Nel consueto brusio della vita quotidiana di una via del centro di Cremona, improvvisamente e senza un motivo apparente, i cani al guinzaglio emettono un lungo ululato. All’uscita dalla scuola elementare gruppetti di bambini esplodono in fragorose grida di meraviglia. Altri giovani urlano come in uno stadio di calcio. Tra i passanti qualcuno mostra il pollice alzato in segno di approvazione. Più di una persona, in bicicletta o al volante si ferma a scattare fotografie con il telefonino. Signore e signorine dall’aria sussiegosa non lesinano occhiate di curiosità. C’è chi si chiede che cosa sia e qualcuno sembra esprimere dubbi sulla validità di un acquisto tanto costoso. Più in là non si riesce a celare un attacco d’invidia: in una piccola città di provincia si è abituati a considerare piccolo colui che si è conosciuto da piccolo.
E’ l’effetto Lamborghini. Lo spettacolo si replica ogni volta che un modello della casa di Sant’Agata Bolognese si muove lentamente lungo qualche via cittadina o fa rimbombare con il suo inconfondibile timbro i viali ingialliti d’autunno della periferia. Il fenomeno si ripete qualunque sia la Lamborghini che passa e guidandole si ha la conferma che tutte le versioni hanno il potere di esercitare la stessa attrazione fatale. Tali reazioni non si manifestano quando passano supercar di altre marche.
Qualche giorno fa si è vista in corso Garibaldi una rossa Ferrari 599. Ha attirato gli sguardi di alcuni passanti, ma è stata ammirata in un silenzio quasi religioso. L’Aston Martin Vantage bianca, che si è fermata davanti alla pasticceria Dondeo in via Dante, ha richiamato l’attenzione soltanto di quei pochi appassionati che conoscono il prestigio e la fama di quel marchio. La Maserati MC Stradale ha fatto voltare un paio di persone in via Plasio per il suo rombo corsaiolo, ma senza alcuna reazione. Neppure una McLaren gialla, transitata un paio di volte in corso Vittorio Emanuele, è stata notata come meritava. Anzi non è neppure stata riconosciuta. Né una Bentley Continental GT né una Roll Royce Wraith, vetture di grande prestigio, hanno scatenato particolari emozioni tra la multitudine vociante del centro cittadino. Forse perché per l’immaginario collettivo non possiedono quel carisma sportivo o quella linea trasgressiva che strappano meraviglia e stupore. Al loro passaggio in città, soltanto un conoscitore dei due celebri marchi faceva notare, con discrezione, agli amici, la bellezza di quelle automobili. Invece, una Lamborghini Aventador SVJ Roadster, ferma in corso Matteotti nel centro della carreggiata per una ripresa cinematografica, ha bloccato il traffico senza preavviso. I primi della coda, anziché protestare, sono scesi dalle loro macchine per guardare da vicino la superba linea della vettura.
I veri irriducibili, stregati dalle linee inconfondibili delle Lamborghini, sono i bambini, i quali insistono per fare una fotografia sulla supercar. E la mamma è costretta a chiedere al guidatore il permesso di uno scatto, con il figlioletto seduto al posto di guida oppure con la portiera aperta nell’atto di salire a bordo. Intorno, intanto, la gente guarda incuriosita.
Queste improvvise apparizioni fanno riemergere il primordiale concetto secondo cui “la parola è la cosa”. In base a questa primitiva convinzione, difficile per noi da capire oggi, si riteneva, per esempio, che se una persona, ospite in casa d’altri, avesse pronunciato la parola “sedia”, si fosse appropriato della sedia stessa. Forse quel concetto è riemerso dal profondo della corteccia cerebrale di Giovannino, un bambino di cinque anni, stregato dalle automobili. Per lui, quel giorno d’ottobre, andando a casa con la foto al volante della Lamborghini, non è stato come esserne entrato in possesso, ma quasi.
Sperangelo Bandera