A volte nascono pulsioni amorose che resistono a lungo nonostante i no che, nel corso degli anni, vengono pronunciati dalla ragazza che ha scatenato l’innamoramento. Verso la fine degli anni Cinquanta, Giannino, un giovane di buona famiglia che frequentava il liceo classico Daniele Manin, aveva preso la cotta per una studentessa del ginnasio di nome Maura, non bella ma interessante come si definisce la donna che esercita attrazione sul genere maschile senza disporre di luminosi lineamenti del viso, ma che contrappone un corpo costellato dalle rotondità che piacciono, con cosce ben tornite e perfettamente parallele. Conoscersi, nei corridoi della scuola, era stato facile. Avvenne durante l’intervallo, quando gli studenti si accalcavano verso il gabbiotto delle briosche e la ressa rendeva l’approccio facile. Per rompere il ghiaccio Giannino la invitò a una festina, come veniva chiamato all’epoca quell’evento che trasformava la casa in cui si svolgeva, grazie a un giradischi, in un locale da ballo, con inizio alle quattro del pomeriggio della domenica e, sotto l’attento controllo dei genitori, durava fino alle 20, non un minuto di più. Mentre la cameriera si dava da fare servendo cabaret ricolmi di paste e stappando bottiglie di Coca Cola, dalla stanza accanto al salone in cui si ballava, sovrapponendosi alla musica del disco, arrivavano le note di un pianoforte che accompagnavano la voce che interpretava “Nun è peccato”, la canzone all’epoca prima in classifica lanciata da Peppino di Capri. Aveva un timbro sottile che in alcuni passaggi ricordava quello del cantante napoletano. Giannino cantava e suonava il pianoforte con il ciuffo e gli occhiali identici a quelli del musicista famoso. Alla fine della canzone, con le braccia appoggiate al pianoforte, era rimasta soltanto lei, Maura, mentre gli altri erano tornati a ballare nell’altra stanza disinteressandosi dell’ugola di Giannino. Gli sguardi che si incrociavano ripetutamente gli davano l’illusione che il sì della ragazza fosse cosa fatta, ma dovette presto accorgersi che non era così. Superata la delusione, non si diede per vinto e, pur di farla capitolare, si trasformò in un perfetto cavalier servente. Lo si vedeva al volante della sua utilitaria mentre l’accompagnava a fare la spesa non solo in città ma anche in località vicine, spesso pronto, gesto non irrilevante, a saldare il conto dal droghiere, dal macellaio o dal fruttivendolo. Sperava in questo modo di fare breccia nel suo cuore. Lei accettava di buon grado, si mostrava gentile e anche disponibile. In occasione di un acquisto di bottiglie di acqua minerale che le portò nell’appartamento situato al secondo piano, Maura gli aveva presentato la mamma, il che era un’implicita autorizzazione a frequentare la casa. Giannino era un tipo piuttosto originale. Alto, ma esile e magro, un viso non certo da Adone e un carattere che lo faceva cadere dalle nuvole di fronte alle situazioni più ovvie, spesso era protagonista di episodi divertenti, come quando, giocando a tennis, nell’effettuare un servizio neppure tanto violento, si fratturò il polso destro o quando a Forte dei Marmi, non appena ebbe avuto in regalo la macchina, tamponò l’unico automobilista fermo al semaforo rosso. Episodi che gli avevano dato una sorta di popolarità a scuola. Spesso alle nove in punto si sentiva bussare alla porta dell’aula in cui il professore di latino stava interrogando. Quando la porta si apriva, appariva la cameriera che, per attirare l’attenzione, puntava lo sguardo nel banco in fondo, ignorando professore e alunni, agitando nell’aria il fazzoletto fresco di bucato, ben ripegato, che Giannino aveva dimenticato a casa. Alla fine delle lezioni, la cameriera l’attendeva puntuale alle 12 e 25 fuori dal portone della scuola. Lui le consegnava libri e quaderni che lei provvedeva a portare a casa affinché il “signorino” non si affaticasse.
Quando Maura sembrava sul punto di concedersi, alla resa dei conti prendeva tempo, lasciandogli però l’illusione che il sogno si sarebbe potuto avverare. Intanto il tempo passava e Giannino, conseguita la maturità, si era iscritto all’Università a Milano e, dovendo frequentare le lezioni, era stato costretto a diradare gli incontri con l’amata. Per recuperare il tempo perduto gli venne un’idea. Le parlava della sua casa in montagna e della bellezza del paesaggio sperando di suscitare in lei il desiderio di andarla a vedere. Poiché la distanza richiedeva di star fuori almeno una notte, se Maura avesse accettato, Giannino era sicuro che avrebbe capitolato. L’ostacolo, rappresentato dai genitori di lei che non le avrebbero permesso di dormire fuori casa, venne aggirato grazie a due compagni di scuola, diretti nella stessa località, ai quali si sarebbe aggiunta per trascorrere qualche giorno delle vacanze pasquali in montagna. Non ebbe neppure bisogno di mentire con i genitori, i quali di fronte alla comitiva diedero il permesso. Maura diede appuntamento a Giannino, che partiva da Milano, al volante della sua bella macchina nuova, alla stazione di Brescia.
L’orario stabilito per l’appuntamento era trascorso già da un’ora e prese corpo il dubbio che Giannino avesse avuto qualche imprevisto. Maura con i due amici partì, come d’accordo, in treno, convinta di incontrarlo nella località montana. Ma così non fu. In autostrada l’auto di Giannino si era infilata sotto un Tir a causa di un banco di nebbia. Trasportato in ospedale venne dimesso tre giorni dopo. Quando riuscì a telefonare, Maura rispose che stava bene e che si era fidanzata con uno dei due compagni di scuola.
Sperangelo Bandera
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4 risposte
Ho letto, tutto d’un fiato, il racconto di Sperangelo. Non avevo ancora scoperto l’autore, ma sentivo a mano a mano qualcosa di familiare. Giunto alla fine, sorrisi. Una pagina di fresca scrittura, che delizia il lettore. Purtroppo, è sempre più raro quello stile. Speriamo che ci riprovi, sapendo che un suo amico ne godrà di sicuro. F.N.
Grazie Francesco, il tuo commento mi gratifica particolarmente…
Bel racconto Sperangelo. Lei GRANDE STRONZA.
Lo ha scritto Giacomo, lo avrei detto io. Quella pulzella davvero non meritava nulla.