Sono molto felice per i risultati del vertice sul clima organizzato, in occasione della Giornata della Terra, dal presidente degli Stati Uniti Biden. Mi resta, tuttavia, qualche perplessità che esprimerò in seguito.
Quaranta capi di governo delle maggiori nazioni del mondo sembrano prendere, finalmente, impegni più concreti e tempestivi a fronte del gravissimo problema globale dei cambiamenti climatici. Finora, purtroppo, quelli presi in precedenza, e mi riferisco, in particolare, all’accordo seguito alla COP (Conferenza delle Parti) 21 di Parigi del 2015, che tanto clamore mediatico e tante speranze aveva acceso, non solo sono stati disattesi, ma addirittura si è peggiorata la situazione.
Passando, solo per un attimo, dai massimi sistemi alla minuscola realtà locale, vorrei esprimere una punta di compiacimento per l’attività che un piccolo gruppo di amici (prima raccolti nell’associazione Ambientescienze e poi, dopo la cessazione di questa, in ABC-la rete, che ne ha raccolto l’eredità) ha svolto con grande passione presso alcune scuole medie inferiori e superiori per cercare di diffondere la conoscenza della natura, dei rischi e dell’urgenza di contrastare il riscaldamento globale.
È chiaro che sei anni di interventi nelle scuole, pur assai impegnativi sul piano personale, non tanto per la presenza in aula, quanto per le ricerche, la documentazione, la necessaria preparazione a monte, l’elaborazione dei sussidi audiovisivi (questa tutta caricata sulle spalle dell’amico Fiori) e, ultimamente, per l’organizzazione dei ‘Lunedì Virgiliani’, non sono stati che una goccia infinitesima rispetto all’oceano di iniziative svolte, in materia, in tutto il mondo.
Ricordo che, all’inizio, quasi tutti i docenti e la maggior parte dei ragazzi era molto interessata alle notizie che davamo, alla spiegazione di concetti non ancora ben conosciuti e ai filmati che proponevamo. Ma ricordo anche che una insegnante (di scienze!) ci fece garbatamente capire che stavamo dicendo assolute sciocchezze! Chissà se oggi si è ricreduta.
Ritornando al discorso iniziale, accanto alla contentezza per il cambio di ottica per cui la transizione alla sostenibilità non è più portatrice, o solo portatrice, di sacrifici ma anche di opportunità di nuovo sviluppo e benessere (e questa e la cosa più importante) permangono alcune perplessità.
La principale è quella del tempo a disposizione per portare a termine questa transizione. L’opinione prevalente della scienza è che debba essere completata nel 2030 o, al massimo, nel 2050, cioè praticamente domani se consideriamo che dovrà essere stravolto tutto il sistema produttivo del pianeta e, poiché viviamo in una società basata sul lavoro, con esso anche il sistema sociale.
Si tratta di gran lunga della maggiore sfida che l’uomo dovrà affrontare dalla sua comparsa sul pianeta.
Al momento attuale l’impegno assunto dagli Stati Uniti (secondo Paese per emissioni climalteranti dopo la Cina) è quello di tagliare entro il decennio le emissioni, rispetto a quelle del 2005, del 50%. Si tratta di un impegno enorme, molto più grande di quello assunto, e non onorato, nello storico accordo della citata COP 21 del 2015. Sarà rispettato? E se anche lo fosse, sarà sufficiente?
Finora, anno dopo anno, le emissioni, invece di diminuire, sono aumentate.
Altri Paesi sono molto lontani dall’assumersi impegni come quelli degli Stati Uniti. L’Europa, che pure sembra impegnarsi più di ogni altro, contribuisce al riscaldamento globale solo per il 9% per cui non vi sono grandi margini di riduzione delle emissioni.
Ed ecco le perplessità.
La Cina, negli ultimi tempi, inaugura una centrale a carbone OGNI SETTIMANA, esporta centrali a carbone e, per bocca del presidente Xi, proprio in questo vertice, dichiara che la Cina ‘raggiungerà il picco dell’emissione nel 2030 e da quel momento inizierà il declino’ e che raggiungerà la neutralità carbonica solo nel 2060.
Domenico Ferrari