«Tu da che parti stai? Stai dalla parte di chi ruba nei supermercati o di chi li costruisce rubando» (Francesco De Gregori).
«L’immaginazione è più importante della conoscenza» (Albert Einstein).
Con questa doppia dedica, nel dicembre 1994, Giuseppe Tiranti, allora presidente di Aem, poi di Lgh, mi regalava Gli uccelli nidificanti e svernanti nella città di Cremona (1990- 1993) di Riccardo Groppali, naturalista cremonese molto stimato. Un pensiero gentile per augurarmi un buon 1995. Gradii molto, ringraziai Tiranti, ma non risposi alla sua domanda. Conosceva la risposta.
Un mese prima (18 novembre) era nato Forte Apache per contestare il tradimento (28 giugno) della volontà popolare, che con un referendum (18 giugno) aveva democraticamente bocciato l’ubicazione dell’inceneritore in località San Rocco.
Tiranti, militava nel Pds, figlio del Pci e antenato del Pd.
Compatto e determinato, falange macedone, esercito di cyborg indifferente a critiche e dialogo, il partito aveva un obiettivo preciso e inderogabile: realizzare l’inceneritore a San Rocco. O così o Pomì. Se Parigi vale bene una messa, l’inceneritore in quel luogo meritava un calcio nelle palle ai 20.338 cittadini contrari. Donne e uomini che avevano creduto nel referendum e alla partecipazione. Referendum consultivo, d’accordo. Ma se tutto era stato deciso perché indirlo?
Pasdaran radicali, motivati e incontenibili, i pidiessini imposero la loro volontà. Chi sostiene che fu il consiglio comunale a rinnegare il risultato delle urne e che il sindaco in carica era un democristiano (Alfeo Garini) afferma una verità parziale. Formalmente corretta. La meno esatta nella sostanza.
Allora il Pds comandava in Comune e in città. Gli alleati eseguivano. Allineati e coperti. Il resto è accademia. Leggenda metropolitana.
Unico dato non contestabile: per la realizzazione dell’inceneritore a San Rocco venne scippata la volontà popolare. Operazione legale, ma che per un partito, all’epoca dei fatti ancora con qualche sfumatura di sinistra, corrispondeva all’accoltellamento di Cesare da parte di Bruto.
Bruno Poli, uno dei leader di Forte Apache, in consiglio comunale definì gli scippatori con il salvacondotto: «Ladri di verità, di giustizia, di democrazia» (Forte Apache e dintorni pagina 141).
Io lavoravo al quotidiano La Provincia. Per mesi avevo seguito i proponenti il referendum. Raccontato il percorso per indire la consultazione popolare. Riferito dello strabiliante risultato. Descritto la democrazia diretta gettata nel cesso, insieme ai tanti soldi pubblici spesi per organizzare un gioco di prestigio.
Quando ricevetti il libro da Tiranti frequentavo Forte Apache, la baracca innalzata nel luogo deputato ad ospitare impianto e simbolo della resistenza al sopruso. Scrivevo quasi ogni giorno un pezzo su quanto accadeva in quell’isola utopica. Riferivo degli indiani incazzati che l’animavano. Illusi, si proponevano di impedire la costruzione di un impianto che avrebbe bruciato rifiuti e generato quattrini.
Mi sforzavo di rimanere neutrale, ma dagli articoli traspariva la mia simpatia per i resistenti. Anche il sostegno. Da qui la domanda del presidente di Aem.
L’episodio mi è tornato alla memoria nei giorni scorsi in merito alla politica locale. In particolare, alle dinamiche decisionali su importanti e recenti investimenti pubblici. Alcuni ancora in fase istruttoria. Altri già avviati. Entrambi maldigeriti da molti cittadini.
La politica e gli amministratori del nostro territorio da che parte stanno? Con il bene comune o con il business di società per azioni pubbliche e private quotate in borsa?
L’interrogativo non è una banale curiosità, ma un dubbio sulla coerenza di alcune scelte. Sul loro essere funzionali alla cosa pubblica e al territorio.
Escluse supposizioni di scorrettezze e di assenza di buona fede, l’interrogativo nasce dall’ipotesi che i piloti al volante del nostro bus non posseggano la patente. Che abbiano idee confuse sul bene comune, sulla valutazione dei progetti, sulla comunicazione tra ente pubblico e cittadini. Sul dialogo tra amministratori e amministrati.
L’interrogativo non è un’accusa, ma un invito al chiarimento. Una sollecitazione a rassicurare gli elettori che il passato non è stato rimosso. Che gli errori commessi non verranno ripetuti. Che l’ignobile pantomima del tradimento della volontà popolare sarà un pezzo unico e non ci saranno multipli. Che petizioni e raccolte firme non verranno cestinate, ma apriranno un dialogo con firmatari e sottoscrittori.
L’interrogativo è giustificato dalla riverenza, simile alla piaggeria, dei politici di casa nostra nei confronti delle associazioni datoriali. Consultate in maniera compulsiva, vengono sollecitate ad apporre il loro imprimatur su ogni decisione. Anche sulle pisciatine. Al contrario è ignorato il pensiero degli elettori.
L’interrogativo è un avvertimento a non sottovalutare il malcontento e l’insofferenza dei cittadini palesati con la formazione di comitati e di movimenti spontanei. Oggi fastidiosi bradisismi, domani possibili terremoti.
«Le idee di rivolta non sono mai morte» ammonisce il compianto Paolo Pietrangeli in Contessa.
E se per alcuni periodi, anche lunghi, proteste, rivendicazioni, dissenso spariscono o restano sotto traccia, poi ricompaiono. E si fanno sentire.
L’interrogativo è la presa d’atto che il fiume carsico di chi alza la voce è tornato ed è visibile.
Le polemiche sulla proposta per la costruzione di un impianto di biometano non nasce dal l’egoistico e vituperato Not In My Back Yard. Il movimento per la riqualificazione dell’ospedale del capoluogo non è un passatempo per ex reduci di altre contestazioni. L’opposizione all’autostrada Cremona- Mantova, non una paturnia di invasati ambientalisti. La protesta per il supermercato di via Giordano non un mugugno di abitanti della zona, penalizzati dalla nuova costruzione. Le critiche per la pletora di supermercati e poli logistici, per la qualità dell’aria, non sono un film di un regista di catastrofi.
L’interrogativo è un monito alla classe politica locale. Brilla per scarsa leadership ed eccesso d’arroganza. Supponente, maschera la propria incapacità e inadeguatezza con esibizione di muscoli di cartapesta. Club di pompati. Sotto il vestito niente
E diciamolo, l’interrogativo è validato dalle scelte del Pd.
Lasciano spazio all’incertezza. Contraddicono la cultura del partito. Non è il classico predicare bene e razzolare male. Sarebbe grave, ma rimediabile. È un cambiamento genetico. Più complicato da modificare. Almeno questo è ciò che appare. Questa è la percezione dell’osservatore esterno. Questo è il nodo da sciogliere.
Il Pd governa Crema e Cremona e ha imposto il presidente provinciale. È egemone sul territorio. Spaccare il capello in quattro sulle percentuali effettive di consenso elettorale non serve. Il Pd, piaccia o meno, incide più degli altri partiti sul futuro del territorio.
Si è schierato a favore del biometano a San Rocco e per l’autostrada Cremona-Mantova. Ha spinto Lgh ad entrare in A2a. È favorevole alla costruzione del nuovo ospedale.
Esprime un segretario provinciale, Vittore Soldo, specialista in dichiarazioni che per un politico risultano ascensori per la ghigliottina. Sul Masterplan 3c, imposto alla Provincia dall’Associazione industriali, ha dichiarato: «C’è bisogno di spiegarlo ai sindaci, non basta la condivisione che c’è stata tra le segreterie politiche» (Cremonaoggi, 4 febbraio 2022). Maramaldo ogni commento.
Dunque, la politica e gli amministratori del nostro territorio da che parte stanno?
Una risposta la fornisce un comunicato di Luigi Lipara, presidente del Comitato BiometaNo. Scrive: «Il comitato chiede con forza all’Amministrazione di uscire dall’ambiguità e chiarire se intende tutelare i cittadini e il territorio difendendo le regole ambientali e urbanistiche vigenti o utilizzare come paravento una legge di brutale impronta neoliberista, peraltro da molti messa in discussione proprio perché irrispettosa dei principi democratici che stanno alla base dei processi partecipativi di definizione dei piani regolatori. La questione è cruciale e riteniamo che rispondere alle sollecitazioni di cittadini, comitato, associazioni non sia un mero fatto di cortesia ma un preciso dovere istituzionale. Intanto noi, certi della forza delle regole, sappiamo da che parte stare e ci opporremo con forza a questo progetto in ogni sede» (Cremonasera, 19 agosto)
Alcuni anni dopo quegli auguri, chiesi a Tiranti chi aveva vinto la battaglia dell’inceneritore. Mi rispose. «Come sempre la storia. Un vento irrefrenabile e imprevedibile». E a conferma di apprezzare De Gregori concluse: «La storia siamo noi». Del Pd, che, seguace di Einstein, disponeva di molta immaginazione? Ah saperlo. Di assodato è disponibile un dato: i cittadini di Cremona non volevano l’inceneritore a San Rocco. E adesso in tanti sono contrari al biometano. Vinceranno buon senso, razionalità e politica. O il voglio, comando, posso?
E’ rimasta una domanda in sospeso. È per Groppali.
Cremona si colloca ai vertici europei per inquinamento dell’aria da polveri sottili. Oggi le specie di uccelli nidificanti e svernanti in città sono le stesse di trent’anni fa?
Antonio Grassi
Una risposta
L’impersonale PD non è come fare nomi e cognomi. Dietro l’impersonale PD ci sono persone ispiratrici che non stanno al di sopra, ma anzi sono coloro che prendono decisioni e mandano avanti altri. Quelli che saranno ancora dietro alle elezioni dell’ anno prossimo e noi faremo finta di non sapere. Perché forse che l’opposizione fa la sua parte? Punzecchia. Affronta i problemi con piglio battagliero? Mette bastoni tra le ruote o solo stuzzicadenti?