Tutti ne parlano ancora. L’incastro era quasi perfetto. Ma generazioni di studenti, soprattutto maschi, sanno che non è vero. Vi spiego il perché.
Smeralda insegnava matematica in un liceo. Era alta, snella, portava capelli biondi tagliati a caschetto sotto il mento. Li spostava di tanto in tanto dietro alle orecchie. Aveva orecchie grandi, a sventola. Il suo difetto era diventato un vezzo: mentre spiegava in classe faceva scivolare, usando l’indice della mano, con un gesto meccanico, i capelli dietro le orecchie per poi un secondo dopo riposizionarli sopra le orecchie. Era slanciata. Portava sempre il tailleur, giacca e gonna al ginocchio. Ne aveva due: uno color mattone e uno verde salvia. Scarpe decolleté scure, sempre, francesine allacciate, tacco quattro centimetri nella stagione più fredda. Non aveva un profumo. Se volessimo assegnargliene uno sarebbe muschiato, saprebbe di cortecce e sottoboschi. Tutto in lei aveva un taglio maschile. Niente vaniglia o essenze borotalcose. Se non fosse per quel seno prorompente… La sua camicia di seta blu tirava sul petto, senza far intravedere troppo la lingerie, che era scura, tono su tono. I suoi occhi nocciola esprimevano fermezza. Era autorevole, ma anche autoritaria. Aveva una voce aspra, bassa, un po’ rauca, come il suo sarcasmo. Se avessimo potuto toccarla avremmo sentito l’increspo delle rughe, anche se era ancora nel fiore degli anni. Un’anima vecchia, come una canzone di Cat Stevens ascoltata al buio, al mare, mentre fuori impazza il temporale.
Era fidanzata con Mario. Lui insegnava lettere alle magistrali. Era magro, un po’ più basso di Smeralda. Un dandy che non ce l’ha fatta. Calzoni bianchi e camicina blu in estate a mezze maniche. Viceversa, in inverno, pantaloni in velluto blu a coste e camicia chiara, in flanella. Ai piedi sempre le clarks blu. Sapeva di lavanda. Lavava i panni la sua mamma, anche se ormai Mario aveva 35 anni. Quando spiegava Leopardi, si scioglieva. La sua voce sottile si espandeva nell’aula rilasciando flebili onde. La letteratura era il suo rifugio. Si faceva mille storie. Divagava. Chiudeva gli occhi e spiegava. Silvia, la donzelletta che vien dalla campagna, Fanny. Donne irraggiungibili. Smeralda invece era riuscito a raggiungerla. Si era fatta avanti lei. Pioveva. Gli aveva chiesto un passaggio sulla sua 500 con le doppiette, dopo un collegio docenti. Lui era lì, nelle vie delle loro scuole, sembrava aspettarla. A seguire la messa, il cinema, la passeggiata lungo il Po.
Mario non sapeva tradurre in competenza la sua attitudine per la poesia. Restava un passo indietro. Non osava mai. E’ incredibile, ma non esprimeva mai delicatezza o romanticismo. Lei lo raffreddava o lui era incapace di creare calore e atmosfera?
Una sera dopo un cineforum sul film Reds, in macchina stipati sulla 500, ha cercato di baciarla. Lei prima si è irrigidita, poi si è lasciata andare con trasporto. Lui ha cercato il suo tesoro trafugando nella sua camicia di seta blu, poi si è ritratto. Forse era troppo. Tempo al tempo.
Dopo parecchi cinema d’essai e dopo svariate passeggiate, è arrivata la proposta di matrimonio. Mario sembrava deciso a coronare il suo sogno di avere una famiglia. Quella donna così marziale e austera gli sembrava la madre ideale dei suoi figli. Del resto lei era il disegno tecnico ben eseguito e lui il suo calligramma. Lei l’asse cartesiano, lui il fiore.
Smeralda fece fare su misura per le nozze un vestito bianco in pizzo con la gonna al ginocchio, per valorizzare le sue gambe lunghe e ben proporzionate. Le spalline scendevano sul decolleté tagliato con scollatura a cuore, ingentiliva il suo viso squadrato un velo corto fermato con un cerchietto sulla testa, punteggiato di perline. Una scelta stranamente molto femminile. Tutto era proporzionato ed elegante. Lui era andato dal sarto e si era fatto confezionare un gessato blu, perché poteva usarlo in altre circostanze. Tipicamente nella bara. Lui era economo e triste. Lei meritava un uomo che la spettinasse davvero. Ma lui era così, un don Abbondio che pensava di essere Oscar Wilde.
A lei piaceva la sua bonomia: era gentile, educato, colto. A lui piaceva la sua durezza. La immaginava mentre gestiva una casa, dei figli, con tante regole. Lui sognava, mentre lei avrebbe fatto la messa a terra dei loro sogni. Nessuno, davvero, si aspettava che sarebbe accaduto il contrario.
Il 17 settembre 1983 Smeralda arriva sul sagrato della chiesa puntuale alle 11. Suo padre la prende sotto braccio per accompagnarla all’altare. La marcia nuziale espande le sue note per le navate.
Mario non arriverà mai. Nessuno ha mai saputo il motivo. Non c’è mai stato un chiarimento. E’ sparito nella nebbia che ammantava tutte le sue paure.
Smeralda ha incassato il colpo. Non solo non si è mai più voluta unire a un altro uomo, ma l’ha giurata al genere maschile, diventando una carogna con tutti gli alunni dell’altro sesso. Una erinni spietata. Ha fatto piangere molti. Dai maschi voleva sempre di più. Mai una concessione, mai una scusa, mai empatia.
Incredibile come un piccolo uomo abbia saputo esasperare il carattere di una grande donna. Un accordo tacito ha ammantato le loro vite, davanti alla società e davanti al mondo: lei è rimasta una persona discutibile, ma apprezzabile, mentre lui un mentecatto, fragile e inadeguato, che non ha saputo tenere testa a una donna tutta d’un pezzo. Sì perché era così Smeralda: un pezzo unico.
Francesca Codazzi
4 risposte
Mi ha preso il cuore questo racconto, e pure commosso. Quanta fragilità dietro l’apparente durezza. Grazie
Ci ritrovo tutte le prof del GAselli!
Sempre avvincente e intrigante.
Grazie Francesca
Ciao Francesca, sei sempre molto abile nei colpi di scena.
Hai ben descritto i protagonisti, con dovizia di particolari. La categoria dei lavoratori insegnanti é qui rappresentata in entrambi i sessi😀.
Ha avuto la peggio la professoressa.
Complimenti! Buon proseguimento della serata e dei giorni che precedono il S.Natale.
Al prossimo racconto. Un caro saluto ed abbraccio virtuale.
Il solito ritmo spigliato, che si placa ma poi all’improvviso ti scompiglia i capelli e ti colpisce come quando hai preso troppo sole.
Mi è piaciuto molto