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Security, doppiezza e ipocrisia di un potere torbido e fragile

23 Marzo 2022
Balza subito alla mente Il capitale umano di Paolo Virzì vedendo questo buon film, Security, di Peter Chelsom, sapientemente in equilibrio fra dramma e thriller, e non solo perché la sceneggiatura proviene da un romanzo di Amidon, autore anche dell’altro. Uno degli spunti di base è comune: un evento drammatico (qui la violenza subita da una ragazza che si aggira angosciata fra le munitissime ville di un quartiere residenziale a Forte dei Marmi) segna il momento iniziale di un’indagine che conduce allo svelamento del solito sepolcro imbiancato. L’ipocrisia e la doppiezza che coinvolgono tutti, dalle alte sfere politiche all’élite economica agli intellettuali di provincia finto alternativi, nascondono sotto una patina smagliante torbidi segreti ed aberrazioni stravaganti. Una comunità così male assortita racchiude in sé anche il capro espiatorio ideale, quello che, innocente, paga per tutti, prima calamitando su di sé il disprezzo della brava gente, poi subendo una morte violenta che egli accetta con rassegnazione e fatalismo. Nel rappresentare questa materia, il regista trova efficaci momenti espressivi, soprattutto mettendo a contrasto la bellezza del luogo, con inquadrature da cartolina, e la calma ordinata della spiaggia di lusso con il torbido ribollire di impulsi inconfessabili vissuti senza ritegno dagli ‘insospettabili’.
A questo tema se ne intreccia un altro, in un blocco coerente e ben controllato: quello dell’ossessione della sicurezza, che costringe gli uomini (proprio quelli che si fanno vanto del loro potere) ad essere continuamente controllati da macchine onnipresenti, che possono svelare la loro esistenza, semplicemente mettendo in ordine cronologico i frammenti della loro vita pubblica e intima. Non esiste attimo che non possa essere catturato e riprodotto, e permettere la ricostruzione di una vita ‘altra’ rispetto a quella che si vuole tenere accuratamente nascosta.
Tuttavia, la convinzione che monitor e computer ricostruiscano davvero la realtà oggettiva è illusoria. Come gli occhi umani possono sbagliare e vedere ciò che non è, interpretando in modo errato gesti e situazioni (così accade alla figlia del protagonista, nel ricostruire l’incidente che provoca la rovina del supposto pedofilo), così anche la macchina può essere manipolata. Ha bisogno infatti dell’occhio e dell’intelligenza umana perché il risultato della sua osservazione produca senso e colga la verità annidata in una miriade di frammenti scomposti. Questo è appunto il senso dell’amara inquadratura finale, anticipata da una sequenza analoga posta proprio all’inizio del film: il protagonista che ha il compito di sorvegliare e ricostruire la verità (un bravo Marco D’Amore, a suo agio anche al di fuori di Gomorra) si allontana verso il mare; la sua figura si dissolve, lasciando spazio ad una spiaggia pulita ed ordinatissima, nella quale un bagnino rastrella la spiaggia, cancellando ogni traccia.
Vittorio Dornetti
https://www.youtube.com/watch?v=NZ3lymXvOEE

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