Il nuovo ospedale di Cremona è candidato a diventare l’ottava meraviglia del mondo. Piazzato tra la piramide di Cheope e il Colosso di Rodi, trasformerà la città nella capitale della sanità. Da decidere se italiana, europea o mondiale. Lo è già del latte, della protesta, della ricerca, dell’innovazione e dell’energia. Ma anche delle illusioni, delle pippe, del vorrei ma non posso. Delle opportunità sprecate. Con la presentazione dell’assessore regionale Letizia Moratti all’Expo di Dubai, l’ospedale delle meraviglie è nella leggenda. Sulla rampa di lancio, pronto per raggiungere la sanità stellare, è un mito.
Con l’intervista rilasciata al quotidiano La Provincia (23 febbraio) da Giuseppe Rossi
direttore generale dell’Asst di Cremona, è anche uno spartiacque. «È la prima volta – sottolinea Rossi – che in Italia si sceglie la strada di un concorso internazionale che verrà vinto dal migliore progetto e non dal progettista». Non male: non vincerà l’elaborato peggiore e sarà evitato il casting tra archistar e super ingegneri del settore. Però i progetti qualcuno dovrà presentarli. E in un concorso pubblico, da sempre, vince la proposta migliore, non la più scalcinata. Può succedere il contrario, ma è materia da codice penale. L’intervista occupa una pagina intera e non è firmata.
Rossi risponde a un giornalista sconosciuto, fantasma che lo asseconda. È un monologo,
inframezzato da domande, finalizzate a interrompere il soliloquio e a permettere al lettore
di rifiatare. Assente il confronto dialettico. Rossi prende in mano il pallino. Se la suona e se la canta dall’inizio alla fine, in sintonia con il suo passato da chitarrista, nome d’arte Gegè, dei Distretto 51. Intona il Salmo 19, in versione laica e adattato alla situazione, e glorifica l’ospedale 4.0. Gioiellino ipertecnologico, iperefficiente e ipercontrollato, lo si può immaginare privo di
umanità, algido e supponente. E perché no? inquietante, con la videosorveglianza in tutte
le camere e il resto che lo renderà set ideale per girare un film fantascientifico. Rossi si esibisce in un inno all’assistenza dei cyborg di domani e trascura gli attuali umani, che, sfiniti dal vivere quotidiano, per un sollievo si aggrappano ai medici di base, merce rara.
L’intervista è un surf sulle onde della sanità d’eccellenza, con un passaggio veloce su quella del territorio e con annessa ammissione della sua importanza. Inciso che puzza di captatio
benevolentiae verso gli scassapalle contrari alla costruzione di un santuario da trecento e passa milioni di euro. Con medici e infermieri speciali e attrezzature straordinarie, la cattedrale pensionerà la Madonna e la sostituirà nella pratica dei miracoli. Non ci saranno cuori per grazia
ricevuta, ma costi da capogiro.
Cremona, capitale della sanità. La formula è semplice: ospedale da sballo, aria inquinata, studi epidemiologici al palo o poco oltre. Quasi tutti zitti, allineati e coperti. E vai con il liscio. L’ospedale rimarrà il sole intorno al quale ruoterà la sanità del contado. La medicina di
prossimità resterà quella frequentata dagli ultimi e penultimi. Dai tanti sfigati rappresentati dal Daniel Blake di Ken Loach in un film magistrale e da brividi. Gente comune che sopravvive, frustrata e impotente, tra problemi di salute, bollette da pagare, stipendi da fame e il virus endemico della burocrazia statale, regionale, provinciale e comunale. Il peana di Rossi è un omaggio alla sanità toccasana per l’economia. «È importante – spiega il direttore generale – pensare alla spesa sanitaria non come un costo, bensì un investimento funzionale allo sviluppo economico e alla stabilità. Investire nel sistema sanitario significa infatti generare occupazione, benessere e di contro ridurre l’esclusione sociale».
Sarebbe più coerente se l’investimento fosse funzionale alla salute dei cittadini, ma è un parere personale. Impegnare una montagna di quattrini nel nuovo ospedale, nell’immediato, può essere più redditizio che destinarli alla medicina sul territorio. È improbabile lo sia sul lungo termine.
Sostenere che la macchina da guerra prevista sia una flebo per la cura e l’assistenza dei cittadini del territorio è opinabile. Il diritto alla salute non richiede prestazioni da Guinness dei primati, meritevoli di essere pubblicate su riviste con il miglior Impact Factor. Serve molto meno. È sufficiente una medicina non schiava dell’economia, ma questo non significa ignorarla. L’assistenza sul territorio non è da oscar e anche la coppa del nonno potrebbe essere un
riconoscimento eccessivo. La causa non sono i medici, ma le strutture mancanti e
un’organizzazione inadeguata. Trecento milioni potrebbero aiutare a risolvere il problema.
La versione lillipuziana del Massachusetts General Hospital di Boston o di qualche altra
stella polare della sanità mondiale conferirà prestigio al territorio e attenuerà alcune criticità della sanità locale, ma non risolverà il problema della medicina e dell’assistenza in prima linea. Con trecento milioni avremo un ospedale di ottimo livello, ma lillipuziani siamo e lillipuziani non smetteremo d’essere. E i pazienti continueranno ad incazzarsi per la mancanza di riposte veloci e convincenti ai loro bisogni più semplici. «Il nuovo ospedale ci renderà più attrattivi». E il riferimento di Rossi è alla possibilità di attirare l’interesse dei forestieri. È un’ottima argomentazione a sostegno della scelta e anche le motivazioni che il direttore generale porta sono appropriate, ma non sufficienti per giustificare l’operazione.
Neppure il peso degli anni la giustifica. «In Italia la maggior parte degli ospedali ha superato strutturalmente il loro limite massimo di età – in genere cinquant’anni – e quello di Cremona è un esempio lampante». Quello di Crema è lampantissimo: 54 anni. «Inaugurato il 27 ottobre 1968 era costato, comprese le attrezzature, 2 miliardi e 440 milioni di lire» (Nicoletta Bigatti, Avrò cura di te. Edizioni Centro ricerca Galmozzi), ma nessuno ha mai pensato di abbatterlo e costruirne uno nuovo. Al contrario, Crema incontra problemi per la realizzazione di una casa di comunità,
struttura per la medicina del territorio e il cui costo è pari a una mancia, rispetto all’investimento per l’ospedale dei sogni.
Dove sta il problema? «Una buona salute collettiva, prima ancora che nelle mani di medici, è nelle scelte della politica» (Vittorio Agnoletto, Senza respiro, Altroconsumo). E, occorre aggiungere,
dell’economia che oggi, più del passato, impone le priorità alla politica stessa. Il business è senza cuore, senza ideali, senza tessere di partito. Business is business. E la salute non è più un diritto garantito dalla Costituzione. È una merce che si vende e si compra.
È per questo che Cremona avrà l’ottava meraviglia del mondo?
Difficile rispondere. Di sicuro, la decisione non è stata presa in riva al Po.
Antonio Grassi