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Nella rude periferia di Milano tra orrendi palazzoni l’incanto di Villa Clea

1 Luglio 2024

Là dove c’era l’erba ora c’è una città cantava Adriano Celentano con malinconico disappunto per quello sviluppo urbanistico del boom che divorava prati e costruiva enormi palazzoni residenziali disorganici e di dubbio gusto. Li chiamarono “sacchi” quelle urbanizzazioni selvagge degli anni ’60 che si mangiarono pezzi interi di vecchie città o ettari di prati: il sacco di Palermo, le mani sulla città a Napoli e così via…Del resto per campare serve un lavoro e per vivere una casa, e siccome ciclicamente il lavoro si sposta dalla provincia alla città, la città vive ciclicamente il dramma della sua espansione abitativa, con prezzi alle stelle causati da eccessi di domanda e scarsità di offerta, e anche ahinoi una buona dose di molto discutibile speculazione da parte di chi costruisce e vende.

A Roma li chiamavano con spregio “palazzinari”, gente venuta spesso dal nulla che con spregiudicatezza accumulava enormi ricchezze costruendo palazzoni residenziali spesso orribili. Del resto le case servivano, Dio solo sa quanto, e non si poteva andare per il sottile. Dopo la guerra nelle principali città italiane mancavano milioni di alloggi e spesso con i piani di ricostruzione con la scusa di un palazzo bombardato si abbatteva un isolato intero…e di brutture ne sono state costruite in enorme quantità.

I tempi cambiano e tutto diventa più controllato e corretto. Oggi si chiamano costruttori e in realtà dietro a molti di loro stanno le banche e i grandi fondi d’investimento stranieri che sono capaci di far risorgere una città intera se decidono di investirci, e questo perché oltre che nell’immobiliare investono in ogni campo e possono dirottare là dove costruiscono anche altri servizi, aziende, turismo etc…Insomma un meccanismo potentissimo che crea ricchezza e a cui non si può dire di no, in Paesi come il nostro dove ormai la finanza e l’industria sono in pieno declino e il turismo internazionale è la nuova fonte di sopravvivenza.

Se i tempi cambiano i problemi però lo fanno molto meno, e anche oggi ci troviamo in città con grande carenza di alloggi, con veri e propri tugurii venduti a peso d’oro, stanze moribonde affittate a 800 euro al mese e appartamenti di gran lusso venduti a 20.000 euro al metro per lo più a stranieri che poi qui ci vengono un paio di volte l’anno, perché gli italiani il mutuo non se lo possono permettere più.

In queste città che ormai sono allo stesso tempo utopiche e distopiche, al contempo splendenti e miserabili, sempre più contraddittorie e dove la forbice tra le classi sociali aumenta sempre di più, la classe media, unico vero ammortizzatore sociale, arranca sfinita e viene progressivamente spinta fuori da una duplice invasione agli estremi: i più poveri e i più ricchi, un po’ come in quella città immaginaria di Leonardo dove i ricchi vivevano in cima agli edifici e la plebe al piano terra. Quando ho letto nel recente “decreto Salvini” che saranno trasformabili in abitazioni anche stanze sotto i 2.40 metri, interrati e negozi a piano terra confesso che una tetra pesantezza ha iniziato a mordermi le ossa…finirò anche io dal terzo piano alla cantina per far spazio ai più abbienti di me?

I prezzi spingono verso la periferia, ed essa diventa a volte terreno obbligato per la crescita di microcosmi interessantissimi come Villa Clea. Nella estrema periferia sud di Milano, là dove c’era l’erba e oggi ci sono  palazzoni residenziali che alla bellezza concedono ben poco, c’era una vecchia carrozzeria anch’essa abbandonata e che due giovani bellissimi ed eleganti architetti, che sono coppia anche nella vita, hanno trasformato in un modello abitativo estremamente affascinante. Matteo Corbellini e la moglie Allina hanno trasformato una vecchia carrozzeria in una casa-galleria che ospita mostre ed artisti da ogni parte del mondo. Un’elegantissima scatola di argille super tecnologiche del colore del gelato alla pesca dentro e fuori, circondata anche sul tetto da dolcissimi cespugli di bellissime essenze perenni, cui si accede come in un giardino segreto da un vecchio muricciolo coperto da verdissime viti canadesi. Lì vi accolgono con squisita ospitalità i due padroni di casa, che condividono lo spazio abitativo con l’arte e il design, assieme a una tribù di esseri che gli somigliano in tutto, tutti bellissimi, tutti elegantemente minimalisti, provenienti da ogni parte del mondo. Si ha quasi la sensazione di vivere in quelle società evolute dei film di fantascienza o tra gli Alti Elfi di tolkeniana memoria.

Un microcosmo di sperimentazione e bellezza che meriterebbe un intero palazzo in centro, ma che forse è germogliato così bene proprio nella difficoltà di crescere nella rude periferia, come fa una ginestra sulle rocce.

 

Francesco Martelli

sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

docente di Archivistica all’Università degli studi di Milano

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