La parte più impegnativa della ricerca che ho fatto per la stesura del quaderno sul tema proposto dall’Accademia Italiana della Cucina a tutte le delegazioni italiane, ovvero ‘La cucina del contadino, il campo, il cortile, la stalla’, è stata la storia. Per il ‘700, Giuseppe Sonsis scrive che ‘il vitto dei contadini del Cremonese e del Lodigiano è meschino’. Per l’800 due medici ho raccolto scritti di due medici, Giacomo Ramenghi e Alessandro Tassani, quest’ultimo, regio medico provinciale (1847), che scrive: ‘I cibi vegetali sono riservati alle mense contadine, i cibi animali alle classi agiate. La caccia agli uccelli è ancora fatta con l’archibugio e i casalaschi fin dalla culla cominciano a fare libazioni a Bacco’ Giacomo Ramugli (1882) sottolinea ‘i danni alla salute per la cattiva conservazione di cereali, pane, polenta con sangue di maiale, non conigli e non gatti che apporterebbero le sostanze proteiche mancanti’. E aggiunge: ‘L’uomo una volta era assolutamente carnivoro, il bisogno lo ha reso onnivoro e la necessità ormai lo rende erbivoro’. E’ stata come sempre preziosa la collaborazione di Valerio Ferrari, Marco Petecchi, Agostino Melega, Cesare Lazzari. Mi sono avvalsa anche delle testimonianze di Doriana Fiorani, Grazia Antonia Rossi, Luciana Cocchetti e Mariarosa Frittoli, Romeo Domaneschi, Piera Lanzi Dacquati, Antonietta Bordoni, Alberto Leggeri, Rina Brambati, Giuseppe Bettella, Lilluccio Bartoli, Davide Mometto, Sandra Stazzoni, Le pagine di Giorgio Maggi sono degne dell’antologia: mi è sembrato più efficace concludere con loro la sezione delle testimonianze.
Tra le sezioni per la vita contadina, il nostro delegato Marco Petecchi ha descritto non solo il passato ma anche la situazione attuale che vede sostituirsi nel lavoro in stalla dei nostri bergamini, indiani, lavoratori del Senegal e della Costa d’Avorio. Doriana intervista il cognato che segue, nell’avvicendarsi delle stagioni, il lavoro nei campi, il lavoro delle donne, i giochi dei bambini. Antonia, citando i proverbi di Paolo Brianzi, ci mostra l’abilità delle donne di casa per risparmiare, per utilizzare tutto quello che avevano a disposizione per una cucina varia e gustosa. Luciana e Mariarosa, poi, raccontano la vita in cascina nell’arco dell’anno.
Romeo è stato il più esauriente nel descrivere le abitudini alimentari sue e della sua famiglia e quindi delle famiglie cremonesi negli anni ’50 e ’60, dalla colazione alla cena dei giorni normali e di quelli di festa e ci ricorda episodi curiosi come i ghiaccioli staccati dalle grondaie e succhiati avidamente o i bicchieri di neve insaporiti da zucchero e succo di limone o l’aver aspettato i dieci anni d’età per poter mangiare, il venerdì di magro, un uovo sodo intero e non solo la metà.
Antonietta ricorda il pranzo della sagra a Cella Dati dagli zii, mentre Alberto ci racconta le sue estati in cascina nel Piacentino, ospite di una famiglia patriarcale che ruotava attorno a mamma Berta, cuoca straordinaria nonostante l’età. Rino ci fa venire l’acquolina in bocca parlando di un intingolo con le creste, di minestroni, tortelli ma anche di vendemmia, di sugo, di ciliegie. Giuseppe ricorda i favolosi pranzi delle domeniche quando le donne di casa si alzavano alle 5 del mattino perché tutto fosse cotto a puntino. Luisa ricorda la nonna del marito, una donna straordinaria, brava a reggere la famiglia e a guidare un’azienda. E Lilluccio, con la sua ironia dissacrante, intitola le sue testimonianze ‘La fame, argomento sconosciuto agli epigoni di Masterchef’.
L’ultima sezione è dedicata agli animali. Davide ci dà notizia di una gallina di razza cremonese che si credeva estinta e che è stata da lui recentemente riscoperta e studiata. Mi ha poi sconvolta con la descrizione della sofferenza delle oche, il maiale dei poveri, e della loro morte cruenta. Numerose le testimonianze sul maiale, il suo allevamento, la sua uccisione, la preparazione degli insaccati, la torta di maiale e la cena finale con le verze matte. E Sandra conclude la sezione con il racconto di piccioni e api, allevati in cascina nell’ambito dell’economia di autosufficienza tipica della civiltà contadina.
Le pagine di Giorgio Maffi, come dicevo degne di finire nell’antologia, chiudono le testimonianze con un lungo racconto in cui si intrecciano le storie degli uomini, dei luoghi e della natura.
Le ricette sono soprattutto di salse e primi piatti. Una sezione apposita è dedicata ai dolci legati alle feste e una particolare attenzione ai dolci poveri attualizzati da Doriana.
I proverbi e i modi di dire quest’anno si arricchiscono con il ricordo del primo dizionario cremonese (1827) del maestro Andrea Vercelli che scrive di essersi accinto all’opera dopo essere stato sollecitato a trovare la traduzione italiana di moll de melegot E infatti il dizionario reca il curioso titolo: ‘Il torso del granoturco che dà occasione a tradurre in italiano 400 vocaboli familiari cremonesi’.
Carla Bertinelli Spotti
Il quaderno ‘La cucina della tradizione nelle campagne cremonesi’, curato da Carla Bertinelli Spotti è stato distribuito gratuitamente domenica 27 novembre a CremonaFiere al termine della presentazione nell’ambito del salone Il BonTà. In copertina appare un’illustrazione di Franco Cimardi. Progetto grafico e stampa di Mauri Arti Grafiche.
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L’articolo precedente al link
https://vittorianozanolli.it/2022/11/28/quando-la-tavola-era-povera-ma-ricca-di-sapori-il-libro-dellaccademia-italiana-della-cucina/
Una risposta
Cose di una volta che lasciano l’amaro ricordo del “non ritorno “….