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L’abete di via Monti che ora è una catasta di legna

5 Giugno 2024

L’abete di via Monti, tra corso Pietro Vacchelli e via Bonomelli a Cremona, è stato abbattuto ieri. La notizia si è sparsa velocemente. In tanti hanno portato un saluto. Hanno scattato una foto. Si sono fermati a parlare. C’è un vuoto immenso. Proprio come se fosse venuta a mancare una presenza importante. Pier, il mago, ha abitato nel mio appartamento fino al 1985. Era un bambino quando il suo papà Pino e il mitico signor Ennio hanno piantato quell’abete.

Siamo negli anni Settanta. Finite le feste natalizie con sorpresa l’albero non perdeva aghi ed era magnifico. Aveva le radici. Un alberello che pensavano di addobbare e buttare, passata la befana, oggi si privilegiano gli alberi sintetici, era pronto per continuare a vivere e dispensare ombra. In 50 anni è cresciuto in altezza. Raggiungeva il terzo piano. Lo hanno ‘ucciso’ perché era pericoloso per la sicurezza delle macchine e delle persone. Aveva soprattutto nella parte più alta qualche ramo ammalorato. Potarlo, ci hanno spiegato in Comune, avrebbe peggiorato le cose.

Pier si è precipitato ieri a vedere il suo albero per l’ultima volta.

“L’albero è stato il testimone della nostra giovinezza”. Lo dice ricordando suo padre e tutta la comunità che viveva in questa via.

“Negli anni 70 non c’erano macchine, la strada era libera per i nostri giochi, prevalentemente sportivi. Usavamo i cortili, un campo in disarmo, tutta la strada, per giocare a racchettoni (abbiamo inventato noi il padel), gare di atletica, miniolimpiadi, sfide con i modellini di macchine. C’erano tanti bambini e ragazzi. Eravamo una grande famiglia. Mai uno screzio. Mai un litigio. Ci volevamo bene”.

Neanche una bega condominiale? “Mai”.

“Il signor Ennio era un uomo buonissimo. Teneva l’orto accanto all’abete. Quando ‘esplodeva’ l’insalata la donava a tutti. Mio padre distribuiva la carne. Non avevamo paura di niente. La strada era sicura. Anche perché era chiusa. La scalinata odierna è stata costruita più avanti. Negli anni 70 c’era un muro”.

Vi conoscevate tutti? “Sì. Ricordo un sentimento di amicizia e cordialità. Nessuno ci sgridava, anche se facevamo parecchia confusione. Era normale. Oggi sarebbe intollerabile. La strada è piena di macchine, mi sembra rimpicciolita”.

La ricordi con gli occhi dell’infanzia. “Ecco, sì”.

Cosa ricordi ancora? “Quando pioveva le cantine i garage si allagavano, si poteva girare con la canoa e il canotto. Trasformavamo in divertimento anche gli eventi più drammatici. Ricordo un terremoto negli anni ‘80: ci siamo riuniti tutti in strada”.

Hai cominciato a fare il mago all’ombra dell’abete? “No, in quegli anni suonavo la chitarra in un gruppo. Ci trovavamo a casa mia (tua) per strimpellare”.

E io che credevo la camera di Leo (mio figlio) conservasse il ricordo delle tue magie! “Ho cominciato molto più avanti, perché è accaduto qualcosa. Ero in montagna con la mia famiglia e mia figlia non mangiava. Il maître dell’albergo le ha fatto un gioco di magia, dicendole: ‘Se non mangi ti faccio sparire l’aranciata’. Beh! L’ha fatta sparire. Sono tornato a casa e ho cominciato a studiare.Ho fatto poi tante serate. Mi sono anche esibito al Teatro Smeraldo con tanti artisti dello spettacolo. Ho fatto uno show per Trenta ore per la vita con la Panicucci”.

Mi racconta tanti aneddoti.

Perché hai lasciato? “Non mi piacciono i compromessi”.

Hai abbandonato completamente? “No. Sono il mago di mio nipote Diego, che ha 6 anni”.

Scopre i trucchi? “Sì”.

Il pino è ora una catasta di legno, che gli addetti si portano via. Resta un moncone e il ricordo di chi ha vissuto, come Pier, come me, l’emozione di aver vissuto felicemente sotto le sue fronde. Grazie Pier.

 

Francesca Codazzi

5 risposte

  1. Bello tuffarsi nei ricordi d’infanzia di qualcuno che non si conosce personalmente ma con cui si possono condividere emozioni, sentimenti, sensazioni. E pensare che tutto è nato da un abete che ha lasciato il posto dove era cresciuto e voluto da alcune persone, ha un grande valore intrinseco, per me.

  2. Qualcuno cantó dove c’era l’erba ora c’è una città…
    Ricordo il pino. Facevo quella strada ogni giorno per andare a scuola (M. G. Vida). Ora non c’è più. Il tempo è passato.
    Peccato. Un altro pezzo di vera vita se ne va.
    Chi sarà il cremonese di domani?
    Onorato di essere stato quello di ieri.

  3. Ricordo quell’abete e mi pareva tutt’altro che in buone condizioni per cui ritengo giustificato l’intervento anche se dispiace ma pensando che il rischio non era solo per le macchine ma anche per le persone, forse era auspicabile. Poi c’è da chiedersi come mai si fosse ridotto così. Siccità? Inquinamento? Comunque è già buona cosa riuscire a parlarne perché di questi tempi, presi come siamo dalla smania elettorale, ben poco di altro che non tocchi la politica riesce a filtrare. Che questa sia una scelta obbligata non credo. Abitassimo in un paese nordico le cose immagino andrebbero diversamente. Mi spiace pertanto Francesca ma penso che la sua aspettativa espressa come commento al suo precedente articolo, sarà vana.

    1. A me è parso che il pino fosse la scusa per un “come eravamo”. Perché valutando questo aspetto il pezzo è struggente.

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