Ci sono i sindaci dei grandi Comuni, dei medi e dei piccoli. Ci sono i sindaci eletti con una lista di partito, una lista di partito camuffata da civica, una lista civica vera. Ci sono sindaci ideologici, pragmatici, ondivaghi.
I sindaci rappresentano al meglio il proprio comune e non trascurano i bisogni degli elettori. Sostengono l’esigenza di unità per difendere il territorio, inteso come provincia o porzione di essa. Accomunati dal timore di uscire dal coro e preoccupati di non essere omogenei, nel Cremasco hanno costituito l’Area omogenea. Tanto omogenea da assomigliare ad una melassa, che non è il massimo della vita.
Unanimi, i sindaci dichiarano che le loro scelte non sono politiche, ma amministrative. Orgogliosi, ribadiscono l’autonomia dai partiti, incuranti di avere in tasca la tessera di appartenenza. Proclamano di rappresentare tutti i cittadini e non solo i propri elettori e sono sinceri, ma non sempre, ai propositi corrispondono i comportamenti. Pazienza. Da molto tempo la coerenza non è più una virtù e con le coalizioni a sostegno degli ultimi governi è un accessorio ingombrante. Un fardello.
I sindaci sono i riservisti dell’esercito, ma vengono spediti in trincea. Primi ad essere chiamati ad affrontare i problemi, ultimi ad essere consultati. Utili al momento del bisogno, utilissimi per caricarli delle mancanze altrui. Navigano tra ambizioni e ideali, frustrazioni e masochismo. Sempre al fronte, sono esposti al fuoco nemico e, con frequenza, a quello amico.
I sindaci dei piccoli Comuni rappresentano una categoria speciale. Contano poco o nulla. Sono ritenuti i più scarsi. Quelli che un tempo, nelle partite di calcio all’oratorio, per carità cristiana e quindi per non escluderli dal gioco, si mandavano in porta. Sono il fanalino di coda degli amministratori pubblici, i diseredati e papa Francesco potrebbe citarli in qualche enciclica sul tema dell’emarginazione e non ci sarebbe da stupirsi.
Nella scala della considerazione politica e amministrativa occupano il gradino più basso. Non se li fila quasi nessuno. Trattati con sufficienza dai politici che contano e anche dai portaborse, dai burocrati di Stato e, a scalare, da tutti gli altri produttori di cavilli, vengono rispettati se dispongono di qualche santo in paradiso.
Vanno in pellegrinaggio negli uffici del potere a chiedere lumi, aiuto e briciole di risorse. Se sono gentili vengono compatiti. Se sono accondiscendenti sono bullizzati. Se sono decisi, vengono boicottati. Se sono giocatori di poker o estimatori di Jean Claude Van Damme avvertono l’interlocutore di non rompere l’organo maschile per antonomasia e minacciano di piantare un chiodo attraverso i media e allora raccattano qualcosa.
Sul polo opposto ci sono i sindaci dei grandi Comuni. In una provincia si contano sulle dita di una mano e neppure tutte. Dovrebbero svolgere il ruolo di centro aggregante, cardine di unità e di forza. Non sempre ci riescono. Meritano comprensione. Non l’assoluzione.
Propendono a volare fuori dallo stormo, ma non sono il gabbiano Jonathan Livingston. Attenti al proprio ombelico e poco oggettivi a valutarsi, i sindaci extralarge mostrano un eccesso di ego e un pizzico di narcisismo che in piccole dosi non guastano, ma infastidiscono se influenzano scelte di altri Cmuni. E’ accaduto nei giorni scorsi.
Trentotto sindaci – 26 cremonesi e 12 cremaschi – hanno siglato un documento che censura il comportamento del collega di Cremona, Gianluca Galimberti, sul piano energetico. Comportamento giudicato discriminatorio verso gli altri Comuni della provincia, esclusi dal confronto sull’argomento.
Le ventuno pagine dello studio s’intitolano Memorandum of understanding e già prima di capire di cosa si tratti ci si chiede perché non abbiano scritto Protocollo d’intesa che è l’esatta traduzione. Peccati veniali, leggerezze che non inficiano il protocollo, ma segnalano un comportamento. Usare parole straniere e vestirsi dalla festa con un abito preso a noleggio non rende autorevoli. Parla come mangia, vale sempre.
La scheda numero cinque del protocollo d’intesa annuncia il «progressivo aumento della capacità dell’impianto chimico-fisico di Crema, in linea con quanto previsto dal Piano Industriale». La Repubblica del Tortello è coinvolta in prima persona, ma tra i padri del documento non compare un suo rappresentante. Crema non è degna di sedersi e discutere nel salotto buono? Nel dubbio, resta una certezza, per l’ennesima volta i sindaci hanno perso un’altra occasione per dimostrare di essere uniti.
I sindaci sono yin e yang. Per alcuni, sono vittime sacrificali. Per altri inutili. Per certuni troppi e ingovernabili. Per i generosi, insostituibili. Quelli dei piccoli Comuni dei kamikaze. Un dato però è innegabile: conoscono il proprio territorio e i suoi bisogni meglio di chiunque altro. Potrebbero aiutare la politica. Sono, invece, la voce che grida nel deserto.
Antonio Grassi