Tutte da scoprire le ‘Biciclette d’artista’ alla Cittadella degli Archivi di Milano

16 Giugno 2024

Circa 5.000 anni fa i nostri progenitori del Neolitico, forse osservando dei tronchi rotolare in discesa o chissà, si accorsero di qualcosa di miracoloso: usare una cosa circolare sotto un peso da spostare era molto più facile che trascinarselo dietro. Era nata la ruota, una delle più grandi invenzioni dell’umanità. Non era una pietra quadra scalpellata fino a eliminarne gli spigoli come si vede nei cartoni animati, erano tronchi tagliati a fette che si sfondavano facilmente, poi divennero assemblaggi di pezzi più resistenti ma pare che siano occorsi 1.500 anni  prima di arrivare all’idea di farci un buco in mezzo e collegarme assieme due con un’asta.

Sarà che quello con le ruote è un rapporto amoroso fatto di grande pazienza, dovettero passare quasi altri 5.000 anni prima che l’uomo inventasse ciò che oggi a noi pare la più ovvia applicazione della ruota, ossia la bicicletta.

L’origine della prima bicicletta, pare legata al barone Karl Drais, del Granducato di Baden in Germania. Drais inventò la sua “Laufmachine” (macchina da corsa) nel 1817, che nella vulgata prese subito il nome più semplice di Draisine, come il suo inventore. In Italia venne chiamata draisina ed era un asse di legno su cui sedersi e spingere piedi a terra le due ruote senza pedali. Non è forse un caso che sia nata proprio in quell’anno, celebre per l’estate senza sole del 1816, anno in cui ,causa una grande eruzione vulcanica, non si ebbe il sole in Europa. Niente sole niente raccolti, e niente erba per i cavalli che se non morivano non avevano certo la forza di trasportare chicchessia, e allora si cercarono mezzi alternativi di trasporto. Ben 50 anni dopo arriverà il famoso veloci pede, ma dovremo aspettare i primi del ‘900 per vedere finalmente la bicicletta che ancora oggi noi usiamo. Da lì in poi la diffusione della bici è stata inarrestabile e travolgente. Già nel 1909 il Giro d’Italia entusiasma le masse e crea nuovi eroi, primo fra tutti quel Luigi Ganna che ai giornalisti esaltati commentò lapidario le sue fatiche sportive con la frase “me brüsa tant el cű” (mi brucia parecchio il sedere) vincendo così il primo Giro della storia nazionale.

La bici è stata il carrarmato dei prodi bersaglieri in due guerre mondiali, e probabilmente la più grande attrazione nazionale nei formidabili anni dei testa a testa tra Coppi e Bartali. Si dice addirittura che se in Italia non scoppiò la guerra civile dopo l’attentato a Togliatti nel ’48 fu solo per la formidabile rimonta di Ginone Bartali in maglia gialla al Tour de France che rimise tutti gli italiani d’accordo.

Oggi la bicicletta vive la sua stagione più importante, dato che in quasi tutti i Paesi “evoluti” del Pianeta si spinge perché essa prenda il posto dell’automobile, cosa che fino a qualche anno fa pareva impensabile: il loro numero ha  pare ormai superato il miliardo di esemplari, e questo fa anche sì che in giro ci siano ogni anno centinaia di migliaia di biciclette abbandonate ovunque, ed ecco che a Rosangela “Pinky” Rossi, soresinese di nascita ma milanese di adozione, è venuta l’idea di ridare nuova vita ad alcune di queste bici utilizzando l’arte contemporanea.

Ad oggi decine di biciclette abbandonate hanno ricevuto nuova vita dalle mani di altrettanti artisti grazie proprio al team messo in piedi da Pinky che si chiama proprio “ADESS PEDALA !”, e che conferma ancora una volta quanto l’arte contemporanea, come sempre ho sostenuto, sia una sorta di magico rampicante che avvolge ciò che andrebbe buttato e lo trasforma in qualcosa che invece va conservato e ammirato. Ecco perché oggi in Cittadella degli Archivi inauguriamo una mostra dedicata proprio a queste biciclette d’artista, perché un archivio non è solo luogo di custodia della memoria, ma è quel luogo in cui si dona nuova vita al passato facendolo conoscere ai contemporanei, rendendolo il più possibile accattivante.

Diceva David Niven che un uomo costretto a guidare la propria Rolls Royce è un poveraccio: io non possiedo una Rolls e nemmeno una bicicletta, e confesso che tra le due continuo decisamente a preferire la Rolls, possibilmente con l’autista, ma non posso negare che questa mostra porta con sé, oltre al fascino dell’arte, quell’ insopprimibile senso di gioia e movimento che la bici ci trasmette fin da quando leviamo le rotelline e ci sbucciamo i ginocchi lanciati verso la vita da una mano amica che però ci abbandona perché dobbiamo crescere, un imprinting che non ci lascia mai più.

Hai voluto la bicicletta? ADESS PEDALA!

 

Francesco Martelli

sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

docente di archivistica all’Università degli studi di Milano

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