Sabato scorso all’Auditorium Giovanni Paolo II a Casalmaggiore si è tenuto un evento con lo scopo di descrivere tutto il percorso, dalla prevenzione, alla cura, all’assistenza, al supporto fino al followup, delle donne con patologie mammarie.
Sono intervenuti professionisti della ASST di Cremona e Oglio Po, oltre a medici di base (come le dottoresse De Micheli e Federici), personale tecnico radiologico e infermieristico. Tutto il percorso deve partire dal medico di famiglia che è il primo a dover indirizzare noi donne all’approccio di screening, cioè alla prevenzione. L’introduzione è stata fatta dall’oncologo Daniele Generali, presente per i saluti istituzionali Filippo Bongiovanni, sindaco di Casalmaggiore.
Dall’accesso al territorio al passaggio nel reparto competente, la Breast Unit, partendo dalle visite senologiche preventive (relatore il dottor Sabag), alle mammografie (dottor Passamonti), con strumenti di ultima generazione come la Tomosintesi, in casi da approfondire la risonanza magnetica RNM (dottor Quartieri), il Mammotone per eventuale biopsia, quando intervenire chirurgicamente (dottor Azzini), come effettuare i tracciamenti per eseguire prelievi mirati e mini invasivi, i tempi di risposta della citologia o istopatologia mammaria tramite i laboratori di anatomia patologica (dottoressa Paganini), gli interventi ricostruttivi con la chirurgia oncoplastica (dottor Ciliberto), dove e quando conviene effettuare test genomici per le donne ad alto rischio.
Importante anche la descrizione dell’organizzazione all’interno del reparto, nel caso di Cremona l’Area Donna Breast Unit, ma comune in altri centri con reparti altrettanto attrezzati, dal ruolo della “case manager” (l’infermiera Zigliani) alla discussione dell’équipe caso per caso e come seguire ed applicare i nuovi protocolli previsti, alla presa in carico in caso di trattamento oncologico (dottor Bonardi), che siano le chemioterapie, le terapie adiuvanti o addizionate (terapie integrate farmacologiche che vengono utilizzate prima o dopo l’intervento in base al tipo di cellule tumorali), o i farmaci di nuova generazione, le immuno terapie, gli anticorpi monoclonali, fino all’affiancamento e all’assistenza della figura dello psicologo (dottoressa Furegoni) quando la malattia porta ad avere una fase di rifiuto, di non accettazione, nel non sentirsi più donne complete.
Si è parlato dell’importanza anche di avere un sistema di rete informatica che permetta di avere sempre a portata di mano i dati aggiornati dei pazienti (l’infermiera Francioni), ma anche per poter rintracciare il più ampio range possibile di donne sulle quali effettuare gli esami preventivi, perché è indubbio che prima si interviene, migliore è la possibilità di remissione della patologia.
In ultimo, non va dimenticato il delicato momento di accompagnamento anche di chi non riesce a sconfiggere la malattia, perché insieme ai famigliari non si sentano soli, (dottor Faliva) nel Best Support Care, cioè le cure palliative, fondamentali in un percorso chemioterapico e radioterapico, perché si aiuta a gestire quella sintomatologia legata ai trattamenti, talvolta estremamente difficile da sopportare.
L’evento si è svolto in modo che sia gli operatori sanitari tra il pubblico, ma anche noi pazienti riuscissimo a seguire le slide proiettate e le spiegazioni che le accompagnavano, ed è stato condotto dal senologo e chirurgo dottor Aguggini e dalla oncologa Milani.
Sono state offerte le opportunità di fare domande e chiedere delucidazioni, e anche le due pause hanno permesso di confrontarsi e riconoscersi nei vari ruoli, tra un caffè e un pasticcino nella prima, un analcolico e un salatino alla conclusione dell’incontro.
Come potete intuire, la testimonianza che mi ha coinvolta di più è quella della professoressa Roberta Mozzi, oggi assessore comunale, con la quale condividiamo la Commissione del Comitato Spontaneo Rivogliamo Area Donna, nato da Cristina Marenzi, Giovanna Bonetti e la sottoscritta, quando nel febbraio 2022 ci siamo mobilitate coinvolgendo oltre 200 persone e raccogliendo oltre 4000 firme davanti alla possibilità di veder chiuso il nostro reparto ospedaliero Area Donna Breast Unit. Roberta ha ripetuto le stesse parole che aveva pronunciato Cristina due anni fa, quando eravamo andate a perorare la causa davanti alle istituzioni: per le donne che subiscono un intervento chirurgico e poi iniziano i cicli di cure chemioterapiche, è fondamentale trovarsi in un ambiente familiare e accogliente dove ci si possa confrontare, parlare senza vergogna di una menomazione che spesso fa sentire meno donna, appunto. Questo noi avevamo fatto e oggi,, dopo gli spostamenti voluti dalla precedente direzione, è la cosa che manca di più a tutte noi. Oltretutto la cura di genere, è comprovato scientificamente, dà una percentuale di guarigione migliore, rispetto a quella di strutture dove non c’è la possibilità di effettuarla.
Quello che è emerso è l’obbiettivo di prendere in carico le pazienti e curarle non solo tramite le strutture ospedaliere, che restano al centro del percorso, ma creare una rete di supporto e appoggio integrando anche il personale sul territorio, in modo da poter seguire al meglio le persone anche fuori dai reparti specialistici.
Ritengo fondamentale che si capisca come in un’area con il più alto tasso di patologie tumorali alla mammella, anche a causa dell’elevato livello di inquinamento ambientale, sia di vitale importanza mantenere ed implementare al meglio questa rete di servizi, e di non sottostimare l’importanza di un’Area donna su tutto il territorio sia Cremonese che Casalasco mettendo in campo strutture e professionalità che stanno già da anni lavorando con efficienza e umanità, partendo proprio dalle richieste di noi pazienti.
Paola Tacchini