C’è un altro modo, oltre agli annunci, alle inaugurazioni, all’impiego di comunicati stampa, di fare la medicina. Ed è quello, che molti di noi conoscono e auspicano, di produrre buoni risultati in termini di salute. Come ben sanno quelli che nella loro attività rischiano in prima persona e rispondono delle loro azioni, gli investimenti migliori sono quelli sulle persone, non sui proclami. Però se questo vale nello sport, nella industria, nella ristorazione, nell’informatica, nel furto con scasso e nella rapina, nella vendita al dettaglio, nell’editoria, nell’agricoltura, nell’enologia, nel turismo e molto altro ancora, non sembra per nulla valido nella sanità pubblica (e non solo). Non si spiegherebbero altrimenti situazioni imbarazzanti come quella che sta vivendo l’Ospedale di Cremona, alle prese con una ristrutturazione che non appare né ben spiegata, né ben compresa dalla popolazione.
Nel corso degli anni e con il succedersi di direzioni che hanno (purtroppo) lasciato il segno, l’ospedale e la popolazione di Cremona hanno assistito al succedersi incalzante di una ridda di nomi accattivanti che, andando a memoria, inizia con ‘medicina traslazionale’, passa per ‘laboratorio di ricerca’ per finire ad ‘area donna’ e che nella speranza delle donne cremonesi e delle loro meritorie organizzazioni, avrebbero dovuto costituire un polo di attrazione per le patologie del territorio precedentemente seguite e curate dalla analoga struttura definita più semplicemente ‘breast unit’.
Quando finalmente gli uffici sanitari del territorio renderanno pubblici i dati relativi alla migrazione della popolazione cremonese verso altre strutture di diagnosi e cura per le loro patologie, forse potremo anche renderci conto che un’etichetta, una targa, una inaugurazione non sono sempre sufficienti a garantire la soluzione di problemi complessi come quelli riguardanti la salute. Pare infatti che molte donne cremonesi, sempre più numerose e passandosi la voce, si rivolgano altrove per i loro gravi problemi di salute.
Da una parte quindi sembra accertata l’emigrazione cremonese verso altri lidi sanitari, dall’altra però non vanno dimenticati i dati ufficiali di ministero e Agenas (Agenzia Nazionale per il Servizi Sanitari Regionali) questi sì, facilmente accessibili, che rilevano una situazione cremonese che con un certo ottimismo si potrebbe definire non buonissima. Anche i dati, peraltro non aggiornati, della Sanità territoriale, evidenziano situazioni insolite e di non facile comprensione su incidenza e mortalità per alcuni tumori prevalentemente femminili.
E’ già stato scritto che molti reparti dell’ospedale di Cremona risultano invece molto efficienti e garantiscono ottimi risultati in termini di salute, anche superiori rispetto ad altre strutture lombarde certamente più rinomate. E’ stato scritto delle performance superiori alla media di cardiologia, ostetricia, neurologia e di altri reparti che dovrebbero renderci orgogliosi del nostro Ospedale.
Purtroppo i dati ministeriali individuano altri reparti che mostrano parecchie criticità, in accordo con quanto sopra descritto. Non spetta a noi individuare e perseguire soluzioni, tuttavia, come si diceva all’inizio, uno degli aspetti fondamentali sembra quello di intervenire prima di tutto sulle persone e monitorare con attenzione eventuali ed auspicate inversioni di tendenza. Tra gli altri reparti in apparente difficoltà non va dimenticata la Genetica, che aveva vissuto momenti di autentico splendore negli anni passati e che sembra avviarsi tristemente a divenire un modesto laboratorio satellite di altre a più dotate strutture. Il tutto senza accorgersi che il resto del mondo sanitario pubblico e privato sta investendo moltissimo in un’attività oggi indispensabile per un numero sempre maggiore di diagnosi e terapie. Lasciamo pur perdere i colossi del privato come Synlab e CDI: gli ospedali Policlinico, Niguarda, Brescia, Monza, Varese stanno facendo ingenti investimenti nella genetica. A ruota seguono anche le strutture più piccole, quali gli ospedali di Piacenza e di Legnano che fanno a gara per accaparrarsi gli specialisti migliori e le più avanzate tecnologie. Non sembra il caso di Cremona. Spiace vedersi spegnere due strutture sanitarie che tanto hanno saputo dare alla popolazione cremonese negli anni passati e pare strano che nessuno sembri accorgersi di una condizione nella quale alla perdita di competenze si sommano i consueti aspetti relazionali che in una città di provincia sembrano prevalere su tutto il resto.
Vittoriano Zanolli