Saint-John Perse (1960) – Pablo Neruda (1971) (nella foto centrale mentre ritira il Premio Nobel). Le cifre indicano gli anni in cui i due poeti hanno vinto il Nobel per la letteratura. Sono due giganti della poesia del secolo scorso ma ancora attualissimi. Più conosciuto Neruda, soprattutto per il film di Troisi “Il Postino” e poi per i “Cento sonetti d’amore“. Sconosciuto Saint-John Perse, se non agli addetti ai lavori, con poemi molto complicati: Anabasi, Elogi, Amicizia del Principe e altri.
Temperamento umano e logica poetica completamente diverse. Neruda passionale, cruento, sanguigno, sensuale e furioso d’amore nel coinvolgere la totalità delle cose nella sua sconvolta e sconvolgente poetica.
Per Saint-John Perse basterebbe dire che è l’opposto di Neruda. Allucinato, esangue e senza passione, cerebrale, raffinato, evanescente, scrittura altamente simbolica, metafisica e di traslazione come il moto della Luna attorno alla Terra.
Eppure qualcosa di insondabile lega i due poeti: la comune, profondissima inesplorabile poetica. Sì, la logica nella poesia che è la stessa della logica scientifica. La logica che sottende i grandi poeti. In Dante, il più alto di tutti, gira e rigira è sempre la stessa, quella della fisica, della matematica e della filosofia.
Quale logica? Una profonda sensibilità umana che si ramifica in migliaia di affluenti ma che ritrova unità nel grande alveo del fiume poco prima del suo fluire nell’oceano di inizio e fine dell’esperienza umana e terrena.
Secondo Euclide per un punto esterno a una retta può passare una sola retta parallela a quella data e le due rette non si incontreranno mai. No. Secondo le geometrie non euclidee, vedi Riemann, prima dell’infinito le due rette convergeranno così come tutti gli affluenti convergono nel grande fiume.
Neruda nei “Cento sonetti d’amore”, poemetto dedicato al grande amore della sua vita, Matilde Urrutia, la Beatrice di Dante o per meglio dire Francesca da Rimini, trabocca di vitalità, sconvolge la stessa furia del mare in tempesta, entra nelle radici del bosco, si perde nella luce accecante del deserto di Atacama, il deserto più deserto di tutta la terra dove non piove mai, ribolle di passione nel profumo del loro amore, fatto di legno, perché tutto è fatto di legno, e neanche la morte potrà entrare nel legno del loro amore che brucerà atomo dentro atomo sino alla fine dei tempi.
Saint-John Perse segue invece la desolata strada dell’Anabasi, il ritorno. La traccia è appunto l’Anabasi di Senofonte, Storico e filosofo allievo di Socrate, prese parte come mercenario, unitamente a tanti altri soldati greci, alla spedizione militare di Dario II il Giovane che voleva riprendersi il regno di Persia, usurpatogli dal fratello Artaserse. Nel ritorno dalla Persia in Grecia – l’Anabasi – i soldati mercenari non trovano più la via dell’andata e si perdono tra le montagne.
Riferimenti ad altri poeti per Saint-John Perse: si parla di Cendras, Apollinaire e forse meglio a pittori come Braque e Picasso. Io direi invece la poesia profetica di Khalil Gibran e vagamente anche Tagore e in musica l’evanescente dolcezza di Puccini.
Per quanto riguarda Neruda, altro non vedo che il Bolero di Ravel, ma soprattutto Dante nell’episodio di Paolo e Francesca da Rimini.
Concludo citando il minimo della struttura dei due giganti.
Neruda: Gira la notte sulle sue ruote invisibili \ e dentro di te brucio come legno antico”.
Saint-John Perse: “Lo straniero mise il dito nella bocca dei morti \ e il Principe alto e magro \ tutto avvolto nelle sue bende \ vagabonda nelle vuote cisterne dei romani”.
Pietro De Franchi