Per alcuni è un pensiero silenzioso, per altri si manifesta in modo improvviso, rendendo ogni gesto una sfida quotidiana. Le testimonianze raccolte durante la tavola rotonda organizzata il 26 novembre dall’Asst di Cremona riportano la volontà di non arrendersi e di trovare nel confronto la forza necessaria per reagire
Non c’è un solo Parkinson, così come tante sono le persone che trovano un modo diverso per affrontarlo. Questo è uno dei temi trattati durante la tavola rotonda «Non pensare al Parkinson, stereotipi e pregiudizi, terapie e parole di cura», organizzata ieri presso la sala Puerari del Museo Civico di Cremona. Organizzato dall’Asst di Cremona in collaborazione con La Tartaruga onlus, il patrocinio del Comune di Cremona e di Limpe, l’evento è in memoria di Luciano Abruzzi, medico neurologo dell’Ospedale di Cremona, mancato prematuramente nell’aprile del 2020 a causa del covid-19.
Durante l’incontro, gli specialisti dell’Asst di Cremona hanno dialogato con i pazienti sui temi centrali legati alla malattia, dagli aspetti clinici a quelli psicologici e sociali: il non detto, il disagio interiore, il venir meno delle relazioni interpersonali e la gestione degli effetti collaterali causati dai farmaci, passando attraverso i pregiudizi che spesso accompagnano chi convive con questa patologia.
Il confronto sul tema continua sabato 10 dicembre dalle ore 10 – sempre nella sala Puerari del Museo civico (via U.Dati 4) – con il convegno “Modello di cura integrativa” organizzato da Asst Cremona in collaborazione con La Tartaruga onlus, la Confederazione Parkinson Italia e il patrocinio del Comune di Cremona. Tra i relatori coinvolgerà tre medici specialisti dell’Ospedale di Cremona: la neurologa Valentina Puglisi (Ambulatorio Parkinson), la fisiatra Letizia Pezzi e la nutrizionista Flavia Cornacchia. L’incontro sarà moderato da Stefania Mattioli (responsabile Comunicazione e relazione esterne, Asst di Cremona).
LA MIA VITA CON IL PARKINSON: TRE PAZIENTI RACCONTANO
Durante la tavola rotonda, tre pazienti hanno deciso di condividere con il pubblico la propria esperienza con questa malattia degenerativa. Per alcuni è un pensiero silenzioso, per altri si manifesta in modo improvviso, cambiando il corso della giornata e il modo di affrontarla. Tra i punti in comune c’è la volontà di non arrendersi e il desiderio di confrontarsi con chi vive la stessa situazione, per trovare nel confronto la forza necessaria a reagire.
«Quando sono andato a ritirare li referto, non ho voluto essere accompagnato da nessuno. L’’ho letto e ho pensato “mamma che lusso!”, perché inizialmente il Parkinson era la cosa che mi spaventava meno». Così Moreno Pedrini racconta il suo incontro con la malattia. Quando ha ricevuto la diagnosi – 12 anni fa – aveva 49 anni: «L’ho presa in modo abbastanza positivo, cercando di continuare a lavorare e fare le attività di sempre. I problemi sono iniziati con la pandemia, che ha bloccato tutto interrompendo ogni contatto. Lì molte cose sono peggiorate. Per mia natura, sono una persona combattiva: ho studiato nuovi modi per adattarmi a questa condizione, senza arrendermi. Avere vicina mia moglie mi ha aiutato ad affrontare il tutto giorno per giorno. Non bisogna avere paura di cambiare: convivere con il Parkinson non è semplice, ma non dobbiamo dargliela vinta».
Angela Parmigiani ha 74 anni e da quattro sa di avere il Parkinson. «Quando me l’hanno detto ho quasi sorriso – ricorda – “Per fortuna non è un tumore”, ho pensato, aggrappandomi a questa consolazione. Per ora non sto male: ognuno ha il suo Parkinson, e il neurologo dice che il mio è “seduto”. È stabile, non arriva a farmi tremare o perdere l’equilibrio…Ma non so quando si sveglierà. Per questo ho iniziato subito la terapia farmacologica, la fisioterapia e un percorso con una nutrizionista. Cerco di camminare molto e seguo un corso di ballo, perché mi fa stare bene ed è una disciplina che aiuta a mettere in connessione il corpo e il cervello. In questi anni ho scoperto il bisogno di stare insieme agli altri, soprattutto chi ha i nostri stessi problemi. Ci aiutiamo, e portiamo sempre a casa qualcosa di positivo».
Per Angelo Corbani, 75 anni, la convivenza con il Parkinson inizia dodici anni fa. «Abituarsi è impossibile – commenta – È una malattia molto subdola: c’è ma non si vede, finché non si manifesta. Nessun giorno è uguale all’altro: ti illude che sia tutto normale, poi d’un tratto ti blocchi. Lei decide, tu puoi solo subirla. Mi ritengo ancora “fortunato”, ci sono persone molto più giovani che vivono condizioni ben peggiori, ma non è sempre facile. Sono sempre stato abituato ad essere autonomo e ora non riesco più a fare tutto ciò che facevo prima. La malattia ha stravolto il mio modo di vivere e di comportarmi, anche nei rapporti personali. Ora non mi sento più sicuro di nulla, anche nelle attività quotidiane, come alzarmi dal letto o abbottonare la camicia. Ho sempre cercato di fare tutto ciò che aiuta a contrastare la malattia, dalla fisioterapia alla logopedia, ma in certi momenti l’umore ne risente parecchio. Non voglio dargliela vinta, ma a volte vince lei».
I MITI DA SFATARE
Chi vive la malattia di Parkinson si trova ad affrontare alcune convinzioni che poco aderiscono alla realtà dei fatti. Conoscerle aiuta a comprendere meglio la patologia e le persone che la affrontano.
Il Parkinson è una malattia “uguale” per tutti i pazienti
No. Si manifesta in modo eterogeneo, con sintomi diversi da persona a persona che soprattutto nelle fasi iniziali possono essere gestiti con terapie mirate.
Il sintomo prevalente è il tremore
No. Il tremore è solo il sintomo più visibile, prevalente ma non invalidante. In buona parte dei casi, il tremore a riposo non impedisce alla persona di utilizzare gli oggetti. Il problema principale è la rigidità, che può portare a problemi di deambulazione o cadute rovinose.
I farmaci non hanno effetti collaterali
Non è vero. Oltre allo sviluppo di dipendenze, tra gli effetti collaterali dei farmaci possono verificarsi allucinazioni, comportamenti compulsivi (gioco d’azzardo, ipersessualità), legati. Occorre informare il paziente e soprattutto chi se ne prende cura, perché spesso sono le prime persone a notare questi comportamenti.
Il Parkinson interessa solo le persone anziane
No. L’esordio precoce (pari al 10% dei casi complessivi) si manifesta anche attorno ai 40 anni.
Colpisce maggiormente gli uomini
Il rapporto uomini-donne si attesta a 3 a 2, ma le pazienti sviluppano un maggiore rischio di complicanze motorie, depressione e disturbi urinari, mentre per gli uomini è più frequente il deterioramento cognitivo.
Chi ha il Parkinson vive meno a lungo
No. Il malato di Parkinson invecchia come il resto della popolazione: non sviluppa necessariamente demenza né mortalità precoce, solo si muove più lentamente e con più difficoltà di altri. In assenza di altre patologie, l’aspettativa di vita è pari a quella della popolazione generale.
È possibile convivere con il Parkinson?
Sì, ma servono terapie adeguate definite a seconda del caso. La diagnosi precoce è importante per gestire i sintomi già in fase iniziale e ritardare l’evoluzione della malattia, consentendo di ricorrere a terapie avanzate in un secondo momento. Combinate alla terapia farmacologica, la fisioterapia e l’attività sportiva possono essere di grande aiuto.
Una risposta
Grazie per aver dedicato l’articolo al problema Parkinson.
Tutto vero quanto scritto, in quanto io ammalato lo sto vivendo sulla mia pelle.
Mi preme, però, sottolineare che non si sia considerato l’immenso sacrificio dei caregiver che si vedono stravolgere la loro quotidianità.
Il morbo di Parkinson non è la malattia del singolo ma coinvolge e si ripercuote si chi lo aiuta.
Consiglio di visitare la mostra Non chiamatelo Morbo .