La settimana più lunga e convulsa per la politica italiana si conclude col ritorno al punto di partenza. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella succede a se stesso. E’ stato rieletto con 759 voti all’ottava votazione cominciata alle 16,30 e il cui spoglio è terminato attorno alle 20. La proclamazione è avvenuta tra gli appalusi dell’emiciclo alle 20,53. Il reincarico di Mattarella e la permanenza di Mario Draghi alla guida del governo garantiscono stabilità al Paese in un anno che si annuncia estremamente delicato per i passaggi cruciali imposti dall’attuazione del PNRR (209 miliardi di euro in arrivo dall’UE da investire), per l’incertezza sul futuro dell’economia dopo dodici mesi di crescita straordinaria e per le incognite legate al covid e ai rincaro dei costi energetici. La doppia conferma era la scommessa più gettonata dai mercati, dagli investitori che detengono il nostro debito pubblico e dalle diplomazie europee. Ha vinto l’istinto di conservazione, una marea montante nel parlamento che ha bocciato di volta in volta tutti i tentativi di cambiamento al Quirinale e di riflesso a Palazzo Chigi. La permanenza di Mattarella e Draghi nei rispettivi ruoli rafforza la vocazione europeista dell’Italia, ripetutamente affermata dal Capo dello Stato che ne ha fatto un faro che ha illuminato i sette anni della sua presidenza. Tutte le forze di governo, fino a ieri in libera uscita, sono tornate disciplinatamente all’ovile e si sono trovate d’accordo nel rieleggere Mattarella. Il Presidente riceve un incarico pieno e con senso di responsabilità resta suo malgrado alla guida dello Stato.
Le fughe in avanti dei leader di partito, i nomi di potenziali candidati bruciati ancor prima di essere votati, i contrasti interni alle coalizioni hanno prodotto uno spettacolo giudicato vergognoso da chi ha dimenticato o finge di non ricordare ciò che è puntualmente avvenuto ad ogni elezione presidenziale, con poche eccezioni. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, quanto a liti e intrighi, ma ciò che è accaduto negli ultimi giorni fornisce uno spaccato inedito della situazione politica. Emergono con imbarazzante evidenza la debolezza delle singole forze politiche e la fragilità delle leadership. Escono ridimensionati Matteo Salvini e Giorgia Meloni che dal loro attivismo non hanno ricavato nulla se non nuove fratture nel centrodestra. Al contrario il segretario del Pd Enrico Letta senza muovere un dito ha centrato il suo obiettivo principale: salvare Draghi, scongiurandone l’uscita di scena. Ha tenuto unito il partito sfuggendo alle pressioni di un centrodestra diviso e rissoso che ha lanciato nella roulette dei nomi, bruciandoli, figure di primo piano quali il presidente del Senato Elisabetta Casellati, il ministro Marta Cartabia e la responsabile dei servizi segreti Elisabetta Belloni. E in mezzo al gineceo non poteva mancare l’immarcescibile Pierferdinando Casini, affiancato dal costituzionalista Sabino Cassese, dai magistrati Carlo Nordio e Nino Di Matteo e da Giuliano Amato, per citare i più accreditati. Il Movimento 5 stelle che nel 2018 è entrato in parlamento con la maggioranza relativa oggi è l’ombra di se stesso e il suo presidente Giuseppe Conte non appare in grado di realizzare il programma di rilancio del partito che gli è stato affidato. Era pronto a farsi esplodere pur di impedire all’attuale premier il trasloco al Quirinale. Accecato dal desiderio di vendetta per lo sfratto subìto a Palazzo Chigi si è spinto a riannodare il dialogo con l’odiato Salvini.
La politica italiana esce complessivamente sconfitta. Ci ha abituato a ogni genere di acrobazie, ma con questi chiari di luna e con i contrasti nel governo che potrebbero in ogni momento deflagrare, c’è da chiedersi se Draghi riuscirà, e con che risultati per il Paese, a tenere compatta una coalizione che appare sempre più un’armata Brancaleone.
Vittoriano Zanolli
4 risposte
Analisi ineccepibile, solo un piccolo distinguo: il parlamento non solo appare, ma è da tempo un’armata Brancaleone; non è stato in grado di superare le divisioni interne, atto doveroso per l’interesse del Paese nominando un presidente e siamo al punto in cui per fare funzionare le cose è necessario chiamare i tecnici come Draghi con i suoi ministri associati e i militari. Non è uno scenario confortante; senza la politica non si prendono decisioni appropriate.
Tutto vero. Usciti tutti malconci e feriti. Letta compreso, aggiungerei che ha registrato un piccolo successo tattico ma una sonora sconfitta strategica. Voleva Draghi al Quirinale e ha fallito. Voleva cementare l’asse con Conte e ora sa di non potersene fidare. Poco da cantar vittoria.
E se il teatrino improvvisato dai leader di partito fosse invece una messa in scena? Se, in altre parole, fosse già tutto previsto (e, a mio parere, prevedibile)? Se i nostri leader avessero finto di essere alla ricerca di un nome di alto profilo quando già sapevano che le cose sarebbero finite così? Per illudere gli italiani che la politica e i politici esistono ancora, sono al loro posto e fanno la loro parte? Oppure se, peggio ancora, non ci fossero nomi di alto profilo all’interno e all’esterno del circuito dei partiti? Se fosse così, in un modo o nell’altro, indignarsi sarebbe ancora poco.
E così, alla fine, i Partiti hanno tolto i loro freni inibitori e sono usciti allo scoperto offrendoci uno spettacolo indecente che nessun elettore merita. Ha vinto il CSM , I grandi elettori , finalmente compatti, si sono prodigati per fare quel niente che era necessario per non cambiare nulla