dei tecnici in quanto ‘vulnus inaccettabile’ al primato della politica… Bella scoperta. In presenza di una classe politica degna di questo nome sarebbe ovvio che toccano a lei, lautamente pagata per farlo, l’onore, l’onere e la responsabilità di guidare il Paese e definirne la rotta. Ma nel nostro caso la spocchia dei politici – che tuttavia si tengono ben stretto il tecnico Draghi, notoriamente capace di far di conto – è a dir poco indifendibile. Si direbbe piuttosto che i termini della questione vanno capovolti: tocca ai politici scusarsi per non aver capito in tempo utile che, dopo il tracollo delle ideologie consumato nel ventennio finale del ‘900, il naturale esito del loro ruolo e il loro più forte titolo di legittimazione sociale era di farsi loro stessi ‘tecnici’ dimostrandosi in grado per specifica attrezzatura professionale di ‘saper fare le cose’. Esaurita la forza propagandistica e la seduzione dei partiti ideologici era tempo di cambiar pelle, irrobustire e costantemente aggiornare la consapevolezza culturale che ti fa capire dove sta andando il mondo. Occorreva allevare e selezionare nuove classi dirigenti all’altezza dei processi sempre più complessi e interdipendenti che tocca alla politica governare nel nuovo ordine mondiale. Era opportuno stringere, invece che allentare fino alla dissoluzione, il rapporto coi territori e la filiera dei loro amministratori che prima e meglio degli altri capiscono che aria tira e dove stanno le vere criticità. Ma poco o nulla di tutto questo è accaduto. Finite le ideologie si direbbe finita anche la capacità di pensiero politico nel senso criticamente forte del termine. Resta quel navigare a vista e campare alla giornata di cui anche la vicenda dell’elezione presidenziale è stata, per forma e sostanza, schiacciante dimostrazione.

Il Re è dunque nudo. I partiti non sono più interpreti e garanti di un progetto di società ma sgangherati e rissosi comitati d’affari assorbiti dall’urgenza primaria di salvare la pelle dei soci. Tant’è che già si stanno cucendo su misura una nuova legge elettorale all’insegna del più smaccato ‘Io speriamo che me la cavo’. Il livello della loro delegittimazione agli occhi dell’opinione pubblica non pare guastarne il compiacimento per averla, anche questa volta, spuntata. Spergiuri, volta gabbana, funamboli e contorsionisti di grande mestiere, sempre e comunque riusciranno a cavarsela. Loro sì. Ma noi? Noi resteremo qui a rispondere per generazioni ai creditori di turno.

 

Ada Ferrari

2 risposte

  1. Questo dimostra che la politica è la rivarsa degli incapaci e fannulloni ! Da loro il potere di distribuire privilegi e soldi , in vari modi , per accaparrarsi eterni consensi ! Hanno fatto bene il loro lavoro , e sono riusciti a fare diventare comunisti , gente come De Benedetti , Agnelli , Benetton artisti e giornalisti ( RAi 3 è strapiena di questa gente !) Bravissimi e allenati a saltare sul carro dei vincitori , fortuna loro che i vincitori sono sempre gli stessi !Sono anche capaci di spaventare chi proprio non condivide il loro modo di fare politica ! Ma guai a dire che è dittatura , se viene da sinistra !! Quella sinistra che odia gli imprenditori non compiacenti , ma ama le loro cose e farsi compiacere ! Sempre nel nome del popolo ! “cornuti e cazziati “ ! Ma tanti se lo meritano !! O forse chiudono occhi , naso e bocca , perché il premio lo hanno già ricevuto ! Aspetto con ansia di vedere il fondo del barile !!

  2. Siamo immersi in un brodo inconfessabile in cui qualcuno attacca gli altri a in realtà ambisce ad essere e ad avere ciò che coram populo dice di voler abbattere. Il gioco del potere è subdolo, ma ora è evidente. Siamo al colmo della decadenza. Almeno lo spero.
    Oltre, può esserci la dittatura o la resurrezione, ma questa solo se torneremo come popolo a vedere la differenza fra chi fa e chi parla. Sempre che non abbiamo dimenticato cosa significa fare. Sono atterrita dalle prole di un ministro che vorrebbe imporre per legge chi assumere se si hanno appalti con la PA. Basterebbe questo per insorgere, invece si subisce qualcosa che è specchio del resto ed è anche molto di più, neanche fossimo nel vecchio soviet. La grande utopia comunista di salvare il popolo che non sa capire. Siamo diventati tutti plebe. Anzi. Una crocetta anonima.

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