‘Conosciamo il prezzo di tutto, ma il valore di niente’. (Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray)
La pandemia è costata cara al calcio. Ma nonostante gli introiti siano in caduta libera, c’è qualcosa che non si modifica, ma anzi, avanza pretese sulle casse sanguinanti delle società: gli stipendi dei giocatori. In parallelo si sviluppano molteplici plus valenze gonfiate: un’incongruenza tra il cartellino del giocatore (la valutazione reale del giocatore stabilita ogni anno) e il prezzo pagato per averlo.
Il segnale è chiaro già da qualche anno. Tra dirigenti da quote in borsa e calciatori sempre più mercenari, l’aumento incontrollato di prezzi e stipendi dei giocatori sembra immergere il sistema calcio in una palese bolla speculativa. Ma quando scoppierà questa bolla?
La parola chiave è una sola: diritti televisivi. Vediamo perché.
La grande scommessa
Il recente inserimento aggressivo di piattaforme streaming come Dazn e Amazon nel mercato dei diritti TV del calcio è il primo indizio da tenere in considerazione. Gli introiti di una squadra oggi si basano principalmente sulla vendita di diritti TV (specie per i top-club), mentre quelli generati autonomamente (come la vendita di biglietti allo stadio, sponsor, vendita merchandising) sono in proporzione molto esigui. Ecco allora l’ingresso in gioco di grandi servizi a pagamento, oltre a Sky, che recentemente si sono dati battaglia per ottenerli. A livello sociale la visione delle partite di calcio si prospetta in futuro come un’esperienza sempre meno collettiva (lo stadio, la partita al bar) e sempre più solitaria e individuale. Ognuno con il proprio abbonamento streaming, ognuno solo con il suo PC o tablet. Sono quelli i grandi introiti su cui punta il calcio.
La recente operazione Superlega non è altro che un tentativo (malriuscito) di canalizzare l’industria dei diritti tv sulle squadre maggiormente seguite per riparare ai troppi errori finanziari di tali società, ora in rosso.
Calcio, quanto mi costi..
Quello che grava sulle casse di una società è il peso degli ingaggi, lo stipendio percepito dai giocatori, che di recente ha visto una generale impennata, frutto anche delle speculazioni e del potere contrattuale dei procuratori. Eliminata quasi del tutto la gavetta, un giovane calciatore si trova a negoziare un aumento di stipendio dopo una sola stagione di buona qualità, spesso ponendo degli ultimatum al proprio club. O l’aumento o me ne vado. Ma come hanno fatto i giocatori ad ottenere un potere così mercenario?
- Marcus Rashford (Manchester United) 165.6 milioni.
- Erling Haaland (Borussia Dortmund) 152 milioni.
- Trent Alexander-Arnold (Liverpool) 151.6 milioni.
- Bruno Fernandes (Manchester United) 151.1 milioni.
- Kylian Mbappé (Paris Saint-Germain) 149.4 milioni.
- Jadon Sancho (Borussia Dortmund) 148.3 milioni.
- Joao Felix (Atlético Madrid) 141.5 milioni.
- Alphonso Davies (Bayern Monaco) 139.2 milioni.
Ecco alcuni dati. Quelli sopra sono i prezzi dei più costosi e recenti trasferimenti di giocatori. Li conoscete tutti? Forse sì, ma tali valutazioni hanno il sapore della scommessa al rialzo, un gioco molto pericoloso. Appare chiaro come cifre del genere una volta sparate facciano lievitare i prezzi di tutto il mercato, stipendi compresi, anche se ciò non coincide con i valori reali. I mutui Subprime, protagonisti della bolla americana nella crisi del 2008, insegnano: una volta azionati, questi sistemi finiscono solo quando scoppiano.
E il castello di carte si regge, quasi tutto, sulla guerra dei diritti televisivi.
La nostra casa sta bruciando
Le prime 20 società del mondo di calcio perderanno oltre 2 miliardi di euro di ricavi entro la fine della stagione 2020/21. (Fonte report Deloitte Football Money League 2021)
Per la stagione in corso, si prevede un crollo di 257 milioni di euro (-17%) dei ricavi da stadio; nello specifico una perdita di 80 milioni per la Juventus, 60 e 40 per Inter e Milan, circa 30 a testa per Roma e Lazio e 17 per il Napoli. Un buco economico difficile da colmare. Vi sarà inoltre una riduzione di 937 milioni di euro (-23%) dei proventi dei diritti televisivi, a causa del differimento delle entrate e degli sconti concessi ai broadcaster.
Salary Cap: un’ipotesi da oltreoceano
La proposta di inserire nel calcio il Salary Cap, il tetto salariale per i giocatori, è arrivata prendendo spunto da una lega di grande successo e ricambio competitivo: l’NBA delle star del basket, dove tale strumento è applicato con successo. Si tratta di un tetto salariale per gli stipendi fissato ogni anno per tutte le squadre. La stessa Superlega ne proponeva l’impiego, ma il suo comunicato è apparso molto generico e poco dettagliato a proposito, emblema del disastro comunicativo che la Superlega ha rappresentato. Si può spendere meno? Sì, ma niente stagioni al risparmio, cioè sotto il Salary Floor, il ‘pavimento’ sotto cui non si può scendere (pari al 90% del Salary Cap). Se non lo si rispetta, la multa è la cosiddetta Luxury Tax Line, che viene poi distribuita tra le squadre ‘virtuose’. Come ha fatto presente un lucido Flavio Tranquillo (grande maestro del giornalismo sportivo e cestistico) il Salary Cap non nasce come strumento di controllo dei costi, ma come strumento che garantisce l’equilibrio competitivo. Ovviamente ne giova anche il sistema economico. La domanda è perché il calcio non voglia cambiare in questo senso.