“Un’altra cosa possiedo, un grande archivio. E appena nomino questo archivio, improvvisamente, chi deve tacere, tace”. Così esordisce sornione e spietato Giulio Andreotti ne Il Divo di Sorrentino interpretato dal grandissimo Toni Servillo. E in effetti, per anni, l’archivio di Andreotti ha rappresentato nell’immaginario collettivo una sorta di straordinario strumento di potere che avrebbe conferito al Divo Giulio una incolumità assoluta, la garanzia della intoccabilità e la capacità di ricatto verso chiunque. Perfino nelle discussioni da bar tra comunisti e democristiani l’archivio di Andreotti campeggiava quale simbolo iconico del potere oscuro della burocrazia democristiana. Questo fino agli anni ’90, quando Andreotti venne messo sotto processo per anni con la più infamante delle accuse, quella di mafia, e il Divo fu sputtanato senza appello a livello mondiale perfino da magistrati di bassa caratura: allora ci si accorse che forse quell’archivio non doveva poi contenere chissacché. L’archivio Andreotti si trova oggi all’Istituto Don Luigi Sturzo di Roma, ed è costituito prevalentemente di biglietti di auguri e corrispondenze private. Migliaia di carte ma che non hanno rivelato chissà quali segreti della Prima Repubblica. Questo perché a mio avviso Andreotti è stato per una serie di ragioni ammantato di oscuri poteri che forse non aveva detenuto, e in realtà fu molto più uomo di governo e di Amministrazione che uomo di potere, tanto che nella DC gli andreottiani sono sempre stati in minoranza.
Chi invece fu il vero custode di informazioni privilegiate, molto più di Andreotti, è un altro grande personaggio della DC, Francesco Cossiga, (nella foto centrale) che se non è il vero custode dei “misteri italiani” certamente è l’uomo politico che ne sapeva di più. Laureato a 20 anni, professore ordinario di Diritto a 30, ministro dell’Interno a 40, Cossiga fu un vero e proprio enfant prodige della politica italiana.
Creatura di Aldo Moro, fu per suo volere sottosegretario alla Difesa con delega ai Servizi, poi ministro proprio durante il rapimento dello stesso, cui seguì la depressione e la vitiligine, il “mal di Cesare” come lui amava definirlo. Lo stress per i giorni del sequestro Moro lo portano alle dimissioni, a una profonda depressione che lo accompagnò per tutta la vita e che fu sfruttata da amici e nemici per sminuirne capacità e virtù, e soprattutto alla perdita dei pigmenti della pelle che fu per anni scambiata per psoriasi ma che invece è cosa ben diversa. Quando in gergo si dice “mi sono venuti i capelli bianchi dallo spavento” in realtà si allude proprio a questa strana condizione clinica in cui accade che in seguito a un grande stress prolungato i pigmenti della pelle scompaiano lasciando i capelli bianchi e la pelle chiazzata di chiaro.
Se da ministro degli Interni ti ammazzano il capo del partito sotto il naso, beh la tua carriera politica è bella e finita. E invece Cossiga divenne presidente del Consiglio, poi presidente del Senato e infine addirittura presidente della Repubblica, e senza mai aver costituito all’interno della DC una propria corrente di potere.
Come fu possibile? Lui stesso ci scherzava sopra dicendo “pensate che razza di Paese è questo in cui uno come me ha fatto la carriera che ho fatto io…”, ma in realtà che scrive è ben convinto che le ragioni stiano altrove, e proprio nei suoi archivi.
Craxi fu spedito in quella Caienna di Hammamet come ladrone, Andreotti costretto ad anni di processi infamanti, tutti gli altri pezzi da novanta della Prima Repubblica furono fatti a pezzi, sputtanati, processati e incarcerati. Cossiga non fu mai nemmeno sfiorato. Fu fatto passare per depresso e mezzo scemo quando da capo dello Stato sparava su tutti ad alzo zero, guadagnandosi l’epiteto ufficiale di “Picconatore” e quello non ufficiale di scemo del villaggio. Ma nonostante avesse attaccato violentemente tutti i centri di potere dello Stato, magistratura in primis, non fu mai toccato da nessuno. Il motivo? Che chi veramente possedeva un archivio che faceva cacare sotto chiunque era proprio il tanto vilipeso Cossiga, altro che il Divo Giulio.
Cossiga fu al vertice dei Servizi italiani per ben sei anni, prima quattro come sottosegretario alla Difesa e poi due come ministro degli Interni, anni nei quali si deve a lui la sostanziale riforma in senso moderno delle nostre forze di difesa interne ed esterne e soprattutto dei sevizi di intelligence: fu lui a inventare i GIS dei Carabinieri e i NOCS della Polizia, ancora oggi i migliori reparti speciali sul territorio. Fu lui a riformare i Servizi “Segreti” dopo lo scandalo del Piano Solo e del povero generale De Lorenzo. Era un esperto di elettronica e telecomunicazioni a livello internazionale, stimatissimo da tutti i Servizi Segreti del mondo come massimo esperto della materia. Su mandato di Aldo Morò girò il mondo a esaminare le strategie anti terrorismo dei più avanzati Paesi d’Occidente e a prendere esempio per formare anche in Italia squadre speciali di intervento. Ma era anche il nemico giurato di studenti e operai che manifestavano per strada, quel KOSSIGA scritto ovunque con la SS nazista era la riprova del suo essere identificato con il potere repressivo dello Stato, quello Stato che usava i manganelli, spiava chiunque e forse addirittura piazzava bombe e compiva stragi.
Sempre su mandato di Moro fu delegato a occuparsi di Gladio, l’esercito borghese e nascosto fondato da Moro Martino e Taviani con l’aiuto della CIA e della NATO e che tanti guai procurò al futuro capo dello Stato, che finì nell’immaginario collettivo per esserne il fondatore e responsabile. Gladio era una rete di normali cittadini selezionati e addestrati ad attivarsi nel caso in cui vi fosse stata una invasione sovietica del territorio nazionale. Una rete che mai agì, mai compì atti contro chicchessia, mai fu attivata (come confermato perfino da magistrati stragisti del calibro di Guido Salvini) ma che è stata usata come arma di propaganda politica da ogni parte, e che tanto scalpore ancora oggi suscita nell’ignoranza generale. Andreotti ne denunciò pubblicamente l’esistenza all’atto del suo scioglimento, facendo esplodere una bomba mediatica piuttosto sospetta, dato che di Gladio i comunisti erano perfettamente al corrente da sempre, visto che Taviani ne informò Longo e Togliatti, e dato che il KGB ne era assolutamente a conoscenza come confermato poi dal generale Wolf, capo del controspionaggio della DDR. Di Gladio fu perfino rinvenuto con enorme clamore poco tempo fa un “Nasco”, un deposito segreto di armi dimenticato sotto una tomba del cimitero di Brusuglio, anonima frazioncina dell’hinterland milanese dove Alessandro Manzoni tentava senza successo di coltivare esotici banani nei rigidi inverni lombardi di allora, come in ogni tragicommedia all’italiana che si rispetti…
Gladio a parte, nel prossimo editoriale tratteremo proprio degli archivi di Cossiga e di quanto costui sapesse dei tanti “misteri italiani”…
Francesco Martelli
sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
docente di archivistica all’Università degli studi di Milano