Già penalizzata dalla legge Delrio, con la vicenda Signoroni la Provincia di Cremona ha perso ulteriore autorevolezza e molto altro.
Sia detto chiaro e forte, la causa del fallimento non è il presidente, prigioniero di un sistema che lo ha risucchiato in un meccanismo strutturato per stritolare i soggetti politicamente più deboli e meno esperti.
Se questo è vero e se a Mirko Signoroni vanno concesse tutte le attenuanti disponibili, occorre essere altrettanto netti nel sostenere che risulta impossibile assolverlo. Ha partecipato ad un risiko complesso senza valutare rischi e conseguenze di un eventuale imprevisto e quando questo si è verificato e il banco è saltato non si è dissociato.
Il sindaco di Dovera paga l’incapacità di dire basta dopo lo scivolone iniziale. Paga gli errori nella scelta dei propri consiglieri personali e la mancanza di uno spin doctor di qualità. Paga la troppa fiducia concessa ai pianificatori della sua elezione. Lui di centrodestra è la vittima di un accordo inusuale, sottoscritto da Pd e dalla fronda di Forza Italia, per eleggerlo presidente. Un peccato originale che non si cancella con tre pater ave e gloria e la promessa di non ripetere lo sbaglio. Indelebile, il pasticciaccio della sua elezione ciclicamente tornerà a tormentarlo.
Il conto da saldare comprende la sua ineleggibilità alla prima chiamata alle urne e la conseguente trafila giudiziaria con una sua condanna per falsità ideologica, vicenda non ancora chiusa. Poi la diserzione degli elettori che al secondo giro di giostra hanno fatto segnare una deprimente affluenza del 22,3 per cento degli aventi diritto al voto. Infine alcune dichiarazioni creative di esponenti politici, che hanno raggiunto l’apice con lo stupefacente e arrogante proclama di Vittore Soldo, segretario del Pd. Affermazione che ha conquistato la palma della migliore cazzata sull’argomento e l’attenzione delle più titolate facoltà di comunicazione, interessate ad inserirla nei testi di studio come esempio sommo di autolesionismo tafazziano e meritevole del mitico commento riservato da Fantozzi a La corazzata Potemkin.
«Signoroni – aveva spiegato Soldo – non ha commesso nessun delitto e la sottoscrizione della sua candidatura senza essersi prima dimesso dalla vice presidenza dell’A.T.O. è stata una leggerezza che non aveva implicazioni di sostanza» (Cremona Sera 11 giugno, in relazione a una nota ufficiale diffusa mesi scorsi dal segretario pidiessino).
Per Soldo il comportamento che ha procurato a Signoroni la condanna per falsità ideologica è una gazzosina. Una leggerezza tanto leggera che ha costretto il presidente a dimettersi e i sindaci e consiglieri comunali a tornare alle urne.
«Ma mi faccia il piacere!», avrebbe detto Totò.
Se le parti fossero state invertite, se al posto di Signoroni ci fosse stato il suo competitor, il segretario del Pd avrebbe pronunciato le stesse parole? Perché non ha diffuso un comunicato di commento sulla condanna per falsità ideologico? Forse è un cattolico praticante: non sappia la tua sinistra quel che fa la destra. Ma il Vangelo si riferisce all’elemosina, alle buone azioni. Non alle puttanate.
Errare è umano, perseverare è diabolico, ma il presidente della provincia non ha nulla di mefistofelico. Molto, invece, del penitente. Nei modi e nello stile è un po’ curiale. L’abito non fa il monaco, ma viene difficile immaginare Signoroni burattinaio di questa rappresentazione. È agnello sacrificale consenziente. Senza se e senza ma.
Il problema della Provincia non è il presidente. È la decadenza della politica nel nostro territorio. Quasi sparita, la poca rimasta viene interpretata da attori tanto scarsi da sfigurare anche nel saggio della scuola materna di fine anno.
Non mancano soggetti degni del ruolo, ma sono una rarità: vegetariani in una steakhouse, animalisti in un quagliodromo. Bravini, non fenomeni. Passabili per una rappresentazione all’oratorio o in piazza durante la sagra del melone, si considerano Robert De Niro di Taxi Driver o Bradley Cooper di American Sniper.
L’autovalutazione eccessiva non giova né agli attori né ai cittadini e diventa terreno fertile per minchiate stratosferiche. È successo con il caso Signoroni, con la nomina del consiglio di amministrazione di Padania Acque, con il Piano energetico provinciale.
Il problema del nostro territorio è il modo dei partiti di intendere la propria funzione.
Da officina per forgiare una classe dirigente politica capace di individuare i bisogni dei cittadini e proporre soluzioni per soddisfarli, i partiti si sono evoluti in ascensori per salire nella scala sociale, in agenzie di collocamento per l’impiego, in designatori di membri nei consigli di amministrazione di società o enti pubblici.
Se Parigi vale una messa, un posto nel consiglio di amministrazione di una partecipata o di una Rsa e relativa prebenda vale molto di più. Vale accordi consociativi, qualche volta opachi, caratterizzati da scambi di favori imbarazzanti, silenzi conniventi, comportamenti contradditori e sconcertanti per il comune cittadino.
Perso l’afflato ideale, ridotto il bene comune ad un optional e omogeneizzati nelle proposte, ai partiti non resta che l’obiettivo dell’autoconservazione. Relegati in una realtà virtuale da loro stessi creata, forti di una stampa locale accondiscendente e quasi mai critica, si ritrovano sradicati dal territorio, incapaci di incidere e coinvolgere la gente.
La Lega è il paradigma di questa distorsione. Da anni priva di segretari locali, sostituiti da commissari politici forestieri avulsi dalla nostra realtà e nei metodi simili agli storici colleghi trotskisti-bolscevichi, il Carroccio è sempre due metri indietro. La vicenda Signoroni è esemplare. Fuoco e fiamme all’inizio, poi più nulla. Nei giorni scorsi il risveglio con un comunicato sulla condanna di Signoroni per falsità ideologica. Testo da mettere invidia alla migliore Democrazia cristiana. Commentare sarebbe da maramaldi.
Ma questo passa il convento, dove ci sono pochi frati, molti apprendisti stregoni e qualche furbo che si crede il più furbo e dimentica che anche tra i chiostri c’è sempre quello del formaggio pronto a mettere in squadra e a pareggiare i conti e a farsi versare gli interessi.
È possibile sognare una provincia diversa? Why not? (Bob Kennedy, campagna elettorale, 1968).
Antonio Grassi