Quel gioiello del Cinema Filo (il teatro più antico della Lombardia) non era sold out, ma era gremito per la prima serata, il 23 agosto, di distribuzione in Italia del film, già culto, “Oppenheimer”. Questa è la prima bella notizia. Poi, c’è il film, un caleidoscopio complesso e contraddittorio, per raccontare la biografia del fisico teorico, fra i più famosi dell’età contemporanea. La pellicola, diretta da Christopher Nolan, si basa sul libro “Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato (American Prometheus)” di Kai Bird e Martin J. Sherwin. L’opera, imponente, narra la vita del fisico statunitense Robert Oppenheimer, autore di importanti contributi nel campo della fisica moderna, in particolare nella meccanica quantistica; la sua fama è legata soprattutto alla costruzione della prima bomba atomica. Interpretato da Cillian Murphy, non è un biopic convenzionale, perché non procede seguendo cronologicamente le fasi della vita del fisico teorico, che ha scoperto, fra l’altro, i buchi neri, ma procede per continui, incalzanti salti temporali, giocandosi almeno la metà dei 180 minuti di film in bianco e nero e la restante parte a colori, pastellati, seppiati, anni 40. Inframmezzati da fragori, bagliori, scoppi, come a far presagire sottotraccia, già pensiero, calcolo matematico, teoria, la pratica concreta di un’invenzione, talmente problematizzata, anche emotivamente, da Oppenheimer, da portarlo, di fronte all’uso politico della sua creazione distruttiva, davanti ad una folla ora acclamante, ora biasimante, sulla soglia della demenza, che si manifesta con fenomeni allucinatori, sia visivi che uditivi.
«I fisici hanno conosciuto il peccato» fu il suo sconsolato commento dopo l’esplosione della bomba di Hiroshima.
Il cuore del film è la creazione a Los Alamos nel New Mexico del polo scientifico più ingegnoso mai immaginato. Oppenheimer eccelleva per chiarezza di idee, capacità di sintesi, intuizione e doti organizzative: grazie alle sue abilità, nel 1942 il governo degli Stati Uniti lo chiamò a dirigere il progetto Manhattan. Oppenheimer si circondò dei migliori fisici nucleari del mondo, costituendo il gruppo di ricerca più importante che sia mai esistito nella storia della scienza. A differenza di molti suoi colleghi, lui fu sempre molto consapevole della propria parte di responsabilità per il lancio dell’atomica su Hiroshima e Nagasaki. Tant’è che una successiva crisi di coscienza lo indusse a rifiutare di lavorare a quella all’idrogeno.
Se la sua idea originaria era di creare l’atomica prima che lo facessero i nazisti, di fatto a guerra finita e finito il nazismo, la bomba atomica del progetto Manhattan servirà ad altri scopi politici e inaugurerà la corsa agli armamenti, che è la spina dorsale della Guerra Fredda, l’auspicio dello scienziato è infatti che anche la Russia si doti della bomba, per creare una situazione di parità, come principale deterrente all’uso.
E’ un film sensoriale, va visto in una sala con impianto sonoro all’avanguardia, la straordinaria colonna sonora della pellicola è stata composta da Ludwig Göransson, alla sua seconda collaborazione con Nolan dopo Tenet. E’ un film corale, anche se la solitudine del protagonista è assoluta. Accanto all’attore principale, Cillian Murphy, ruotano 34 coprotagonisti, scienziati, numerosissimi, fra i quali un Einstein solitario, la moglie, l’amante (o forse sarebbe meglio dire l’amante e la moglie, capirete il perché) i rappresentanti politici che si avvicendano sulla scena, memorabile la conversazione con Eisenhauer (avevano già sganciato due bombe e Oppenheimer non lo sapeva).
Altri attori sono Kenneth Branagh, Florence Pugh, Emily Blunt, Jack Quaid e Robert Downey Jr. Tutti trasfigurati, invecchiati, imbolsiti. E’ un film dove non si sorride mai, persino i bambini piangono sempre. Non c’è spazio per la felicità. C’è tensione costante, diffidenza, paura. Il protagonista, che, fra l’altro, mostra una somiglianza interessante con lo scienziato, ha due occhi azzurri sbarrati sul mondo. E’ come braccato da un demone che lo consuma. E’ il fuoco sacro della scienza, ma è anche il terrore di essere costantemente la gazzella inseguita dalle fiere.
Il film racconta un’epoca amara, cospirativa, con spie, traditori, uomini e donne con mille facce. Oppenheimer non diventa un eroe e neanche un super eroe, e non è la risposta reale al Batman di Nolan. Il passaggio dal gotha della scienza di Los Alamos alle aule di tribunale è breve. Lui ebreo, con simpatie comuniste, che rinnega, disegna con il corposo entourage un affresco pieno di contraddizioni. La parola chiave per capire il film, complesso, interessante, ben congeniato, è proprio questa: contraddizione. Tutte le scelte estetiche effettuate con maestria da Nolan portano lì: ad un mondo cattivo, insidioso, malvagio, opaco, mortifero, tormentato, che Einstein contrasta con lunghe, serafiche passeggiate nella natura, dando di lui più l’immagine del buon padre di famiglia che del rampante scienziato.
Come non ricordare la sua frase: “La bomba atomica… Se solo l’avessi saputo, avrei fatto l’orologiaio”.
Oppenheimer si rivolge ad Einstein prima del progetto Manhattan con un foglietto pieno di formule, vuole sapere da lui se i calcoli sono esatti, la sua preoccupazione è quella di evitare il cosiddetto “effetto a catena” che comporterebbe una devastazione esponenziale e addirittura la distruzione dell’umanità. Einstein restituisce la paginetta dicendo: i calcoli sono inesatti. Lo consulterà anche durante la fase di Los Alamos. Einstein ha avuto un ruolo sfumato, indiretto. Lo sappiamo dalla storia, dalla sua biografia. Durante la seconda guerra mondiale aveva chiesto al presidente Roosvelt di realizzare una bomba a scopi difensivi. Nel film resta una figura di sfondo, ma incisiva, perché, fra l’altro, è l’unica figura bonaria, semplice, serena rispetto all’inevitabile. Il vecchio saggio, che non è troppo convinto sugli sviluppi della teoria della relatività, che è poi la madre di tutte le battaglie.
Il film, che è uscito in contemporanea con Barbie negli Stati Uniti, ne condivide il successo deflagrante ai botteghini, tanto che si sta parlando di “effetto Barbenheimer”.
“E’ una vittoria per il cinema”, “la mia impressione è che siamo sull’orlo di un’età dell’oro”, ha dichiarato il regista Francis Ford Coppola, elogiando il fenomeno. La gente sta tornando al cinema ed è una notizia grandiosa.
Francesca Codazzi
13 risposte
Meraviglioso!
Grazie Raffi
Grazie
Brava Franci, come sempre.
Grazie Baba
l’ineluttabilità del male, potremmo sottotitolarlo. Più si penetra nella conoscenza, e più si scopre il male esponendoci a pesantissimi dilemmi: usarlo prima degli altri, o lasciarsi sopraffarre?
Già
Come sempre impeccabile. Brava Francy, continua così!
Grazie Claudia, amica mia
Splendida recensione Francesca, andrò a vederlo sicuramente.
Grazie! Mi dirai
Puntuale e colpisci sempre nel segno. Il resto è solo contorno.
Brava Francesca
Grazie!