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Ortrugo

22 Aprile 2022

Settembre 1944. L’uomo è seduto, unico cliente, ad un tavolo d’angolo nella vecchia osteria. Si è fermato a Ceci – una frazione di una manciata d’anime sperduta nel cuore dell’Appennino emiliano – dalla Giuditta, una vedova che manda avanti la bettola, l’unica lungo tutta la strada sterrata che dal Penice si snoda tortuosa in mezza costa a strapiombo sul greto del torrente. Guarda oltre la finestra spalancata le montagne che in quel tratto si presentano aspre: le pinete e i boschi di castagni hanno lasciato il posto a scabri calanchi e alla flora rupestre. E’ stanco: ha camminato molto. E’
sfuggito per miracolo a una retata ed è diretto a Bobbio, una decina di chilometri più in basso. E’ pomeriggio inoltrato e calcola che tra un’ora si allungheranno le ombre della sera; poi, in un soffio, sarà notte. Sa che fino a Bobbio non troverà né luci né case e con la luna nuova proseguirà protetto da un’oscurità profonda, guidato dal solo pulsare delle stelle.
Giù, nella valle del Trebbia, la collina è generosa di viti, ma sotto quel bel cielo chiaro si avrà una vendemmia magra, avvilita dalle devastazioni della guerra. L’uomo si ristora bevendo avidamente dalla caraffa colma fino all’orlo di vino bianco, fresco e frizzante: l’Ortrugo. Ma ecco che alla porta d’ingresso si affaccia un capitano della Wermacht: di colpo l’uomo smette di bere e sente il sangue gelarsi.

‘Herr professor Bosi – esclama inaspettatamente il nuovo venuto, un ufficiale sulla trentina dal tratto signorile – che sorpresa! Posso sedere con lei?’

‘Con piacere capitano – risponde l’altro ripresosi – assaggi questo vino, è magico.’

Anche Claudio Bosi – docente di letteratura tedesca a Pavia – ha riconosciuto il capitano von Sternberg con cui, alcuni mesi prima, si era intrattenuto al termine di una conferenza su Lessing e la Drammaturgia d’Amburgo.

‘Come mai da queste parti?’ chiede von Sternberg.

‘In mezzo a tutti questi disastri sto cercando di arrivare a Bobbio… ma adesso gustiamoci il vino.’

E subito la conversazione spazia su Heine e Goethe, mentre la Giuditta non sta indietro con le caraffe d’Ortrugo. E col vino arrivano la pancetta e il burro fatto in bottiglia.

‘Peccato per il pane nero – azzarda Bosi – ma coi tempi che corrono è già tanto…’

Il tedesco sorride; poi d’improvviso si fa serio.

‘Stamattina al Penice la Gestapo ha organizzato un rastrellamento in
grande stile. Hanno preso diversi partigiani, ma il comandante Renzo gli è scappato, come dite voi, da sotto il naso. Sanno solo il nome di battaglia, ma conoscendo i loro metodi sono certo che non ci metteranno molto a farsi dire quello vero.’

‘E’ per questo che lei si trova qui?’ chiede Bosi.

‘Sì. Renzo ha due vie di fuga: la strada di Cadelmonte o questa di Ceci dove io comando il posto di blocco.’

Bosi ha un moto di sorpresa che l’altro interpreta prontamente:

‘Lo so, arrivando lei non ci ha visti: siamo ben mimetizzati. Quando è passato dal crocevia ero lì anch’io: l’ho riconosciuta e ho dato ordine di non intervenire… di lasciarla passare. Ero sicuro di trovarla qui.’

Aspira una lunga boccata di fumo e riprende:

‘Non amo le operazioni di polizia. La mia famiglia è di Brema e appartiene alla nobiltà anseatica. Io combatto per la patria, ma voglio farlo con onore. Non farò sconti ai partigiani, sia chiaro, e non potrò fare prigionieri… una fucilazione al petto è sempre meglio che cadere in mano alle SS.’

Entrambi restano muti fumando per alcuni minuti interminabili: Bosi teso come un archetto, von Sternberg indecifrabile.

E’ infine il tedesco a rompere il silenzio fattosi greve: ‘Beviamo l’ultima caraffa di Ortrugo. E’ buio e lei ha ancora molta
strada davanti.’

Si lasciarono alla prima curva dopo l’ultimo gruppo di case; Bosi si allontanò con la certezza di essere stato scoperto e la sensazione che da un momento all’altro gli sarebbe arrivata una raffica nella schiena. Ma si sbagliava. Forse, pensò poi, l’Ortrugo aveva fatto il miracolo.

 

Gianni Carotti

Tratto da ‘L’occhio di Samuele’ – Racconti. Campanotto Editore.

4 risposte

    1. Bravo Gianni!
      Questi racconti mi commuovono sempre. Fanno rimando a un mondo che fu, a sentimenti di coraggio ed onore che sembrano spariti dalla società attuale. Questo racconto poi è particolarmente bello! Bravo Gianni!

  1. Ho conosciuto molti anni fa Gianni Carotti. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo prima, ma fu la differenza di età ad impedirmelo. L’occasione fu un piccolo check per un problema minimale di salute, risolto prontamente. Nei giorni di quella breve degenza ospedaliera le nostre conversazioni spaziarono lungo argomenti comuni: il cinema, la buona tavola e i cani. Mi ricordo del suo setter, dal portamento regale. Si parlò tanto del nostro cinema cremonese home-made a cui Carotti aveva partecipato. Ora lo ritrovo a scrivere (e che penna!). E scopro che ha pubblicato racconti che andrò di sicuro a leggere. L’ho rivisto di recente in compagnia di un ennesimo cane. Poche parole per riprendere argomenti interrotti almeno dieci anni prima. È stato un piacere. Un piacere constatare che i veri uomini di cultura hanno in comune il profilo della semplicità e l’umiltà dell’uomo che sa senza bisogno di sbandierarlo. Bravo Gianni! Bravo per davvero. Alla prossima.

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