Negli anni Settanta, le fasi iniziali del rapporto amoroso molto spesso nascevano all’interno di un’automobile. Mario, rampollo di una famiglia dell’alta borghesia, era attirato dalle ragazze in maniera direttamente proporzionale ai no che raccoglieva durante il corteggiamento. La ragione dei continui rifiuti consisteva nel fatto che, non appena riusciva a conoscere una ragazza, si metteva al suo completo servizio, convinto così di essere apprezzato e di preparare il terreno per l’agognato sì. Non c’era favore che gli venisse chiesto che non eseguisse con prontezza e, quando nessuna domanda gli veniva rivolta, era lui stesso a suggerire, a mostrarsi pronto e a esaudire ogni desiderio.
La strategia di un tal prodigarsi, tuttavia, non dava frutti. La signorina di turno, avendolo a completa disposizione, non aveva bisogno di concedergli l’intimità, tutta o in parte, per ottenere servigi.
Un sabato sera, in una discoteca di Milano, conobbe una studentessa che frequentava come lui il secondo anno della Bocconi, con la quale avviò subito, sospinto dal desiderio inappagato, un fitto dialogo che divenne presto un monologo che la ragazza gli propinava, fatto di confidenze sentimentali e di descrizioni di se stessa. Lei parlava, parlava dei suoi problemi di studentessa, della famiglia che era partita per una vacanza e del fidanzato che aveva lasciato e lui ascoltava, ascoltava, in silenzio, annuendo col capo per confermare di condividere, come si faceva a scuola quando il professore spiegando la lezione ti rivolgeva lo sguardo. Era pronto a tutto pur di suscitare in lei quella sorta d’interesse che poteva poi sfociare nel rapporto carnale agognato e bramato. La situazione volgeva a suo favore, in quanto verso le cinque del mattino lei gli disse che era senza macchina e gli chiese se avesse potuto darle un passaggio fino a casa. “Con piacere”, rispose prontamente con la certezza, una volta giunti al portone, di essere invitato a salire, dato che la casa era libera essendo i suoi genitori in vacanza. Una volta a bordo della Golf color amaranto,”dove abiti?” le chiese e lei, con la massima naturalezza “a Bologna” rispose. Alle sei del mattino, dopo una nottata in discoteca, partire per Bologna?
Il dubbio, al pensiero di ciò che come ringraziamento la ragazza gli avrebbe elargito, durò una frazione di secondo. Alle prime luci dell’alba, ebbe inizio il viaggio della speranza: i 200 chilometri di sola andata risultavano una bazzecola rispetto al risarcimento che avrebbe ottenuto. Dal centro di Milano dopo pochi minuti, per lo scarso traffico di quell’ora domenicale, la Golf imboccava il casello di Melegnano sull’Autosole, con a bordo la ragazza, una brunetta con occhi scuri e labbra ben disegnate, che mostrava, seduta, gran parte delle cosce sfuggite alla minigonna che indossava. Mario era sicuro che la postura della ragazza fosse una dichiarazione di intenti su quanto sarebbe poi accaduto, varcata la soglia di casa. I chilometri si susseguivano quando un sonno ristoratore interruppe l’interminabile monologo della ragazza, mentre lui vedeva profilarsi sempre più nitidamente con il passare dei chilometri l’antico rito che inseguiva da anni. L’ultimo tratto, dal casello di Bologna alla città, sembrava non finire mai e finalmente verso le otto arrivarono a destinazione. Lei aprì la portiera e nel movimento delle gambe che impone la discesa mostrò gli ultimi centimetri scoperti della coscia sinistra. Poi si abbassò e disse: “Grazie, sei molto gentile. E buon viaggio!”. E scomparve mentre il portone di casa si stava lentamente richiudendo.
Sperangelo Bandera
3 risposte
Avrà avuto ragione Ferrarini con la sua canzone ” Teorema”?
Spero che non si tratti di un ricordo autobiografico…!
Chiediamo all’autore….