Interessante notare come il progetto per la costruzione di un nuovo ospedale a Cremona nasca, all’insaputa di tutti, nelle segrete stanze di Regione Lombardia e, nonostante qualche legittima richiesta di spiegazioni, rappresenti di fatto una sorta di obbligo per il territorio, una decisione non solo calata dall’alto, ma da subire a scatola chiusa. Uno dei motivi addotti per giustificare tale scelta è stata attribuita al fatto che la struttura attuale non rispetta le norme antisismiche.
Siamo d’accordo. Non c’è dubbio che l’attuale edificio non è stato costruito secondo le attuali disposizioni, anche perché è stato edificato molto tempo prima. Tuttavia alzi la mano chi abita, vive e lavora in un edificio costruito e certificato per resistere ai terremoti. Immagino che neppure Palazzo Cittanova, Sant’Agostino, l’Arcivescovado, Palazzo Comunale siano in grado di esibire certificazione adeguata e garanzie formali. Se però la logica che sottintende la costruzione di un nuovo ospedale è quella di avere un edificio a norma antisismica, allora cosa impedisce di estendere la proposta a tutti gli edifici del centro storico? Magari per iniziare a demolirlo, magari lasciando in piedi solamente le villette di periferia e i supermercati che circondano la città, ma soltanto quelli di recente costruzione e che rispettano la normativa.
Viene inoltre affermato che nel nuovo ospedale si verrà curati meglio. Non è vero. Non è vero che un edificio nuovo può garantire prestazioni migliori. Le prestazioni le fanno le persone, i professionisti, la loro preparazione ed il loro senso di responsabilità, la loro motivazione, le attrezzature, la tecnologia e l’organizzazione. Ma perché invece di pensare ad una nuova struttura edilizia, nessuno si chiede come mai molti medici ed infermieri hanno lasciato l’ospedale?
Secondo ANAAO-Lombardia a Cremona, al netto dei pensionamenti, hanno abbandonato la sanità pubblica qualcosa come 91 medici. Un ulteriore aspetto tragico della faccenda è che quelli che se ne dovrebbero andare davvero (qualcuno c’è, purtroppo) sembrano incatenati al loro posto. Qualcuno davvero ritiene che i pazienti decidano di farsi curare in una struttura piuttosto che un’altra solamente per i muri colorati e le tende a fiorellini?
Per fortuna (e per ora) l’ospedale attuale vanta professionisti eccellenti che non hanno bisogno di parenti ed amici a sostegno: ma fino a quando? Investire sulle persone è la chiave di tutto, i muri e l’edilizia semmai vengono dopo. Dotare il personale di strumentazione tecnologica per tenere il passo con gli sviluppi della medicina attuale è un altro punto critico. Meglio non approfondire, ma non sarebbe male ricordare alcune ‘decisioni superiori’ che hanno di fatto ostacolato la crescita della sanità pubblica cremonese. Purtroppo la memoria è corta, ma perché scordare le affermazioni dell’assessore lombardo alla sanità Bresciani che nel 2010 affermava che la scelta dei dirigenti della sanità pubblica doveva essere basata sull’obbedienza e la fedeltà ai politici che li avevano nominati? Magari è anche questo che ha portato a Cremona personaggi che hanno contribuito non poco a ridurre l’importanza dell’ospedale, nonostante i disperati sforzi dei sanitari per opporsi al naufragio.
Nei fatti sembra che il declino della sanità cremonese sia l’obiettivo di una politica che privilegia la sanità privata. In questo contesto appare difficile sostenere che la costruzione di un nuovo edificio sia in grado di porre rimedio alle numerose criticità della situazione attuale. Tra l’altro non si può neppure escludere che la costruzione di un nuovo edificio possa subire qualche intoppo, qualche ritardo. Se guardiamo al canale navigabile, alla bonifica Tamoil, oppure ai collegamenti stradali e ferroviari verso Milano, qualcosa dovremmo pure avere imparato. Nulla di pregiudiziale nei confronti dei cantieri infiniti (in fondo anche i pensionati debbono avere qualche distrazione) ma il caso di un ospedale è diverso e ci dispiacerebbe vedere i pazienti sballottati tra l’edificio vecchio e quello in costruzione, tra gioviali muratori, avvenenti infermiere e barelle a rischio di cappottamento.
Pietro Cavalli
(2 – continua)
2 risposte
Il metodo del Tribunale per i diritti del Malato era quello di coinvolgere tutta la cittadinanza, a cominciare dalle massime Autorita’ civili, religiose e del volontariato. Abbiamo sempre ottenuto ottimi risultati. Perché’ non ricorrere ai cittadini che, non dimentichiamolo, saranno loro ad affrontare la spesa?
Che fortuna per i cremonesi avere la tranquillità di essere curati senza il timore di rischiare di restare sepolti sotto le macerie provocate da un terremoto! Dovranno solo impegnarsi nell’ammalarsi delle patologie giuste, quelle previste nell’ospedale del futuro. Altrimenti per poter essere assistiti adeguatamente dovranno ricorrere a strutture ‘ pericolose’.