Storie dal Medio Oriente raccontate da Simi

27 Settembre 2025

‘Storie dal Medio Oriente’ è stato il tema di un incontro che si è tenuto ieri, 26 settembre, nel teatro parrocchiale di Sant’Ambrogio, a Cremona.  Relatrice la giornalista e inviata Maria Acqua Simi. E’ stato un viaggio tra racconti di fede, speranza e resilienza.

L’ospite ha iniziato con una citazione di Italo Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme” e che ci sono “due modi per non soffrire: il primo è facile, accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più; il secondo è difficile e consiste nel cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

La giovane inviata, sposata e madre di tre bambini, racconta di alcuni personaggi che nei suoi viaggi e nelle sue interviste l’hanno particolarmente colpita. La prima di cui ci parla è Rachel Goldberg Polin. Israeliana, madre di uno degli ostaggi rapiti da Hamas: ha fondato con altri genitori l’associazione Parents Circle – Families Forum, PCFF. Si tratta di un’organizzazione congiunta israelo-palestinese fondata per promuovere il dialogo e la riconciliazione nel contesto del conflitto israelo-palestinese, riunendo famiglie che hanno perso un parente stretto a causa del conflitto. L’organizzazione organizza incontri educativi nelle scuole, attività per i giovani ed eventi pubblici per contrastare i discorsi d’odio, promuovendo la reciproca comprensione, l’empatia e la speranza per una pace duratura. Questi gruppi vivono sulla loro pelle la possibilità di perdono. Una frase che ha lasciato il segno nell’intervista con Maria Acqua è stata: “Noi vogliamo che i nostri figli tornino a casa, ma non a qualunque costo.”

La guerra comincia con la dissolvenza dei volti, quando chi è un vicino perde l’identità di altro essere umano. Un’altra storia al femminile è quella di Elham, una donna musulmana palestinese. Vedova, con cinque figli, ha fondato una associazione in sostegno alla popolazione di Gaza nella città di Bethlemme, dove è riuscita a creare una rete di aiuti grazie anche alla comunità francescana che vive nello stesso territorio. Il suo obbiettivo è solo uno: con le sue azioni, desidera far capire e trasmettere ai suoi figli che di ognuno di noi, alla fine della propria vita, resterà solo il bene che viene fatto.

Un altro racconto è quello di un gruppo di suore che accudiscono bambini disabili, quasi completamente non autosufficienti, come Moira, una bambina di 8 anni della quale viene mostrata in diapositiva una immagine in braccio alla suora, che con il conflitto in corso si trovano in una situazione drammatica nel dover accudire questi piccoli pazienti senza quasi più risorse, prima fra tutte l’acqua. Perché questo bene prezioso è gestito quasi interamente dal governo israeliano.

Avevo già letto nel libro di Francesca Albanese la diabolica volontà di dividere con i vari muri i territori israeliani da quelli palestinesi privandoli delle risorse idriche. Provate quindi a immaginare di dover accudire dei bambini piccoli senza poterli lavare, e addirittura avendo esaurito le scorte di pannolini…

Il racconto prosegue con un volto maschile in questa rassegna di protagonisti di storie: è quello di Khalil di Aleppo, Siria, che si rifiutava di combattere per qualsiasi fronte in qualsiasi schieramento. Finchè decise di chiedere aiuto ai frati per potersi sposare e mantenere la sua famiglia, e questi lo aiutano con un micro credito che gli consente di aprire una panetteria fra le macerie della sua città, distrutta durante le feroci battaglie dal 2012 al 2016, perché il vero atto di eroismo è quello di restare, quello di dare una possibilità di bene in questi luoghi difficili, anche sfornando del pane.

Proseguendo, sempre in Terra Santa, c’è anche un gruppo di suore comboniane, come Sister Aziza che si occupa delle comunità beduine e della difesa dei loro diritti. La loro presenza è un sostegno per le famiglie cristiane, le comunità beduine e chiunque cerchi il dialogo, oltre a essere una testimonianza di speranza e ricostruzione in un territorio segnato dal conflitto. A ciascuno di noi è chiesto di fare il bene lì dove siamo, non ci viene chiesto di fare una rivoluzione, ma di rivoluzionare le nostre vite per chi ci è accanto.

Ho chiesto a Maria Acqua che cosa serve per riuscire a relazionarsi con queste persone in questi territori così diversi dal nostro. La risposta è stata: l’empatia, prepararsi, studiare, per poi accorgersi che comunque tutto ciò non basta lo stesso. Allora rimane la capacità di avere una grande delicatezza nel raffrontarsi con le persone, saperle ascoltare, capire e rispettare i loro racconti o i loro silenzi. Oggi più che mai è importante ascoltare queste testimonianze, aprire la nostra mente e il nostro cuore, con la consapevolezza che tutti dobbiamo esporci in prima persona quando la cosiddetta “società civile” fallisce così miserabilmente come sta accadendo oggi nelle terre palestinesi.

Grata al gruppo Libertà è Cultura per questo interessantissimo confronto.

 

Paola Tacchini

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