Se il successo è assicurato, non è sport. (Pep Guardiola sulla Superlega)
La bufera mondiale della Superlega è scoppiata e svanita in sole 48 ore. Almeno così sembra. Le conseguenze che attendono il mondo del calcio non finiscono certo qui. Il progetto, per ora naufragato, ha creato una spaccatura politica definitiva.
12 tra le più importanti squadre al mondo hanno provato a fondare un campionato chiuso, senza promozioni né retrocessioni, elitario, che niente ha in comune con la competizione. Un manifesto contro la democraticità dello sport. Che però fa aprire gli occhi sul futuro (distopico) che ci attende.
Giocatori e politici, due mondi lontani
Il mondo del calcio è diviso in due fazioni. Da una parte chi vive il calcio e gioca al “gioco”, gli addetti ai lavori, i tifosi, i giocatori stessi, e dall’altra chi organizza la grande macchina dello spettacolo a pagamento.
La verità più pericolosa evidenziata da questa guerra di potere è che tra i due mondi, giocatori e politici, non c’è comunicazione né unità d’intenti. E soprattutto che il mondo della politica del football, i manager dell’introito calcistico, è sempre più sicuro di poter decidere le sorti di questo sport senza interpellare chi lo sport lo mette in pratica, chi lo fa vivere.
Una sorta di distopia matrixiana dove le macchine prendono il controllo di ciò che vive.
La maggior parte di allenatori e giocatori non erano neanche stati coinvolti nel progetto, com’è emerso dalle dichiarazioni stampa di Klopp, Maldini, Guardiola.
Tra tutti i giocatori appartenenti alle squadre che hanno aderito alla Superlega, solo qualche voce solitaria si è alzata in protesta (Kroos del Real Madrid, l’intero Liverpool).
Fra i giocatori dei tre club italiani coinvolti invece, Juventus, Inter e Milan, si è assistito ad un silenzio ignavo, che non ha voluto prendere posizione.
Interessante l’intervento di Maldini al Milan, unica eccezione. L’ex capitano e bandiera del Milan ha bloccato l’a.d. Gazidis che voleva spiegare il progetto Superlega alla squadra, non volendo mischiare lo spogliatoio con le questioni dirigenziali. L’intento di Gazidis è di chi chiaramente non comprende come funziona uno spogliatoio di calcio (specie con il delicato momento di campionato che sta vivendo il Milan) evidenziando la generale ignoranza sportiva delle dirigenze, o peggio ancora un’inquietante indifferenza. Maldini si è poi scusato pubblicamente con i tifosi del Milan per la Superlega, prima ancora che la società uscisse dal progetto. Una presa di posizione onorevole, che gli causerà ovvi contrasti con la dirigenza.
Come sempre più spesso vediamo in questi anni, queste divisioni del mondo sono bipolari, antitetiche, diametricalmente opposte, bianco contro nero e questo rende difficile un dialogo sui contenuti. L’unica mediazione resta il denaro.
Supporters, not customers.
Non sono mancate le reazioni dei tifosi, inglesi in primis, scesi in piazza a protestare. Un ago della bilancia importante, su cui certamente le istituzioni in carica hanno fatto leva.
Tifosi, non clienti. Uno slogan che senza volerlo contiene proprio la stessa verità che vuole a tutti i costi negare: i tifosi sono considerati solamente come spettatori paganti, e nonostante le belle parole di FIFA e UEFA, è difficile credere che esse non condividano questa visione. La cosa sconcertante della Superlega sta nell’esplicitarlo senza mezzi termini, alla luce del sole. Una visione cinica, priva di anima. Con il suo fare elitario, la Superlega taglia fuori società come l’Atalanta, il Sassuolo, l’Ajax, realtà che hanno costruito valore reale e vivono di quella passione che unisce tifosi e giocatori su scala provinciale, ridotta forse, ma con radici profonde legate al gioco.
I conti in rosso, gli scandali di corruzione ai vertici, le plus valenze gonfiate sono però i chiari segnali di una direzione speculativa presa da anni, proprio sotto il regno di FIFA e UEFA, che ora hanno interpretato la parte dell’istituzione pulita.
Le motivazioni dei fondatori della Superleague, tra tutti Agnelli e Florentino Perez, si fondano su “un sistema che non funziona più”, un calcio che non interessa più i giovani (secondo quali parametri?), e alla fine di tutto una soluzione per risolvere la crisi del calcio (o gli errori delle stesse società?).
Un calcio turbocapitalista, ingordo, che vomita e rimangia sé stesso.
Non è il futuro che vogliamo, è quello che stavamo già vivendo. La Superlega ci ha solo aperto gli occhi.