La notizia: Ats Valpadana ha inaugurato una Panchina Rossa nella sede di via S. Sebastiano il 30 novembre alle ore 15. Una riflessione. La Panchina Rossa è assurta a simbolo della lotta alla violenza sulle donne da un’idea degli Stati Generali delle Donne. Ne fioriscono così un po’ dappertutto. Non c’è scuola, ente, parco che non ne abbia una in bella mostra. Ora ha addirittura raggiunto lo status di Progetto, appunto, della Panchina Rossa (in città, prendiamo atto, è stagione di progetti-immagine che non fanno i conti con ricadute e dati di realtà) .E non le manca la benedizione dell’inaugurazione con tanto di annunci social o sui media per le istituzioni. Fa trendy, è quasi una parola d’ordine come le mode, per dar voce all’imperativo ”Salviamo le donne”. Solo che i simboli acquisiscono e poi conservano il loro valore se sono il portato visibile di un impegno e di una sfida condotta con determinazione che si catalizza in un oggetto, in un’immagine evocativa di un patto o di una lotta a cui ci si è votati e per cui si è pagato in termini di sacrificio e dedizione profonda.
Sul tema e nel merito, però, aldilà delle parole d’ordine, dei riti, delle promesse, nel Paese l’impegno e la sfida restano teoria. Non si vede nulla se non un trito inasprimento di pene per i rei, qualche casa per donne in fuga da storie difficili e un numero telefonico. Si dirà che questo è ciò che serve. Io dico che non si vede nulla che si possa pensare capace di cominciare a scalfire quel sistema chiuso che è la matrice del fenomeno della violenza fisica e di apparato sulle donne, così pervasiva e terribile .Una strage silenziosa fatta di sangue, di parole, di diritti e dignità negate. Le donne restano merce da vendere con tanto di prezzo e nessuno si scandalizza (ho dalla mia anni di lotta alla prostituzione e ai tentativi di “legalizzarla”). I loro corpi sono de-
classati a immagini indecorose (“grazie” femminili dispensate a gogo come richiamo e sfilate o performance in mutande o anche meno) perché così vuole il mercato e non c’è chi eccepisca qualcosa.
Sono sottopagate nel lavoro, ma si tira avanti né si pensa a scioperi per la “categoria”. Ci facciamo
bastare le promesse. Ma soprattutto hanno sulle spalle tutti gli oneri di cura in territori, come pure il nostro, off-limits per i servizi, dove il nido è garantito dalle donne della famiglia e a loro tocca la gestione della non autosufficienza comunque si configuri. E non cambia nulla, anzi ora il governo vocato alla natalità dirotta altrimenti i fondi Pnrr per i nidi. La politica che niente di concreto fa per salvare le donne dal loro destino di minorità sociale, ancora angeli del focolare (ma ”caduti” e quindi passibili di strage e caccia aperta) e insieme ingranaggi della macchina dei consumi ,si impegna invece al massimo per avvelenare l’ambiente (ad esempio con ancora cemento per l’ennesimo supermercato e per il nuovo ospedale che solo gli stakeholder e gli ignari della “sola” a loro destinata vogliono) e attentare così alla salute di chi ci vive.
Vittime due volte, perché non solo perdono in prima persona la salute ma anche perché su loro soltanto si scarica la gestione della salute persa di congiunti e conviventi. E Cremona ha il triste primato europeo per morti precoci da Pm.2,5 insieme a percentuali di malattie oncologiche che Ats preferisce non quantificare. Se Ats vuole salvare le donne cominci a salvare l’ambiente di cui la politica fa scempio e apra i giusti focus sulla conciliazione vita-lavoro (vedk Piano Sociosanitario Lombardia ’19-’23).
Serve alle donne una Panchina Rossa made in Ats o comunque griffata? E contemplando la panchina possono ringraziare di quanto per loro, la loro vita, il loro benessere psico-fisico, il loro diritto di vivere e di vivere in salute viene fatto? No, non viene da ringraziare perché niente viene fatto di ciò che urge ed è giusto.
Magari alle donne serve una panchina per riposarsi, fuori casa e fuori dagli ingranaggi della macchina dei consumi. Ma certo manca all’appello l’aria pulita, la boccata d’aria buona persa per sempre. Che la panchina sia rossa poi è solo un dettaglio privo di valore, perché non c’è vera lotta che salvi le donne se alla politica e alle istituzioni mancano la voglia e il coraggio di fare ciò che dicono di volere, di scardinare a piccoli passi un sistema chiuso che usa le donne e le piega alle sue regole. Che nessuno cambia.
Solo a queste condizioni la Panchina Rossa avrebbe il valore di simbolo dell’impegno in sudate battaglie di cui ringraziare. Oggi è solo un orpello esposto ai fortunali meteo, come le donne restano esposte, e senza rete, ai fortunali della vita. E’ un “falso sociale” cui guardo con fastidio perché mi rinvia a tutto ciò che andrebbe fatto, non si fa e si sceglie una facile scorciatoia contrabbandandola per via maestra.
Pur se “socialmente minori”, le donne, e io con loro in questo caso, sanno distinguere il loglio dal grano, la fuffa dalla mano tesa.
Rosella Vacchelli
3 risposte
Brava Rosella considerazioni chiare che tengono veramente in considerazione le esigenze delle donne su cui lavorare per un futuro (per loro) migliore lasciando da parte Panchine, Scarpe e tutto quanto con il rosso fa agglomerato per sensibilizzare il problema, allontanando però la vera risoluzione. Risoluzione che si otterrebbe veramente rispondendo con realismo alle tue note scritte. Complimenti ancora.
Condivido tutto quanto scritto da Rosella Vacchelli, molte volte lasciata sola in battaglie estremamente difficili dalla maggior parte delle forze sociali e di partito.
Tante sono le iniquità che sul nostro territorio cremonese vengono consumate nell’indifferenza e spesso con la complicità delle istituzioni a cui la maggior parte dei cittadini si affidano in modo troppo indulgente.
Molti di noi sostenitori del “movimento per la riqualificazione dell’ospedale di Cremona” siamo con lei impegnati a contrastare la realizzazione del faraonico progetto realizzato, e ben pagato, dell”arch. Cucilella, consapevoli che, oltre alle criticità di ordine tecnico e sanitario, ci sia una visione culturale estremamente pericolosa per tutti noi che si concretizza in un “falso sociale”, come Vacchelli richiamava nella sua lettera, al quale con tutte le nostre forze ci opporremo, chiamando alla lotta tutti i cremonesi che non vorranno farsi ingannare dalla sola estetica del progetto, ma che davanti ad una struttura ospedaliera che antepone gallerie di negozi e spazi di divertimento, decidano di unirsi a noi del movimento dicendo: FERMATEVI !
Straordinaria.