‘Uniti per un lavoro sicuro’. ”E’ un grido d’allarme”

1 Maggio 2025

Oggi, 1° maggio, celebriamo la Festa dei Lavoratori in un momento storico in cui il lavoro – nella sua dimensione economica, sociale, culturale e persino etica – sempre centrale nella vita delle persone, torna ad interrogare con forza la coscienza civile e la responsabilità della politica. Forse in modo tuttavia ancora inadeguato, o peggio ancora talvolta meramente rituale, rispetto a quanto la realtà imporrebbe. Da ogni prospettiva in cui osserviamo il mondo del lavoro in Italia, oggi, troviamo motivo di grave preoccupazione e insoddisfazione. Non è, questa, retorica del 1° maggio a buon mercato. E’ la drammatica realtà del Paese. Salari, qualità, salute e sicurezza sul lavoro. Laddove non assistiamo (ed è proprio il caso di utilizzare questo verbo di natura passiva, a fronte di un atteggiamento generale di rassegnazione che prevale su ogni volontà di azione e di riscatto) ad un deciso arretramento, certamente non possiamo festeggiare, nella Festa dei Lavoratori, il raggiungimento di traguardi brillanti.

Se “il Lavoro è vita”, perché sviluppa, perché sostiene, perché definisce la persona tanto nella sua dimensione sociale di benessere ed accesso alle opportunità, tanto in quella personale di realizzazione e soddisfazione, la vita nell’Italia contemporanea è sempre più lontana da ciò che possiamo ritenere desiderabile. E affermarlo non è certo una forma di irriconoscenza nei confronti della nazione, ma è un disperato grido di dolore che discende proprio dall’amore che proviamo per il nostro Paese, che tanti giovani non considerano più l’orizzonte naturale della propria esistenza. Per ogni straniero under 34 che sceglie l’Italia come destinazione del proprio futuro, nove italiani vanno all’estero. Se solo nell’ultimo anno 191.000 concittadini hanno lasciato l’Italia – il numero più elevato degli ultimi 25 anni – parlando di laureati, ovvero di persone su cui il nostro Paese ha investito fino al massimo livello di istruzione, in dieci anni il saldo negativo è di 87.000 unità. Investiamo per formare il nostro futuro per poi regalarlo agli altri. Necessitiamo di lavoratori specializzati che, al contrario, non sappiamo attrarre dagli altri Paesi in un mercato del lavoro globalizzato e integrato, dovendo così investire nuovamente, doppiamente, per formare competenze tra i migranti che, invece, troppo spesso ingrassano le fila del lavoro vergognosamente sfruttato. Nei campi, nei cantieri, ai confini della più autentica schiavitù.
Un paradigma di sviluppo perverso, che galoppa verso la retrocessione italiana nei campionati minori della competizione globale.

Un Paese industrializzato, un membro del G7, che è maglia nera tra i Paesi Ocse per quanto riguarda gli stipendi rapportati al potere d’acquisto. Con salari netti inferiori alla media Ocse e più bassi di quelli della maggior parte dei Paesi industrializzati, ovvero salari reali che si sono ridotti dell’8,1% dal 2000 al 2023, mentre nel resto d’Europa sono cresciuti in media del 5,3%. Con un’occupazione in aumento del +2,1%, sì, ma con una povertà che sta analogamente incrementando, in quanto la precarietà e i bassi salari risultano essere inadeguati rispetto all’aumento dell’inflazione, al costo degli affitti e in generale a quelli per l’accesso alla casa, il bene più importante nell’esistenza di ogni persona.

Lo chiamano “lavoro povero” ed è, oggi, la più grande vergogna dei Paesi sviluppati, insieme ai dati sulla salute e sicurezza sul lavoro che, a dispetto di un’accresciuta attenzione da parte delle istituzioni e delle organizzazioni sindacali e datoriali, confermano come la ferita sia ancora emorragica.

L’edizione 2025 di questa Festa è proprio dedicata al “Lavoro sicuro” ed è bene, quindi soffermarci con attenzione su questo concetto. “Uniti per un lavoro sicuro” non è uno slogan tra i tanti: rappresenta un grido di allarme e, allo stesso tempo, una chiamata all’azione, corale, che interpella ciascuno nello svolgimento del proprio ruolo, nell’adempimento del proprio dovere, quale esso sia, in una logica responsabilizzante per chiunque possa esercitare poteri decisionali in materia.

Parlare di sicurezza sul lavoro non è una questione tecnica, ma profondamente politica. Significa affrontare con coraggio i nodi strutturali del nostro sistema produttivo, le distorsioni che si annidano nella precarietà, nella catena degli appalti, nel ricatto occupazionale, nella mancanza di formazione. Significa ribadire con forza che la vita e la salute di chi lavora vengono prima di tutto.

I numeri sono impietosi. Diminuiscono gli incidenti, ma aumenta il numero dei morti. Nel primo bimestre del 2025 si è registrato un +16% rispetto al 2024. In Lombardia, nel solo 2024, 44 morti sul lavoro nell’area metropolitana milanese, 36.464 denunce di infortunio, 670 malattie professionali. Dietro questi numeri ci sono volti, famiglie, drammi che troppo spesso restano inascoltati, meritevoli al più di una notizia velocemente dimenticata tra le tante che affollano le cronache e le nostre menti ormai assuefatte al dolore altrui, dimenticando peraltro che spesso, improvvisamente, da un giorno con l’altro, può diventare un dolore vissuto in prima persona.

La nostra provincia, Cremona, detiene purtroppo uno dei tassi più elevati di incidenza di vittime sul lavoro a livello nazionale. È un dato che ci interpella direttamente, che impone una presa di posizione netta, un cambio di passo ad ogni livello istituzionale.

Due giorni fa, qui a Crema, abbiamo ospitato la seconda edizione del Festival della Sicurezza. Una momento alto nella vita pubblica della nostra comunità, denso di contenuti, intenso, che ha offerto spunti, testimonianze e strumenti. Ma quella stessa giornata si è aperta con una nuova vittima sul lavoro: un operaio gruista di 35 anni, caduto in un cantiere a Soresina. Un’altra morte che probabilmente si poteva evitare. Che si doveva evitare.

Non possiamo più accettare un approccio ciclico ed emotivo o peggio distrattamente pietistico alla sicurezza sul lavoro. Non possiamo limitarci a commuoverci ogni volta che accade una tragedia per poi dimenticare. Servono politiche pubbliche strutturali, serve un’agenda chiara e trasversale che metta al centro la prevenzione, la formazione, la cultura del rispetto della persona, la centralità del benessere dei lavoratori.

Ridurre le morti sul lavoro è un obiettivo sfidante, ma possibile se affrontato con visione politica e responsabilità condivisa. Serve un’alleanza ampia, composta da istituzioni, parti sociali, imprese, scuola, sanità, mondo dell’informazione. Ognuno deve fare la propria parte. E non si può pensare di cambiare senza coinvolgere i giovani, nell’ambito di un più ampio patto intergenerazionale sul Lavoro.

Noi amministratori locali abbiamo il dovere di trasformare questi spunti in azione concreta: promuovere percorsi di sensibilizzazione nelle scuole, sostenere le organizzazioni sindacali e le imprese che investono nella sicurezza, rafforzare le collaborazioni con ATS, con i centri per l’impiego, con i servizi di medicina del lavoro. E abbiamo il dovere, soprattutto, di fare pressione perché questi temi acquisiscano centralità nell’agenda dei legislatori nazionale e regionale. Le parole espresse dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella in queste ore ci indicano con chiarezza che la sicurezza sul lavoro è una priorità democratica.

E allora oggi, in questa giornata simbolica, dobbiamo scegliere con nettezza da che parte stare, rinnovando la nostra vicinanza, anzi immedesimazione, in chi ogni giorno si alza all’alba, prende un treno o sale su un furgone, indossa un casco o una divisa, lavora in un’officina, in un cantiere, in una scuola, in un laboratorio, in un ufficio, in un esercizio commerciale, in ogni luogo dove si fatica, si produce, si innova. Si lavora.  Stare dalla parte del lavoro, dalla parte di queste persone, significa oggi, prima di tutto, garantire che il lavoro non uccida. Ma senza dimenticare che ciò non è affatto bastevole per la dignità del lavoro, né per fare in modo che l’Italia continui ad essere un luogo felice in cui costruire un percorso di vita.

Concludo quindi rivolgendomi soprattutto ai più giovani, quelli spesso molto citati nelle statistiche sul lavoro, ma molto meno interessati da politiche conseguenti: siete voi la generazione che può cambiare le cose. Che può affermare una più compiuta e consapevole cultura del lavoro, anche in tema di salute e sicurezza. La generazione che può rompere il silenzio, che può alzare la voce. Spero possiate avere sempre al vostro fianco esempi credibili, istituzioni vicine, una politica che si faccia carico dei vostri bisogni e della vostra fiducia.

Buon Primo Maggio, buona Festa dei Lavoratori!

 

Fabio Bergamaschi

sindaco di Crema

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