Dal 2006 il Centro Studi Marenghi dell’Accademia Italiana della Cucina pubblica ogni anno con un tema diverso un volume che racchiude il contributo fornito da tutte le delegazioni italiane, Un tempo davano il loro apporto anche le delegazioni straniere. Ieri al salone Il BonTà a CremonaFiere è stato presentato il libro di quest’anno, che raccoglie i testi inviati dalle 20 regioni italiane. ‘La tavola del contadino. Il campo, il cortile, la stalla nella cucina della tradizione regionale’ è il titolo del volume nel quale si trovano oltre 100 ricette tipiche. Oltre a questa pubblicazione, è stata presentato il Quaderno, curato da Carla Bertinelli Spotti, nel quale sono inseriti studi, ricerche, ricette, poesie relativi al territorio cremonese. All’affollato incontro in Fiera hanno partecipato l’autrice, Valerio Ferrari, studioso di antropologia, che ha parlato dell’oculata gestione del territorio, Agostino Melega, esperto di tradizioni locali, che ha piacevolmente intrattenuto il pubblico parlando di cibo e ritualità nelle case contadine di un tempo e Milena Fantini, che ha letto poesie in dialetto. E’ intervenuta Barbara Manfredini, assessore comunale al Turismo e vicepresidente della Strada del Gusto che insieme con la Camera di commercio ha finanziato il Quaderno. Vittoriano Zanolli vice delegato della delegazione di Cremona dell’Accademia (delegato Marco Petecchi). ha coordinato l’incontro che è terminato con un rinfresco preparato dagli studenti del corso di cucina dell’Istituto Einaudi.
Riportiamo la relazione di Carla Bertinelli Spotti relativa al libro La Tavola del Contadino, pubblicato da Bolis Edizioni di Bergamo. Pubblicheremo successivamente un articolo sul Quaderno.
Passo rapidamente in rassegna le ricette contenute nel libro dell’Accademia. La Valle d’Aosta, ad esempio, ci ricorda l’importanza delle fave e di offrire una zuppa a base di questo legume, il favò, alle donne che lavoravano alla mietitura per dare loro sostentamento. In Piemonte, la notte di San Giovanni dopo la trebbiatura si accendevano i falò per scacciare il malocchio, prevenire le malattie e durante una festa sull’aia si mangiava la minestra della battitura con brodo di pollo, fegatini e pastina all’uovo, una specie di minestra sporca del Bresciano. Nel Novarese si prepara la paniscia, in origine col panìco. un cereale minore privo di glutine, con il riso in brodo di verdure e molti fagioli. La Liguria ci fa conoscere il riso con il preboggion (erbette selvatiche, raperonsolo, verza) e il minestrone alla genovese con il pesto, la lattuga ripiena che si portava in tavola il giorno di Pasqua, La Lombardia ha la zuppa d’orzo e molte minestre di riso con la verza, il latte, la salsiccia. Il Trentino Alto Adige riporta la ricetta della Mosa (una polentina con latte, farina e burro) e la zuppa d’orzo tirolese nella duplice versione ‘magra’ e ‘grassa’ con stinco e speck.
Il Veneto presenta la sua minestra maritata con buon brodo di pollo, riso e tagliolini insieme, ma essendo la regione una grande produttrice di riso, è tutto un trionfo del riso, tra risi e bisi, risi e luganega, riso e patate, riso e rigaglie detta anche minestra dello sposo (la cena degli sposi nel Bresciano ha come piatto forte lo spiedo e la minestra sporca). Il Friuli Venezia Giulia esalta l’uso del luppolo, di cavoli, porri, fagioli e di molte altre verdure dell’orto e dei campi per i minestroni e tante polente.
La Toscana ci dà la ricetta della pappa al pomodoro, come pure della farinata con le leghe (fagioli, cavolo nero, cipolla rossa, pomodori maturi e altri ingredienti). Le ricette delle Marche ci parlano di frescarelli, riso in polenta (piccoli grumi di farina messi a cuocere in brodo di verdure) e dei maccheroncini di Campofilone per i pranzi delle feste.
L’acquacotta della transumanza, la panzanella e l’imbrecciata sono zuppe e piatti tipici dell’Umbria. Acquacotta e zuppe di legumi sono frequenti nel Lazio come altre zuppe di ceci e castagne. Abruzzo e Molise si caratterizzano per pizze-minestre fatte con il mais, impastate con verdure miste di campo, raramente dell’orto, condite con grasso di maiale. La cicciata del Cilento è cucinata con ceci, cicerchie, fave, fagioli di 6 qualità diverse, farro, avena, orzo, piselli e lenticchie. Molto più saporita la minestra montata, orgoglio della Campania con ricco brodo di carni e verdure che a Napoli si mangia nelle feste importanti.
La cucina contadina della Puglia si affida a farina, semola di grano, legumi, ortaggi e numerosissime erba spontanee. Ciceri e tria, la minestra di pasta, ceci e cipolle è celebrata nelle Satire di Orazio. Con la capriata (grano misto, ceci, fagioli, fave secche, lenticchie, patate, verdure, erbe aromatiche si festeggiava in Basilicata il raccolto appena concluso invocando buoni auspici per il successivo.
Le minestre verdi della Calabria sono fatte con cavoli, fagioli, finocchio selvatico e scarsamente condite con olio e lardo. La frascatula di Enna è una polentina insaporita da finocchietto, bietole e broccoli. Un’altra specialità della Sicilia è il gustoso minestrone di San Giuseppe, che celebra la fine dell’inverno consumando i residui delle provviste di legumi. La Sardegna presenta la minestra burda con verdure e fregula, la tipica pasta che è andata perfino sulla luna con l’Apollo 11.
Poiché si parla di cucina contadina del passato, ho preferito presentare zuppe e minestre, piatti tipici di un desinare povero ma soprattutto denso di profumi e di sapori. Di questo ci si nutriva soprattutto un tempo nelle campagne italiane. Ma il volume contiene molte ricette per cuocere le carni di maiale come il ciffi e ciaffe dell’Abruzzo, il porco con i capperi del Friuli, lo stinco di maiale al forno del Trentino ma non solo. Si racconta che in molte comunità rurali esisteva un maiale pubblico, il porco di S.Antonio, segnato con una croce rossa e con le orecchie mozzate per distinguerlo dagli altri. Circolava liberamente, era nutrito da tutti e al momento dell’uccisione le sue carni venivano distribuite ai poveri. Si parla di agnelli (la pecora alla cottora), ma anche di animali da cortile (il coniglio alla viterbese, la gallina affogata all’uso di Orvieto, il tacchino alla cansanese d’Abruzzo, pure arrivato sulla luna con l’Apollo 11, naturalmente liofilizzato, perché le proprietà di queste ricette erano state ritenute dalla Nasa un valido supporto al sistema scheletrico degli astronauti in sofferenza per l’assenza di gravità.
Sono numerose anche le ricette con i vari formaggi regionali, come le focacce liguri con lo stracchino, il Frico del Friuli, la frittata con l’Asiago del Veneto, la pucia con il mascarpone della Lombardia. Numerose anche quelle con i dolci che si preparavano per rallegrare le feste e per celebrare la fine dei lavori nei campi.
Carla Bertinelli Spotti
1- continua