Eurovision 2023, splendido evento (!?), nonostante le rinunce e le assenze forzate. Mengoni quarto, ottimo piazzamento!
A leggere i titoli delle canzoni, però, emergeva qualcosa di moderatamente inquietante, che strideva con l’europeismo tanto declamato.
Su 37 canzoni presentate, infatti, ben 25 avevano il titolo in inglese, alla faccia della salvaguardia e della valorizzazione delle identità nazionali; alla faccia dell’Unione tra ” Stati liberi”.
Per altre tre il titolo, diverso dall’inglese, non corrispondeva linguisticamente a quello delle nazioni rappresentate. La finlandese “Cha cha cha”, la slovena ” Carpe diem” e la polacca “Solo”, nel qual caso non ho trovato termini polacchi corrispondenti, e ho patito l’illusione, da non credere, che di inquinamento italiano si trattasse.
Mi sarei aspettato pertanto che cantassero rispettivamente in spagnolo, latino ed italiano. Macché! L’inglese, uscito dalla porta, rientrava dalla finestra tranne che nella prima, la finlandese, cantata nella lingua nazionale con l’intercalare ben 90 volte che fanno 93 con quelle del titolo, della parola “cha”. Non male come ridondanza per una canzone arrivata seconda.
Un ibrido quindi, come diversi altri, a svelare anche una tendenza alla fluidità linguistica, dove più gli idiomi nazionali si confondono, si mescolano, e meglio è, anche se in questo processo la lingua inglese faceva alla grande la parte del leone.
Sarà perché si cantava a Liverpool!.
Infatti la slovena “Carpe diem” il latino lo manteneva solo nel titolo, La canzone per metà era in sloveno e per metà in inglese. La polacca “Solo”, quindi, che tanto ci aveva fatto palpitare anche per le fattezze fisiche mostrate, s’era rivelata una grande delusione. Tutta cantata in inglese; non solo dell’italiano, ma anche del polacco, neppure una virgola!
L’anglicismo insomma dilagava alla grande ed in tutte le maniere, anche le più subdole, come nella canzone serba “Samo mi se spava”, titolo che lasciava chiaramente intendere una canzone in lingua delle origini, noto anche il forte nazionalismo dei serbi e la loro propensione filorussa. Ed invece un’alternanza di strofe inglesi e serbe.
Analogamente la canzone rumena, dalla sigla enigmatica “D.G.T:” come titolo, svelava le sue vere intenzioni angliciste già nel sottotitolo “off and on” e poi era un’alternarsi anch’essa di strofe in lingua nazionale ed in inglese.
La Lettonia partiva con un titolo in lingua originale “Ajja”, che illudeva un’altra volta, perché solo il finale della canzone era in lingua lettone, tutto il resto ancora in inglese, compreso il nome del complesso “Sudden Lights”. La canzone lituana, infine, dal titolo rigorosamente in inglese, riusciva ad introdurre nel testo solo una frase in lituano, anche se ripetuta 5 volte.
Insomma, più che di anglicismi vien da pensare ad un inquinamento da parte degli idiomi nazionali all’omologazione a quell’inglese divenuta la lingua universale, non solo nella scienza dove ha senz’altro un maggior senso, ma anche nella cultura musicale.
Stupisce la resa quasi generalizzata dei Paesi nordici, in particolare della Germania, la rivale storica dell’Inghilterra, tanto nel nome del complesso “Lord of the Lost”, quanto nel titolo e ovviamente nel testo della canzone.
Stupisce anche la resa dell’Ucraina. Così tanto tenacemente resistente all’invasore russo, avendo portato lo scorso anno all’Eurovision la canzone “Kalusia”, dal titolo e dal testo fieramente ucraino, e con cui aveva persino vinto, così tanto veloce a capitolare di fronte all’invasione inglesista. Titolo e testo ovviamente e totalmente in inglese. Non c’è più religione!!
Ma non tutti si son lasciati omologare. In particolare a resistere sono stati i Paesi latini e del Mediterraneo centro occidentale tra cui, e di questo dobbiamo esserne orgogliosi, la nostra Italia con Francia Spagna, Portogallo e l’Albania oltre pochi altri sparsi. Ma già i Paesi del Mediterraneo orientale, Grecia Cipro Malta, avevano facilmente ceduto all’omologazione. Sorvoliamo su San Marino.
Onore a Mengoni dunque e all’Italia, ma fino ad un certo punto.
Quest’anno mancava il traduttore e tutti i presentatori parlavano rigorosamente in lingua inglese. Chi ha orecchie da intendere intenda, dunque! Certo l’inglese non è il cinese, ma per un anziano, un poco acculturato, ma anche per chi non si era ripassato l’inglese prima di sedersi a guardare la tv, poteva essere un bel dramma!!
E se la scelta di far parlare in inglese i presentatori dipendeva dall’organizzazione dell’Eurovision, quella di fornire un traduttore dipendeva da mamma RAI.
Motivo? Dover risparmiare sulle spese, incurante del canone che paghiamo? Eh già, chissà quanto sarà costato un traduttore per così poche serate!? Piuttosto che ammettere che comunque bisogna pagar pegno all’omologazione inglesista!!
Per una prossima edizione, pertanto, se proprio dobbiamo sottostare alla legge della “lingua unica”, propongo di cambiarla e di cantare in americano. Ma no! Le Americhe non fanno parte dell’Europa, allora ecco in australiano!. L’Australia, tipica nazione europea. Infatti ha partecipato quest’anno.
Ah dimenticavo, chi mai doveva vincere se non una canzone in inglese (nella foto Loreen) di un Paese, la Svezia , linguisticamente colonizzato? “Elementare Watson”, direbbe Sherlock Holmes, l’investigatore guarda caso inglese per eccellenza.
Stefano Araldi
Una risposta
D’accordo sulle identità nazionali ma credo che la ‘colonizzazione anglofona’ che giustamente fai notare qualcosina abbia anche a che fare col dato oggettivo del gigantesco contributo novecentesco di quell’ area a una rivoluzione musicale e di costume giovanile che è ormai un punto fermo e porta i mitici nomi dei Beatles, Rolling Stones, Freddy Mercury e i Queen, Elton Jhon ecc.