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Politici e amministratori creano ‘bolle’ che illudono Cremona

15 Gennaio 2024

GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI

Un grazie è d’obbligo per l’attenzione –  circa venticinquemila visualizzazioni – riservata all’ultimo, e non tenero, intervento sul degrado cittadino e l’infelice bombardamento luminoso del palazzo comunale di Cremona durante le feste natalizie. Ovvio che chi scrive spera di essere letto ma numeri del genere si prestano a tutt’altre e meno narcisistiche considerazioni. Se infatti dicono qualcosa su chi scrive, infinitamente di più dicono su chi legge. E, in questo caso, dicono che un gran numero di cremonesi, sotto l’apparente cenere di una riservatezza scambiabile per rassegnato benestare, continuano a covare ansioso interesse per la città e le sue sorti.  In effetti la Cremona contemporanea è, specie agli occhi dello storico, una specie di insondabile enigma. Sconcerta la distanza  fra la prestigiosa vivacità di un passato che la vide spesso alla ribalta nazionale e la sbiadita marginalità attuale, tale da far dubitare che qualche mutazione genetica si sia silenziosamente impadronita di noi.

Il caso cremonese, come il confronto con la ben più decorosa e valorizzata Mantova nettamente dimostra, va ben oltre il più generale fenomeno di assopimento di realtà provinciali cannibalizzate dal magnetismo economico e culturale di  vicine aree metropolitane.  La spiegazione va piuttosto cercata nella anomalia di un rapporto, fragilizzato ormai fino all’inconsistenza, fra governanti che sembrano ragionare su una Cremona immaginaria e governati che a quanto pare non riescono a spiegargli cos’è e come sta la Cremona reale. Una parte, e decisiva, della classe dirigente ha perso il contatto con la realtà, rifugiandosi in una specie di rassicurante ‘bolla’ che fluttua nel vuoto sospinta dal vento delle mode e dal suggestivo  vocabolario del ‘politicamente corretto’. E parlo di ‘bolla’ non per generica suggestione letteraria ma nel senso rigorosamente tecnico in cui il Novecento le ha sperimentate come frequenti battistrada di successivi disastri economico sociali. Basti, per  intenderci, la celebre bolla speculativa che, esplodendo nell’ottobre nero del 1929, travolse il mondo. Cos’è dunque una bolla?  E’ la più pericolosa, e meno innocente, forma di divaricazione fra immaginario e reale: volutamente si ‘droga’ la realtà facendo convergere miracolistiche attese su qualcosa, o qualcuno, indipendentemente dal  suo effettivo valore. E lì si indirizzano non solo astratte speranze ma concretissimi investimenti. La cosa si gonfia a dismisura finché inevitabilmente scoppia. Dopo di che ’tutti giù per terra’ come nella famosa filastrocca.  Ma le batoste non insegnano visto che continuiamo, e più che mai, a vivere di bolle. Non a caso siamo nell’era degli ‘influencer’. E cos’altro è un influencer se non una bolla che trasforma in professione la produzione di altre redditizie bolle. Se ha talento e fiuto un ben congeniato castello di bolle può metter capo a un impero finanziario. Se  poi si tratti di cemento armato o cartapesta è, come la cronaca recente suggerisce, dubbio non solo fondato ma prudenzialmente doveroso.

Molto più preoccupante è tuttavia se a fabbricare bolle, quand’anche in buona fede e buoni propositi, provvedono politici e amministratori. Ho in mente in proposito un paio di classiche bolle, rigorosamente ‘made in Cremona’. Partiamo, per dirne una, dalla celebre leggenda metropolitana su cui si proiettarono miracolistiche attese di rinascita del centro storico: piazzare all’altezza di corso Campi il famoso salotto. Pienamente condivisibile il proposito di migliorare le attrattive cittadine, senonché, a fare la differenza, è la presenza o meno di certe condizioni. O meglio di certe precondizioni. Alquanto spericolato fu illudersi che a fare un salotto bastasse la posa di marmi pregiatissimi mentre il contorno, cioè le concrete precondizioni del salotto,  non solo languivano ma erano destinate a morte certa da indirizzi del governo locale che, di fatto, remavano contro. Fin troppo nota la sequenza:  moltiplicazione dei grandi centri commerciali, massacranti balzelli – dai rifiuti alle tende da sole –  imposti al piccolo commercio di vicinato in misura incongrua rispetto a quanto sborsato per gli stessi servizi dai megacomplessi extraurbani, debolissimo approccio riservato alla questione dei canoni delle locazioni commerciali e così via. Si preferì non ‘perdersi’ in difficili e noiosi sforzi di concretezza o in adeguate analisi della complessa dimensione sistemica -e viabilistica –  del problema, confidando che al suadente suono della parola ‘salotto’ l’immaginario collettivo avrebbe risposto secondo quanto astratte proiezioni da tavolino suggerivano. Altro che leva del risorgimento cittadino! Nei giorni feriali il salotto lo bazzicano quattro gatti e otto cani. Il punto è che quando un tempo si  diceva ‘vado in centro’ non si alludeva solo a un luogo fisico ma a quel luogo sentimentale e affettivo in cui l’identità locale si concentra ed esprime il massimo di quel potere  avvolgente che proprio lì, più che altrove, ti fa sentire a casa. Oggi, al contrario, è proprio lì che ti senti più spaesato e misuri la portata materiale e simbolica delle assenze  che un lussuoso lastricato non vale a colmare.

Ma eccoci all’altra bolla, di più recente fabbricazione, presentata ai cremonesi come inarrivabile capolavoro di genialità. Alludo al celebre e futuro ospedale. di cui finalmente conosciamo nello specifico un po’ dei  futuri connotati: una Disneyland, una attrezzatissima cittadella del tempo libero, meta ideale per le gite domenicali coi bambini o per  i pomeriggi di chi passa l’estate in città. L’ospedalino destinato a prendere il posto dell’acciaccato ma tuttora prezioso nosocomio, sembra uscito dalla sognante immaginazione di un’eccentrica comunità hippy. Quanta fatica si sarebbe risparmiato il compianto professor Umberto Veronesi  se avesse scoperto in tempo le facoltà taumaturgiche di laghetti con fauna selvatica, avveniristiche sale multimediali, nonché imprecisati ‘alter ego’ digitali.  L’oggettività  clinica della malattia, i cruciali temi della professionalità del personale sanitario, della qualità di attrezzature e tecnologie, del rapporto fra popolazione e posti letto, svaporano e si trasfigurano nella rappresentazione onirica di un gioioso mondo alternativo. Antonio Grassi è stato tanto screanzato da far due conti su quanto ci costa e costerà l’intera baracca. Ma in fondo cos’è il vil danaro al confronto di un così ardito  sogno? Resta il tempo di un dubbio finale: la salvifica presenza degli animali di compagnia riguarderà anche le sale operatorie? E, in tal caso, saranno in veste di osservatori o con mansioni operative? Un’eccessiva concentrazione di asinelli, per esempio, metterebbe in sospetto i buoni cremonesi magari inducendoli a lasciare ad Alice cotanto Paese delle Meraviglie e, in caso di malanno, lasciarsi cautamente morire a casa propria. Ed ecco risolto il futuro problema della carenza di posti letto. Complimenti: hanno proprio pensato a tutto.

 

Ada Ferrari

6 risposte

  1. A proposito del bombardamento luminoso del Palazzo comunale, vorrei narrare cosa mi è capitato nel 2016.
    Stavo lavorando alla manutenzione straordinaria dell’orologio del Torrazzo, il quadrante era rimasto senza indici per oltre sei mesi, proprio nel periodo autunnale delle festa del torrone e seguenti festività di fine anno.
    Proposi al sig. Pelliciardi, incaricato dall’Amministrazione comunale, di proiettare sulla torre (pochi metri quadri) l’originale cinquecentesco quadrante astrologico.
    Gli porsi il disegno proveniente dall’archivio diocesano, che qualche anno prima avevo mostrato a Chris Mc Key, curatore del famoso Big Ben di Londra ( sue parole sono state: “è il quadrante di orologio pubblico più bello che abbia mai visto, perché non è più sulla torre?).
    Parole di allora dell’esperto Pellicciardi – tuttora mi risulta incaricato: “non so a chi possa interessare, poi è troppo costosa una cosa così”.
    Avrà ragione? Lo dimostra il gran numero di visualizzazioni? È quella la misura? Quelle cose si vedono ormai ovunque, cose da supermercato. Mi chiedo se la cultura e la valorizzazione del nostro patrinomio non meritano di più?

    1. Forse affidare l’organizzazione delle manifestazioni cremonesi a un cremonese che conosce e ama Cremona e i suoi monumenti come lei aiuterebbe a enfatizzare e mettere a disposizione le nostre meraviglie .

  2. Mi congratulo con la professoressa Ada Ferrari della quale apprezzo gli editoriali ma penso a Cremona e ai cremonesi e mi chiedo perché fermarsi a visualizzare e non compiere un ulteriore piccolo passo avanti esprimendo apertamente, rumorosamente, criticamente, in modo inequivocabile il proprio apprezzamento e appoggio alle negative sottolineature scritte e ampiamente e continuamente denunciate dalla professoressa? Bisogna fare rumore! Bisogna dimostrare in modo chiaro il proprio dissenso! Bisogna essere consapevoli che scuotere la testa è troppo poco: bisogna metterci la faccia e il cuore. E sapere che esprimere il proprio pensiero è importante, ma non dappertutto ci si può permettere la libertà vera di farlo. Ci sono mezzi che concedono spazio solo se possono trarne vantaggio e soprattutto non trarne svantaggio.

  3. Leggo sempre con grande interesse e parecchia inevitabile desolazione questi interventi acuti e ben argomentati e, aggiungo, ostinatamente determinati nel ripetere quanto sia illusoria la bolla in cui viviamo. Ma non è così da adesso, Cremona è così da decenni e in questa attualità frantumata in mille inutili e mirabolanti bolle l’inconsistenza delle parole e di progetti magniloquenti giganteggiano sulle teste chine di noi cittadini. Ci siamo chiusi.
    Non è vero che non vogliamo osare: è che l’aspirazione alla crescita culturale ed economica non è corale e la dicotomia fra città reale e città millantata è ormai incontestabile. Tanto grandiosa è la musica dell’anima di questa città, tanto è muta la sua voce concreta, che dovrebbe essere fatta di lavoro, scelte coraggiose, volontà di fare ma con i piedi per terra. Siamo scordati, dissonanti, e non sarà un ospedale – pianeta a traghettarci da qualche parte. Magari uno più normale con tanti medici e tanti servizi eccellenti potrebbe farlo.

  4. Condivido il pessimismo di Ada Ferrari. La nostra carissima Cremona, da più di un secolo ormai, sembra infatti non riuscire ad azzeccare nessuna delle delicate scelte che, in materia amministrativa e di governo del territorio, si trova periodicamente a dover affrontare. Al proposito, senza illudermi di essere esaustivo, citerei la demolizione delle porte e delle mura urbane, la demolizione di S. Domenico e l’isolamento del Duomo, la pessima gestione del centro storico durante il periodo fascista e il trentennio successivo, la lunghissima indisponibilità ad ospitare in città qualsiasi facoltà universitaria, l’assurda, quanto fideistica e ostinata adesione a progetti tecnicamente assurdi come quello del canale navigabile Milano-Cremona-Po, l’irrazionale e pericolosa scelta di prevedere l’espansione residenziale e produttiva della città a carico di terreni fino a poco tempo prima appartenenti alla golena fluviale, la mancata considerazione della direzione prevalente dei venti locali nella localizzazione di impianti particolari come la raffineria, la discarica e l’inceneritore, la mancata decisione di mantenere, sul perimetro del nuovo recinto ospedaliero, adeguate fasce di terreno inedificato con le quali far fronte nel modo più semplice alle future e più che probabili relative esigenze di espansione ecc. ecc.
    A questa singolare e storica serie di autentiche “castronerie” culturali e amministrative, sembra ora che non pochi degli attuali “potenti” politici cittadini vogliano aggiungere, nonostante che l’Ospedale Maggiore esistente, ultimato solo cinquant’anni or sono, non possa certamente definirsi “decrepito”, anche quella di rinunciare a realizzare gli indispensabili ed ormai urgenti interventi di manutenzione ed integrazione del complesso attuale, preferendo realizzare, a sua sostituzione, un complesso decisamente più piccolo, la edificazione del quale dovrebbe avvenire , con tutti i conseguenti prevedibili disagi, mantenendo in essere le costruzioni preesistenti e realizzando le nuove sulle superfici inedificate, attualmente occupate da edifici minori, strade, parcheggi, eliporto, aiuole e alberature. Il progetto preliminare fino ad ora reso di pubblica visione prevede un impianto a pianta di semiellisse e con altezza variabile che, nelle simulazioni grafiche presentate sembra riproporre l’immagine di un antico colosseo in parte rovinato. Non sarà certamente facile, in fase esecutiva e gestionale, adattare le lunghe curve, a raggio continuamente variabile, alle molteplici esigenze funzionali, d’uso e di manutenzione che un siffatto edificio finirà per evidenziare.

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