Smantellata negli anni passati a favore degli ospedali, rivalutata con l’emergenza covid, la medicina del territorio ha catalizzato per mesi l’interesse di politici, amministratori pubblici, operatori sanitari, esperti dell’ultima ora, tuttologi, cittadini qualunque.
La rilevanza mediatica da superstar mantenuta per mesi e la presenza nei trending topic delle discussioni sulle falle del sistema sanitario lombardo e sui rimedi per tamponarle, l’avevano trasformata da Cenerentola a principessa. Battersi il petto, ammettere l’errore, sostenere la necessità e l’impellenza di rivedere l’organizzazione della sanità regionale era diventato un mantra. Sdoganata, la medicina territoriale aveva conquistato il certificato e il nulla osta di priorità tra gli interventi da effettuare.
Viagra ideologico per reduci e riservisti di rivoluzioni iniziate e mai concluse, o abortite pochi giorni prima dal parto, o solo auspicate, l’argomento aveva attecchito anche tra coloro che preferiscono il mainstream dei social ai più ostici sentieri del dibattito politico.
Il rinnovato interesse sul futuro modello della sanità lombarda aveva riacceso i riflettori su concetti datati, ma ancora aperti e irrisolti.
Erano tornate alla ribalta la contrapposizione tra sanità pubblica e privata, l’eccesso di specializzazione, l’esasperazione dei protocolli terapeutici, le nuove frontiere dei farmaci derivati dall’ingegneria genetica, le big pharma, la malattia-merce, il business della sfiga.
Era stata tolta la polvere all’armentario in voga nel giurassico sul diritto alla salute, bene collettivo e individuale, un pelo diverso, dal diritto alla cura della malattia.
Vecchi slogan avevano ripreso a circolare. La salute non è in vendita e la salute è un bene pubblico si erano rianimati. Aveva trovato spazio la prevenzione che funziona meglio della riparazione, concetto tagliato su misura per Cremona se, come pubblicato dall’Agenzia ambientale europea, è la seconda città più inquinata d’Europa.
Il dibattito sulla medicina territoriale aveva trovato terreno feritile sui confini dell’Ats, battezzata Valpadana, frutto del matrimonio e dell’unione dei beni delle province di Mantova e Cremona. Domiciliata nella città virgiliana, la super Ats ha un estensione poco funzionale per i cittadini e la proposta di un divorzio con la creazione di due Ats autonome aveva riscosso un buon successo, soprattutto in terra cremasca. Qualche scettico aveva storto il naso nel Casalasco, ma negli ultimi giorni anche in questo territorio sono stati segnalati decisi fermenti autonomisti.
Ma il mondo se ne fotte dei bei discorsi e delle storie a lieto fine. L’ ospedale ha ripreso il suo ruolo egemone. Cenerentola è tornata negli scantinati. L’economia ha soppiantato la politica. Il territorio è tornato a sbucciare patate ed è scomparso nel triangolo delle Bermude della sanità lombarda, quella che ha inghiottito l’assessore Giulio Gallera, specializzato in conferenze stampa surreali.
Nei giorni scorsi a Milano è stato approvato dalla giunta, su proposta della vicepresidente e assessore al Welfare, Letizia Moratti, sostituta di Gallera, il Programma regionale straordinario degli investimenti per la sanità: 106,5 milioni di euro, quasi tutti destinati agli ospedali.
A Cremona arriveranno 2, 5 milioni di euro. A Crema 1,4. Tanta manna. A caval donato non si guarda in bocca. I lavori dovranno concludersi tra i 24 e 30 mesi dall’avvio, entro 40 mesi se l’investimento è superiore ai 25 milioni.
«Si tratta di un programma di interventi – ha spiegato la Moratti – decisamente importante che va nella direzione di realizzare opere strutturali, acquisire nuovi macchinari e strumentazioni, anche con l’obiettivo di andare a ridurre le liste d’attesa, oltre all’innovazione tecnologica legata ai sistemi di pagamento per le prestazioni erogate all’interno delle strutture». (OglioPo News, 23 giugno)
E il territorio? Al prossimo giro.
Dei 106,5 milioni i «27,91 sono destinati ai piani di incremento della sicurezza sismica e antincendio e per il superamento delle barriere architettoniche e gli oltre 20 per la sostituzione di grandi apparecchiature biomediche»
Nessuno dubita che l’attuale sicurezza antisismica e antincendio degli ospedali lombardi meriti un potenziamento, ma questo non cancella il dubbio che si corra un rischio maggiore nel lasciare il territorio sguarnito di servizi sanitari.
In Regione, hanno lo sguardo fiero che buca l’orizzonte. Non si filano Cremona, Vescovato, Bagnolo, Martignana Po. Osservano gli Stati Uniti, patria della sanità più classista del mondo e, sembra di capire, benchmark di riferimento per la futura sanità lombarda.
«E’ un piano straordinario – commenta la Moratti – che ha preso forma dalle esigenze arrivate dal territorio e che di fatto ha un’azione che va ad anticipare il percorso della riforma della legge 23 sulla sanità regionale. Una riforma che non può prescindere da un’attenzione peculiare e da investimenti rilevanti per garantire la migliore efficienza possibile delle nostre strutture e il mantenimento di quei livelli di eccellenza che ci riconoscono anche dagli Stati Uniti». (La Provincia, 22 giugno)
Per carità, se lo dice l’assessore c’è da crederci. Però senza prescindere da investimenti rilevanti, se avanza qualche spicciolo non sarebbe possibile istituire nel Cremasco un paio di presidi socio sanitario territoriali? Non sarebbe possibile incentivare con qualche euro i laureati in medicina a intraprendere la professione di medici di base? Ne mancano assai.
Con un accenno a Guccini sarebbe stata una dichiarazione perfetta «L’ America era allora, per me i G.I. di Roosevelt, la quinta armata, l’America era Atlantide, l’America era il cuore, era il destino». Per la Moratti è la sanità.
Già, dichiarazione perfetta. Per un club di nobildonne, snob e annoiate. All’ora del tè. Intanto Cenerentola, in cantina e priva di risorse, rischia di morire. Se accadesse, non verrà seppellita al cimitero di Arlington.
Antonio Grassi
Una risposta
Antonio Grassi sa sempre illustrare con parole efficaci le situazioni più critiche che la mediocre politica lombarda e quella cremonese in particolare non riesce (e, temo, non voglia) nemmeno ad affrontare, Ipotizzare la costruzione del nuovo “ospedalino” come soluzione dei guai della sanità cremonese è, per quanto ne posso capire, una fuga dalla realtà dei problemi. Il fatto che tale ipotesi sia stata accettata dai più importanti politici cremonesi non mi rassicura affatto: non di rado le scelte peggiori per il nostro territorio, osservava un mio vecchio amico, sono state anche in passato approvate proprio all’unanimità (circostanza che è, quasi sempre, segnale di una insufficiente valutazione delle relative problematiche).