Un amore impossibile

29 Aprile 2023

A volte nascono pulsioni amorose che resistono a lungo, a dispetto dei no della ragazza alle dichiarazioni d’amore che vengono inoltrate dall’innamorato. Verso la fine degli anni ‘50, Antonino, un giovanotto di ottima famiglia che frequentava il Liceo Classico, a Cremona, aveva preso la cotta per una studentessa del Ginnasio, Anna, non bella ma interessante, come si definisce la donna che esercita attrazione sul sesso forte senza disporre di luminosi lineamenti del viso, ma contrapponendo un corpo costellato di quelle rotondità che piacciono, con cosce tornite e perfettamente parallele.

Conoscersi, nei corridoi della scuola, era stato facile. Avvenne durante l’intervallo, quando gli studenti si accalcavano verso il gabbiotto delle brioche e la ressa rendeva l’approccio più facile. Per rompere il ghiaccio, Antonino la invitò a una festina, come veniva chiamato all’epoca quell’evento che trasformava la casa in cui si svolgeva, grazie a un giradischi, in un locale da ballo, con apertura delle danze alle quattro del pomeriggio della domenica e, sotto l’attento controllo dei genitori, chiusura alle 20, non un minuto di più. Mentre la cameriera, Piera, si dava da fare servendo cabaret ricolmi di paste e stappando bottiglie di Coca Cola, dalla stanza accanto al salone in cui si ballava, sovrapponendosi alla musica del giradischi, improvvisamente arrivarono le note di un pianoforte che accompagnava una voce che interpretava “Nun è peccato”, la canzone allora prima in classifica con l’arrangiamento di Peppino di Capri. Aveva un timbro sottile, che in alcuni passaggi ricordava quella del musicista napoletano: Antonino cantava e suonava, presentandosi con ciuffo e occhiali identici a quelli del cantante famoso. Alla fine della canzone, con le braccia appoggiate al pianoforte, era rimasta soltanto lei, Anna, mentre gli altri erano tornati a ballare, disinteressandosi dell’ugola di Antonino. I loro sguardi che s’incrociavano ripetutamente gli avevano dato l’illusione che il sì della ragazza fosse cosa fatta, ma dovette presto accorgersi che non era così. Superata la delusione, non si diede per vinto e, pur di farla capitolare, si trasformò nel suo cavalier servente.

Lo si vedeva al volante della sua Simca 1000 mentre l’accompagnava a fare la spesa non solo in città, ma anche in altre località, sempre pronto, gesto non irrilevante, a saldare il conto dal droghiere, dal macellaio o dal fruttivendolo. Sperava in questo modo di fare breccia nel suo cuore. Lei accettava di buon grado, si mostrava sempre gentile con lui e anche disponibile. In occasione di un trasporto di bottiglie d’acqua minerale e di borse della spesa nell’appartamento di lei situato al terzo piano, Anna gli aveva presentato la mamma, il che era un’implicita autorizzazione a frequentare la casa. Il gesto fu positivamente interpretato da Antonino, un tipo piuttosto originale. Non alto, ma esile e magro, un viso non certo da Adone e un carattere che lo faceva cadere dalle nuvole di fronte alle situazioni più ovvie, spesso era protagonista di episodi divertenti, come quando giocando a tennis, nell’effettuare un servizio neppure tanto violento, si fratturò il polso destro o quando, a Forte dei Marmi, non appena ebbe avuto in regalo la Simca, tamponò l’unico automobilista fermo al semaforo. Episodi che l’avevano circondato da un alone di simpatia. Spesso, alle 9 in punto, si sentiva bussare alla porta dell’aula in cui il professore stava interrogando e, quando l’uscio si apriva, appariva la Piera che, per attirare l’attenzione, puntava lo sguardo sul banco di Antonino, ignorando professore e alunni. Agitava nell’aria il fazzoletto fresco di bucato, ben ripiegato, che era stato dimenticato a casa. Alla fine delle lezioni del mattino, la cameriera si presentava puntuale fuori dal portone della scuola. Lui le consegnava libri e quaderni, che provvedeva a portare a casa perché il “signorino” non si affaticasse.

Quando Anna sembrava sul punto di concedersi, alla resa dei conti prendeva tempo, lasciandogli però l’illusione che il sogno avrebbe potuto avverarsi. Intanto il tempo passava e Antonino, conseguita la maturità, si era iscritto al Politecnico di Milano e, dovendo frequentare le lezioni, era stato costretto a diradare gli incontri con Anna. Per recuperare il tempo perduto, incominciò a parlarle della sua casa in montagna e della bellezza del paesaggio sperando di suscitare in lei la curiosità di andarla a vedere. La distanza da Cremona richiedeva di stare fuori una notte. Se avesse accettato, avrebbe ceduto, pensava. L’ostacolo, rappresentato dai genitori che non la lasciavano dormire sola fuori casa, venne aggirato grazie a due compagni di scuola, diretti nella stessa località, che avrebbe raggiunto per trascorrere qualche giorno delle vacanze pasquali in montagna. Non ebbe neppure bisogno di mentire con i genitori e si accordò con Antonino, che partiva da Milano, per incontrarsi alla stazione di Brescia.

L’orario stabilito era passato da oltre un’ora e prese corpo il dubbio che Antonino avesse avuto qualche impegno imprevisto. Anna con i due amici partì in treno, convinta di incontrarlo più tardi. Ma così non fu. In autostrada l’auto di Antonino si era infilata sotto un Tir a causa di un banco di nebbia. Trasportato in ospedale venne dimesso tre giorni dopo. Quando riuscì a telefonare, Anna gli disse che il panorama era bellissimo e aggiunse che si era fidanzata con uno dei due compagni di scuola.

 

Sperangelo Bandera

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