Politica. Ambiente. Sanità. Informazione. Quattro parametri, cartina di tornasole, per testare la qualità del territorio. Con un poker d’assi il sogno è realtà. Con un full va di lusso. Con una tris non è malaccio. Con una doppia coppia è borderline. Con una coppia di nove il precipizio è a pochi metri. Qui, proprio qui, è piazzata la nostra provincia. Ma è un atto di generosità pensarlo. Probabilmente sta già in bilico sull’orlo dal baratro.
La politica è merce rara nel nostro territorio. Debole. Insignificante. Pietra angolare di marzapane. È figurina Panini inflazionata. Film con Ezio Greggio. Romanzo di Armony. È poco originale e di seconda mano. È superficiale e raffazzonata. È molto sentito dire e poco approfondimento. È un post. Chat su WhatsApp. Storia su Instagram. Commento su Facebook. È fluida ed effimera. È da piangere. Priva di idee e di leader, incapace di unire il territorio, prona alle associazioni di categoria, la politica è carta velina. Priva di idee, ha affidato a occhi chiusi il futuro della provincia al Masterplan. Già vecchio e incartapecorito, lo studio è una bussola smagnetizzata. L’Associazione temporanea di scopo (Ats), costituita per attualizzarlo e rinvigorirlo, ha prodotto poco. Nulla non è distante dalla realtà. Il compito dell’Ats è impegnativo. Difficile da capire, quasi come il concetto di cromodinamica quantistica. Da non confondere con l’armocromia di Elly Schlein, scienza ostica per i compagni ex comunisti. Poi non tanto. Sono ex. L’Ats, Viagra farlocco, somministrato al Masterplan nell’aprile dello scorso anno, a tutt’oggi non ha sortito risultati apprezzabili. La mollica è rimasta mollica e l’acciaio più chimera che speranza. Impantanata nella galassia dei progetti confusi, l’Ats è dispersa nel labirinto delle buone intenzioni. È scomparsa dai radar della politica e anche per il telescopio di Asiago diventa un’impresa localizzarla. Intanto Comuni e associazioni di categoria aderenti alla rigenerazione del Masterplan pagano.
Cremonese, Cremasco e Casalasco viaggiano a velocità diverse. La Repubblica del Tortello corre. Gli altri trotterellano o camminano lenti. Gazzelle, cavalli e bradipi. Un sindaco cremonese ha definito il Cremasco la locomotiva del territorio. Bel complimento, ma tre locomotive sono auspicabili e più produttive.
Nei giorni scorsi l’Area omogenea cremasca è stata approvata dall’assemblea provinciale dei sindaci. Segnale positivo e pregnante di una riflessione in atto, non è ancora un’inversione di rotta. Arriverà. Per cambiare lo status quo, Cremonese e Casalasco dovrebbero seguire l’esempio cremasco e approdare, tutti e tre insieme, a un modello di provincia federale. Modello con le aree omogenee libere nell’elaborazione di proprie strategie e più adatte a esaltare le potenzialità dei territori di competenza, ma all’interno di un progetto generale concordato. In questo modo le aree omogenee impiegherebbero in maniera ottimale, comunque migliore dell’attuale, le proprie capacità per rispondere alle esigenze dei Comuni ad esse aggregati e predisporre una progettualità adeguata. Di riflesso, la provincia otterrebbe un maggior coordinamento di Cremonese, Cremasco e Casalasco, il rafforzamento dell’unità del territorio e un più efficace sfruttamento delle risorse globali. Il Casalasco ci crede. Le dichiarazioni di Stefano Belli Franzini, sindaco di Gussola («Vediamo con interesse quello che succede nel cremasco») vanno in questa direzione. Stesso discorso per Valeria Patelli, sindaco di Calvatone: «Spero che Cremonese e Casalasco procedano come hanno fatto i colleghi cremaschi» (Cremonasera, 26 aprile).
Il Cremonese è indecifrabile. Riflette. Fermo in mezzo al guado, aspetta.
Cremona è sul piedestallo. Non intende scendere. Poco incline al dialogo, refrattaria al confronto, non aiuta ad aggregare.
Apprezzabili le parole di Simona Pasquali, assessore del capoluogo: «Il voto sull’area cremasca rappresenta una presa d’atto di una organizzazione esistente e funzionante che anche gli altri sindaci della provincia hanno definito ‘invidiabili’. Bisognerebbe che anche il resto della provincia si organizzasse su affinità diverse e seguire quello che stanno facendo i cremaschi». Ottimo, Cremona dia il buon esempio.
L’idea di area omogenea non è una novità. Affonda le radici nel passato. «Ripristina i perni di un ordinamento che si ispira ai Consorzi Intercomunali e alle Unità Socio Sanitarie Locali» (L’Eco del Popolo, 29 aprile). Non è cosa da poco, né da sottovalutare.
La politica è la cessione di A2A. È la favola della partnership. È il risveglio brusco. La fine delle illusioni. La presa atto della realtà priva di alternative: da padroni a colonizzati. A maggiordomi. A servi. La politica è il territorio che diventa merce. Da sfruttare e indennizzare. Con le compensazioni. Con cento alberi. Con l’avallo dei pubblici amministratori.
L’ambiente brilla per il buio pesto nel quale vive da anni. Cremona è al quarto posto delle città più inquinate d’Europa, la prima in Italia. Niente di nuovo sotto il sole. Sono anni che staziona ai vertici della classifica dell’aria avvelenata. Non è l’uomo che morde il cane. L’aria mefitica non è una notizia. È la normalità. È un dato non normale, che probabilmente rende normale e plausibile anche l’aumento dell’indice di decessi per determinate patologie. Illuminanti sul tema gli interventi di Pietro Cavalli in VittorianoZanolli.it.
Per il quarto posto della vergogna e della paura, pochi hanno alzato la voce. Rari i mugugni, Molta la rassegnazione. Voci che gridano nel deserto, i vaffanculo a generici colpevoli. Nel territorio prevale l’indifferenza, cancro che uccide la politica e soffoca la partecipazione. Il silenzio è nutrimento per politicanti, parolai e cacciatori di poltrone. Debolezza dei cittadini. A Cremona, A2A chiede di realizzare un impianto di biometano e la politica si sveglia solo quando i cittadini fanno sentire la loro voce.
A Sergnano e Ricengo la Stogit propone la costruzione di 38 nuovi pozzi. La «Regione Lombardia rinvia al mittente il progetto nel senso che vengono imposte alla ditta proponente una lunga e restrittiva serie di prescrizioni perché l’impianto possa ottenere le necessarie autorizzazioni» (vittorianozanolli.it, 27 aprile).
Il territorio è diligenza da assaltare. L’ambiente l’Eldorado da rapinare e scarnificare.
La sanità è un viaggio nel dolore. È valle di lacrime. Tiene banco la costruzione di un futuristico ospedale. La prevenzione è relegata nel sottoscala. La medicina di base un calvario. Prioritari gli investimenti di prestigio e la sanità da copertina. Capitale umano e utenti possono aspettare.
L’informazione non gode di ottima salute. La Provincia, quotidiano storico e di riferimento per i cremonesi, da sempre portavoce dell’establishment, ha accentuato l’asservimento al padrone, la Libera associazione agricoltori. Non è uno scandalo. Chi paga decide la linea, ma l’eccesso di partigianeria rende il giornale patetico. Lo declassa a bollettino parrocchiale. A Squilla della Libera. A house organ, con l’etichetta di quotidiano d’informazione. Da principale strumento della fabbrica del consenso territoriale a zerbino di un padrone che pensa di indossare ancora le braghe bianche. Un salto notevole. Nell’abisso dei giornali di regime. L’uso strumentale dell’informazione è tanto smaccata che non è necessario essere Noam Chomsky per individuare amici e nemici della proprietà e gli obiettivi ai quali essa mira. Preferisce l’accetta al cesello. Per rimanere in campo agricolo, predilige il Manitou allo scalpello. Lo stile è spiccio e rude. Quello dei montanari, ma senza la loro simpatia. O dei mercati delle vacche, tanto al chilo. La Provincia ha finito di indicare la priorità delle notizie ai media locali. Anzi spesso li insegue. Non detta più l’agenda politica. Ha perso il monopolio dell’informazione. Se spara cazzate non passano inosservate. I concorrenti le sottolineano. Pesa ancora, ma poco. Non l’ha ancora capito.
Nella nostra provincia, politica, ambiente, sanità e informazione non sono un poker d’assi. E i nostri eroi, quelli al comando, assomigliano a Vittorio Gassman che chiede: «A che ora è la rivoluzione, signora? Come si deve venire?» (La terrazza).
Bella domanda. Per la riposta chiedere all’armocromista della Schlein.
Antonio Grassi