Sanità, Cremona e Crema sempre più divise e lontane

19 Dicembre 2021

A Cremona è prevista la costruzione di un nuovo ospedale e la demolizione del vecchio. A Crema è programmata una casa di comunità in via Gramsci, in un edificio di proprietà della Regione che nei tempi andati era chiamato il Pirellino. Allora era sede dell’Asl, oggi di alcuni uffici dell’Asst di Crema. Cambiano le sigle, poco la sostanza. A Cremona e Crema è già polemica.

Il capoluogo provinciale si divide su una domanda: è necessario il nuovo ospedale? Al traino, altri interrogativi. Tra i principali, l’opportunità di pensionare una struttura poco più che cinquantenne e il mancato coinvolgimento degli organismi locali. Con i parametri della legge Fornero e successive modifiche l’ospedale di Cremona dovrebbe restare in attività per altri quindici anni. Un aiuto per comprendere il problema lo fornisce Michele De Crecchio, ex assessore comunale di Cremona. «Pochi anni prima del nostro ospedale – spiega – gli ingegneri Braga e Ronzani, specialisti di edilizia sanitaria, avevano progettato e realizzato, tra tante altre strutture, anche gli ospedali di Codogno e Brescia. Per tali importanti nosocomi, vicini alla nostra città, non mi risulta che siano stati ipotizzati o realizzati interventi radicali di demolizione come la Regione Lombardia vorrebbe imporre per l’analoga struttura di Cremona». (Cremonasera, 18 dicembre). Parlare di consumismo edilizio-sanitario non è fuori luogo.

Criticare la scelta della Regione non è disdicevole.

Applaudirla è più conveniente.

Restare in silenzio è da cacasotto. Da furbi di mezza tacca.

Asserire che il diritto alla salute non si salvaguarda con investimenti astronomici in strutture di super eccellenza è difficile da contestare. Sostenere che l’odore dei soldi, di molti soldi, favorisce il pensiero unico e silenzia la critica non è sovversivo, ma realistico. Il sindaco Gianluca Galimberti si è genuflesso davanti alla Regione. La minoranza non ha fiatato. I partiti sono rimasti muti o quasi, una fortuna per il Pd dopo le ultime non brillanti esternazioni del suo segretario provinciale, che ha collezionato la terza Waterloo con le elezioni provinciali di ieri. Se la politica in generale – non solo quella sanitaria – persevererà nel concedere all’economia di sostituirla e di imporre le proprie scelte, la costruzione degli ospedali prevarrà sulla medicina del territorio. L’articolo 32 della Costituzione rimarrà  un’enunciazione. Neppure un sogno di mezza estate. Solo utopia. Fin che la barca va, lasciala andare e se sulla bettolina ci sono oltre 300 milioni di euro fermarla sarebbe da incoscienti. Così va il mondo. E così rimarrà se non si ha il coraggio di cambiarlo. Chi lotta può perdere. Chi non lotta ha già perso. Che Guevara.

«Una medicina basata sull’edilizia fa girare l’economia e tiene impegnati i professionisti del taglio del nastro, ma non necessariamente ha come obiettivo quello prioritario di migliorare l’offerta di prestazioni sanitarie» (vittorianozanolli.it, 17 dicembre). E il pacco di quattrini in arrivo dalla metropoli, non solo la fa girare, ma la spedisce in orbita. Una manna per costruttori e indotto. Alla medicina del territorio, prima smantellata poi riabilitata dall’emergenza covid 19, rimarranno le briciole, ma non è un problema. Business is business. Si dice così no? Anche sulla pelle dei cittadini. Se la politica latita, i cittadini si fanno sentire. Gli interventi dei lettori pubblicati in questi giorni su Cremonasera e la discussione sui social segnalano che il disagio e la
preoccupazione per l’ospedale del futuro sono diffusi. Paolo Bodini, ex sindaco di Cremona ed ex primario di medicina generale, va oltre le perplessità. Dalla discussione passa alla proposta. «Vorrei – dice – che nascesse un comitato civico che si ponesse come interlocutore su quella che possiamo definire l’operazione più grande dei prossimi 50 anni per Cremona. (Cremonasera, 17 dicembre). Cinquant’anni sono mezzo secolo. Scusate se è poco.

Nella Repubblica del Tortello, al contrario, niente interrogativi, ma proteste. La decisione della Regione di preferire il Pirellino all’ex tribunale per realizzare la casa di comunità non è stata digerita. Rabbia e senso di impotenza hanno sostituito il dibattito e il confronto. More solito, si
grida e si accusa la Regione matrigna. Si cerca di mettere una pezza. Sarebbe stato meglio
prevenire. È innegabile che l’edificio di via Gramsci rispetto all’ex tribunale è un disastro per viabilità e parcheggi. È altrettanto innegabile che in più occasioni i cremaschi hanno espresso il loro desiderio e la Regione lo ha bocciato.

È successo nel dicembre 2017, presidente Roberto Maroni. Il consigliere regionale piddino Agostino Alloni aveva presentato un emendamento al bilancio con la richiesta di un finanziamento di 4 milioni di euro per la riconversione dell’ex tribunale, appunto in
struttura socio-sanitaria. Respinto. È successo nel marzo di quest’anno, presidente Attilio Fontana. Stessa richiesta, identica risposta. È successo la settimana scorsa, dopo l’approvazione della riforma della legge regionale 23 del 2015 sulla sanità lombarda. Una delegazione di sindaci si è recata dall’assessore Letizia Moratti con il cappello in mano. Sono ritornati con un no nel cappello. È anche innegabile che un emendamento, un paio di documenti alla camomilla e altrettante lettere di blando risentimento e di richiesta di audizione ai piani alti della Regione non smuovono le montagne, ma neppure la sedia. Neanche lo sguardo. Men che meno la sede della Casa di comunità nell’ex tribunale. La Regione è colpevole di non avere ascoltato i cremaschi, ma probabilmente ha buone ragioni per scartare l’ipotesi dell’Area omogenea. Un po’ meno per scegliere il Pirellino. O forse se ne fotte del Cremasco. Intanto conta nulla. L’incapacità di sostenere le proprie ragioni e di imporle nelle sedi decisionali ha confermato l’inconsistenza della Repubblica del Tortello e la completa assenza di una strategia del Cremasco nel perseguire i propri obiettivi. Per vincere sono necessarie rabbia e determinazione, non comunicati. Servono unità e un comandante che unisca. Inesistenti sia l’una che l’altro. E allora si dovrebbe destituire il
generale. Ma è intoccabile. E l’unità resta una chimera.

L’ultimo numero del Nuovo Torrazzo, settimanale diocesano di Crema, ha titolato. «Liquidata l’unità territoriale». Sacrosanta verità. Si riferiva all’assemblea che pochi giorni fa ha deciso di spostare rami d’azienda da Scrp in Consorzio.it. Favorevoli 16 sindaci su una cinquantina. Quasi tutti di centrosinistra. Questo il problema. L’Area omogenea è tutto meno che omogenea. Cremona discute sull’abbondanza. Crema s’incazza per le frattaglie. La provincia viaggia a due velocità. O si cambia, o il declino già iniziato continuerà. La politica è colpevole. Il muro di Berlino è caduto nel 1989. Qui se ne costruisce uno ad ogni stormir di fronda. Siamo una pozzanghera. Se si continua per questa strada non diventeremo mai un lago. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Vale ancora.

 

Antonio Grassi

Una risposta

  1. Riflettendo sui guai causati da una classe politica sempre più inadeguata, mi viene spontaneo parafrasare un detto latino: quod barbari non fecerunt, res publica feci.

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