GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI
Ama farsi chiamare ‘libero mercato’ e con tale suggestivo nome di copertura circola e prospera fra noi, silenziosamente mietendo ogni giorno legioni di impotenti vittime sacrificali. Già, perché è obiettivamente difficile non concedere fiducia a quelle due parole -mercato e libertà – che all’istante suggeriscono orizzonti di prosperità, di libera e felice circolazione di merci, uomini e idee. Ma soprattutto promettono sterminate praterie di nuove opportunità in cui milioni di consumatori, reduci dai secoli bui dei monopoli, possono finalmente celebrare il rito della scelta e ottenere il miglior prodotto e il miglior servizio alle migliori condizioni. Almeno a detta dei cantori di rito sinistro quanto destro che a ogni liberalizzazione o privatizzazione –dai trasporti alla telefonia, dal gas alla luce – giurano che il libero gioco della concorrenza
garantisce al consumatore prezzi più convenienti, qualità più elevata, maggior voce in capitolo per far vaere le proprie ragioni… i famosi ‘diritti del consumatore’. Come ogni paradiso anche quello commerciale si presenta con debita scorta di angeli custodi: i numeri verdi (verde speranza, ovviamente) pronti ventiquattr’ore su ventiquattro all’amichevole ascolto e alla giusta risposta. Cosa dedurne? Che, al netto
delle umane e inevitabili imperfezioni, siamo di fronte a un mirabile monumento di moralità meritocratica: a parità di regole, ogni soggetto può in teoria entrare nell’arena del mercato, dimostrare se e quanto vale e facendo il proprio interesse fare anche quello collettivo.
Se così stanno le cose, devo essere affetta da qualche preoccupante ottusità perché, per quanto mi sforzi, non avverto i fremiti del doveroso entusiasmo. E quand’anche l’avessi, sarebbe bastata a spegnerlo la ‘giornata di ordinaria follia’ recentemente vissuta in qualità di utente. Eccone sintetico resoconto. Alba tragica. Ancor prima di essere sveglia ero già dolorosamente consapevole di dovere tornare alla titanica impresa infinite volte tentata e fallita il giorno prima: contattare il numero verde di tale Co.ro.met (cooperativa Solco di Brescia) che in giornata deve procedere alla sostituzione dei contatori dell’energia elettrica di proprietà di LD Reti, operante anche nel Cremonese nella distribuzione di energia. Ne ero stata informata da poche ore. Giusto il giorno prima il relativo avviso, o meglio diktat, era stato incollato al mio portone. Senonché l’ora indicata per l’esecuzione del lavoro coincideva con un impegno precedentemente assunto e di difficile smontaggio. Per fortuna a farmi sperare in un possibile patteggiamento di fascia oraria c’era il numero verde contenuto nel laconico
comunicato. Osai comporlo. E il calvario ebbe inizio. Quindici chiamate nell’arco della giornata: nessuna risposta. Alle 8 del giorno successivo, nell’imminenza dei previsti lavori, torno alla carica nella speranza che l’anonimo telefonista in un momento di distrazione abbia la bonomia di rispondermi. In effetti è così. Ma l’interlocutrice, prontamente tornata in sé, mi liquida all’istante con gelida reticenza: “ Provi a chiamare più tardi”. Resa docile dalla pressione bassa non ho la forza di ribattere. Riattacco. Ma dopo mezz’ora e un caffè carico torno sul ring. E cosa sento? “ Destinatario irraggiungibile. Contattare il presidente”. Che è come consigliare al proprietario di una Fiat che chiama il concessionario per un pezzo di ricambio di rivolgersi agli Agnelli. Mi arrendo: disdico il precedente impegno, resto in frustrante attesa che il destino faccia il suo corso e prendo atto dell’evidenza.
Altro che utenti, clienti e consumatori titolari di qualche pur modesta garanzia difensiva: non siamo che poveri ostaggi di una giungla di sigle, appaltatori e appaltati, di società farlocche e scatole cinesi, di ignoti, remoti e irraggiungibili operatori che non potremo mai guardare
negli occhi per dirgli ‘Mi stai fregando’ ricavandone la sublime soddisfazione di una pur lieve traccia di imbarazzo. Intanto il tempo passa e realizzo che oggi il destino non solo non mi ha dato scelta ma se la prende pure comoda. Il tecnico in fine arriva ma si materializza con due ore di ritardo. Come che sia i contatori sono infine sostituiti e il lavoro ultimato. Ottimista di natura, nutro fiducia nel seguito della giornata. E, incautamente disponibile all’ignoto, sollevo il ricevitore allo squillo del telefono fisso. Il cui numero, teoricamente ‘riservato’ secondo l’originario impegno di Vodafone, dev’essere stato in realtà commercialmente ceduto a cani e porci se qualunque rompiscatole ha facoltà di chiamarmi, con elegante predilezione per l’ora di pranzo e cena. Non negherò tuttavia che l’esordio della telefonata sia di intrigante originalità. Una voce flautata, non propriamente nordica, mi consiglia di farmi forza in vista di una notizia “un po’ delicata”: i principali gestori di telefonia stanno per iniziare un lungo e gigantesco lavoro di potenziamento tecnologico che comporterà mesi di parziale sospensione del servizio e un aumento mensile di 10 euro del canone, necessario a sostenere la faraonica impresa. Ho via d’uscita? Si, recedere dal contratto e cambiare gestore. E, guarda caso, la voce flautata deve appartenere a un’accanita samaritana che, avendo a cuore il mio destino, si dichiara disposta a guidarmi nel transito commerciale. Informo che sto registrando la telefonata e la voce flautata improvvisamente si lacera in un ‘vaffà’ elegante quanto un rutto. E riattacca tornando nel nulla da cui è venuta.
Cerco distrazione nel cellulare, giusto per la quotidiana occhiata alle mail. Pessima scelta: un sms di Wind, cui sono approdata in fuga da Vodafone mobile, mi informa di un aumento mensile di 2 euro per costi finalizzati al potenziamento del servizio. Caspita, le sorti del mondo sono in ottime mani visto che tutti, tranne me, sono impegnati in un planetario piano di potenziamento. Di cosa? Non si sa. A quale scopo? Nebbia fitta. E’ peraltro noto che Nostra Signora Tecnologia preferisce trafficare sui mezzi che interrogarsi sui fini. Ma un particolare a spanne lo ricordo: il contratto sottoscritto col gestore conteneva reciprocità d’impegno. Se mi vincolo a restare due anni, la tariffa non subirà modifiche. Riuscirò a guardare in faccia un umano mentre espongo le mie modeste ragioni o dovrò sottostare al solito circuito digitale e sorbirmi, senza certezza di lieto fine, scadenti musichette in attesa che un infelice sconosciuto all’altro capo del mondo improvvisi a mio beneficio qualche precaria risposta?
Incredibilmente trovo un negozio e un umano, anzi una umana, in pieno centro storico. Rinfrancata dalla rara fortuna espongo i miei dubbi con massima urbanità. La fanciulla dietro al bancone sfodera impeccabile sorriso aziendale e con l’aria di benevola concessione fa luce sul caso. Ebbene sì, volendo possiamo venirci incontro, tagliare il male a metà e dimezzare l’aumento. Un euro invece di due. Ma a condizione che rinnovi il mio vincolo di fedeltà per altri due anni. Ricatto della più bell’acqua. La dignità calpestata insorge. Mi riservo di decidere e la pianto in asso. Ma non passano ventiquattr’ore e con un nuovo sms Wind capitola e dichiara ‘indietro tutta’: se vuoi, puoi restare nel precedente regime tariffario. Normali strategie commerciali, mi dicono. Le società ci provano. Se abbocchi bene. Se ti vendichi e cambi gestore fa lo stesso. Come nella più classica love story, diventi bersaglio di una messaggistica straziante “torna cun mme, nun me lassà”. E tu tornerai. Non per nostalgia ma perché chi ti ha adescato col classico “Io ti darò di più” gettata la maschera dopo due mesi, s’è rivelato più mascalzone dei precedenti.
E sarebbe questo il libero mercato? Strano. Lo direi piuttosto un gigantesco cartello, botte di ferro in cui prosperano – con logiche da monopolio di gruppo – compagnie di giro ispirate a sovrano disprezzo dell’utente e a scientifica capacità di massimizzare il profitto con miserrime astuzie che solleverebbero riserve morali persino nel più incallito borsaiolo di Scampia. Antitrust e Garante della Privacy, se davvero ci siete e sottolineo se, battete un colpo e aiutate la riscossa di noi inermi ostaggi, contesi e sballottati come bambocci di pezza fra un ‘Resta cun mme’ e un ‘Io ti darò di più’.
Ada Ferrari
6 risposte
Buongiorno prof.ssa Ferrari
io ho risolto la questione “libero mercato utenze con varie ed eventuali” in maniera molto semplice: mi sono arreso.
Brutto da dirsi ma tremendamente realistico, mi sono iscritto al registro delle opposizioni per evitare telefonate importune e la situazione è peggiorata, le poche volte in cui ho cercato riscontro da un call center è stato peggio del castello di Kafka. Libero mercato libere regole, dicono, ma alla fine ti rendi conto che il conto più salato non è quello delle bollette, di suo generalmente già carissimo, ma del tempo perso e della rabbia che ti consuma. Il feroce obbiettivo del dumping salariale per la riduzione dei costi ha creato uno stratagemma perfetto per quelle aziende che non tollerano “i clienti molesti e molestatori”, rendere la vita impossibile o quasi alla clientela perché, in questo modo, si riducono i costi degli interventi. Più che una giungla sulle offerte mi sembrano sabbie mobili infide e tremendamente preparate nel non risolvere, tanto siamo solo un numero su un monitor.
Buona serata
È proprio così. Ma la resa individuale, inevitabile per sopravvivere, credo non ci esima dal dovere di una complessiva riflessione critica sul demenziale baraccone sempre più immeritevole del nome di ‘libero mercato’ di cui retoricamente continua a fregiarsi.
Ingannevole suggestione delle parole. Mercato libero sinonimo di predazione selvaggia, con pochi scrupoli, prevalente quello di quanto ingrassare le proprie tasche. Emblematica la speculazione del gas, sanzionata dall’Authority. Quante affinità con un tema recentemente trattato, in relazione a cui il filosofo Hobbes, con cui mi trovo sempre più d’accordo, definì l’uomo dominato dall’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione, e gli antichi latini formularono quell’ azzeccatissima metafora dell’homo hominis lupus.
Già. Anch’io finisco coll’apprezzare il duro realismo di Hobbes che di fronte alla nostra incapacità di comportarci decentemente vede l’unica soluzione nel famoso Leviatano, cioè in uno Stato dotato di potere assoluto che ci costringe a rigare dritti …Ma occhio, caro Stefano’ perché questo ragionamento ci porta dritto alla nostalgia per più Stato e meno mercato. Col che si apre un problemone di scontro fra culture politiche e visioni del mondo. Ma hai messo il dito sulla piaga.
L’apprezzamento di Hobbes riguarda l’affermazione citata, per il resto sono contrario ai totalitarismi, ma rispetto ad uno Stato che rinuncia a prendersi cura del bene pubblico per arricchire bande di avvoltoi che di questo bene non gliene frega niente, soprattutto se riguarda servizi essenziali, sono assolutamente favorevole al ritorno al passato.
Un problema che esiste da tempo, iniziato con la telefonia e poi esteso ad altri servizi. Cosa manca in italia ? La autority, ma con la A maiuscola ! Quella che opera adesso non è adeguata, guidata tante volte da ex-manager delle stesse Società su cui dovrebbero vigilare e regolamentare.