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”Aria di Cremona pestilenziale, imputata l’agricoltura”

24 Gennaio 2024

La qualità dell’aria a Cremona e in provincia è pessima, la peggiore in Lombardia e al 372esimo posto tra le 375 città prese in esame a livello europeo. L’agricoltura, settore economico che produce la maggiore quantità di ammoniaca, è il principale imputato in base a quanto stabilisce il rapporto eleborato dall’Università degli studi di Milano e commissionato dalla Regione Lombardia dal titolo Politiche per contrastare l’inquinamento atmosferico da fonte agricola.

”Oggi è stato pubblicato il risultato della Missione valutativa che io personalmente, da presidente del comitato paritetico di controllo e valutazione della scorsa legislatura avevo fatto finanziare per il biennio 2023-2024. E’ una soddisfazione personale postuma ma importantissima, credo per tutti.  I risultati sono una bomba, di quelle pesanti. Lo studio  è stato condotto dall’Università degli studi di Milano”. Lo dichiara Marco Degli Angeli, consigliere regionale del Movimento 5 stelle nella passata legislatura, che lo scorso anno non è si è ricandidato. Lo studio è stato promosso anche dalla commissione consiliare Ambiente e protezione civile della Regione Lombardia.  Viene valutato l’impatto dell’inquinamento atmosferico da fonte agricola e prende in esame, come recita il titolo, le politiche necessarie per contrastare l’inquinamento atomosferico da fonte agricola.

”Una sfida planetaria: come conciliare la produzione di cibo e la qualità dell’ambiente. – si legge in premessa. – Oggi, la sostenibilità ambientale del ciclo agroalimentare è un problema di straordinaria complessità. A livello globale, tutte le fasi – produzione, distribuzione, consumo, smaltimento dei rifiuti – hanno un pesante impatto negativo sull’ambiente e contribuiscono per circa un quarto al surriscaldamento dell’atmosfera. D’altra parte, l’aumento della popolazione umana richiede la disponibilità di quantità crescenti di prodotti alimentari. La ricerca è focalizzata su un unico elemento, l’aria, e sulla valutazione di quel che è stato fatto per migliorarla sulla base di tre criteri: l’impatto ambientale, le ricadute sull’economia e gli effetti sulle condizioni di vita dei cittadini”,

Di seguito gli stralci più significativi dello studio, consultabile cliccando sul link pubblicato in calce a questo articolo.

La Lombardia è la prima regione italiana nell’agro-alimentare: produce il 17% dei cereali italiani, il 40% del latte bovino e ha il 40% delle risaie. Ed è la regione con la più elevata capacità di sfruttare ogni ettaro di superficie agricola utilizzata (SUA), ricavandone un valore economico quasi doppio della media italiana. Il suo primato proviene per quasi due terzi dalla produzione di carne e latte. Infatti in Lombardia si allevano circa 1.500.000 bovini, il 25% della produzione nazionale. Per quanto riguarda i suini, il dato sale a circa 4.500.000 capi, oltre il 50% del totale nazionale. Questi primati sono il punto di partenza fondamentale, perché costituiscono un grande valore, non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello ambientale e sociale. Ma, come abbiamo documentato nel corso di questa analisi, sono anche il segno di un forte squilibrio nel rapporto tra territorio e produzioni agro-zootecniche”.

Tre tipi di impatto delle emissioni da fonte agricola

Il nostro percorso parte da una fondamentale distinzione: le impurità sospese nell’aria possono avere due diverse conseguenze negative. La prima riguarda i gas serra e i cambiamenti climatici. La seconda è per certi versi più drammatica, perché riguarda l’impatto diretto sulla salute di tutti noi.

Purtroppo, rispetto a entrambe queste drammatiche conseguenze, le emissioni da fonte agricola hanno un ruolo rilevante.

Questo NON significa affermare che l’agricoltura è la prima causa dell’inquinamento dell’aria, ma significa sottolineare che, senza una consistente riduzione delle emissioni che provengono dai campi e dalle stalle, gli sforzi compiuti in altri settori, quali i trasporti o l’industria, NON possono dare risultati decisivi.

L’impatto sul clima e sull’ambiente

Il cambiamento climatico è una realtà ampiamente documentata anche nella nostra regione. Secondo Arpa Lombardia, nel 2022 anche a Milano la temperatura media è stata la più alta di sempre. L’agricoltura è anche il settore produttivo più esposto alle conseguenze del cambiamento climatico, per i periodi di siccità, gli eventi estremi, il restringimento delle risorse idriche. E l’aumento delle temperature ha un sensibile impatto anche sulla vita degli animali, in termini di riduzione della loro produttività, del loro valore economico, ma anche del loro benessere.
Nel corso di trent’anni si è registrata una lenta riduzione delle emissioni da fonte agricola. Ma questo rallentamento in Lombardia è stato molto inferiore rispetto al dato nazionale: solo – 6,2% rispetto al -17,3% italiano.

L’impatto sulla salute

Il particolato atmosferico (PM2,5, PM10, o genericamente PM) ricorre come fattore di
rischio per quasi tutte le patologie legate all’inquinamento dell’aria. Nello studioi sono riportati i livelli di inquinamento dei territori nella stima del numero di morti premature ogni 100.000 abitanti provocate dall’esposizione al PM2,5 (dati 2019: abbiamo riportato solo i dati oltre i
100 morti all’anno). La cartina riportata nello studio conferma la ‘maglia nera’ di Cremona. Il poco invidiabile primato non è solo lombardo, ma anche europeo. Infatti Cremona, con una media annua di PM2,5 di 25,1 μg/m, si è piazzata al 372° posto su una classifica di 375 città europee nell’ultima rilevazione dell’Agenzia Europea dell’Ambiente sulla qualità dell’aria.

Ma che cosa c’entra l’agricoltura in tutto questo? Il ruolo dell’agricoltura nella formazione del particolato passa attraverso le emissioni di ammoniaca (NH3), in Lombardia prodotte per il 97% da fonte agricola.

In Lombardia, la stragrande maggioranza di queste emissioni è dovuta agli allevamenti, soprattutto di bovini, mentre il 13% proviene dall’uso dei fertilizzanti sintetici. L’immagine riportata nello studio descrive la distribuzione degli allevamenti intensivi sul territorio lombardo, con il conseguente carico di ammoniaca.

Trovare ogni anno una collocazione a oltre 25 milioni di metri cubi di escrementi animali non è un
problema da poco. Rispetto alla riduzione del particolato, negli ultimi anni sono stati compiuti notevoli passi avanti. Ma ancora oggi nei comuni Capoluogo di pianura, Milano compresa, permangono zone che non rientrano nei limiti previsti dalla normativa europea, che pure la ricerca scientifica considera troppo tolleranti rispetto ai rischi per la salute.

Il problema è che i derivati dell’ammoniaca, attraverso complicati processi chimici e fisici, riescono in qualche modo a ‘compensare’ le diminuzioni di altri inquinanti, come hanno dimostrato i dati sullo stato dell’aria durante il lockdown per il covid del 2020, quando l’inquinamento dovuto al traffico è stato azzerato, ma la qualità dell’aria non è migliorata secondo le attese, per la continuità dell’inquinamento da fonte agricola, proveniente soprattutto dalle aree con una forte concentrazione di allevamenti intensivi.

Il problema nel problema: le particolari caratteristiche della Pianura Padana

L’inquinamento dell’aria nella valle del Po è un problema molto complesso, dovuto alla sovrapposizione di almeno quattro fattori: le caratteristiche fisiche e climatiche del territorio, la densità della popolazione, la rete stradale con il traffico più elevato d’Italia, la concentrazione delle attività produttive, nei settori agricolo e industriale. Ed è dalla Pianura Padana che vengono i dati che sono costati all’Italia procedure di infrazione e condanne da parte degli organi di sorveglianza europei per il mancato rispetto delle soglie in vigore. Ma soprattutto è in quest’area del paese che un quarto della popolazione italiana respira un’aria spesso inquinata.

Le politiche adottate

Se il problema dell’impatto negativo degli allevamenti intensivi sulla qualità dell’aria è abbastanza chiaro, le soluzioni messe in campo hanno contorni molto più indefiniti. Al centro sta la necessità di coordinare le politiche per l’aria e quelle per l’agricoltura. E’ una convergenza obbligata, ma le impostazioni sono opposte. Infatti ognuna di queste due aree dell’intervento pubblico fa riferimento a storie, filiere istituzionali, competenze scientifiche, reti di interessi, culture e criteri di valutazione non solo diversi, ma per molti aspetti opposti. La storia dell’agricoltura si intreccia con la storia delle tradizionali istituzioni politiche, con cui ha una comune radice: il controllo del suolo, i diritti di proprietà delimitati da chiari confini, l’indipendenza alimentare dei territori.
Quando invece in gioco ci sono obiettivi che riguardano l’ambiente, e più precisamente l’aria, cioè la parte più evanescente e mobile dell’ecosfera, il loro impatto sociale ed economico travalica i confini politici e amministrativi.

Le politiche dell’Unione Europea

Per quanto riguarda le procedure di infrazione per il mancato rispetto delle norme sulla qualità dell’aria, ricordiamo le due condanne della Corte di Giustizia Europea per il superamento dei limiti del PM10 (del 10 novembre 2020) e di quelli del biossido di azoto (NO2) (12 maggio 2022). In entrambe le condanne, tra le regioni inadempienti figura la Lombardia. Dal 2020 è in corso una procedura di infrazione per i livelli elevatidi PM2,5. Poche settimane prima dell’inizio della pandemia di covid, la Commissione Europea, con la Comunicazione dell’11 dicembre 2019 intitolata “Il Green Deal europeo”, ha presentato un ambizioso piano per raggiungere
l’impatto zero sul clima entro il 2050, con una tappa intermedia molto importante e abbastanza vicina: entro il 2030, il taglio delle emissioni di gas serra di almeno il 55% rispetto al 1990. Per raggiungere questo obiettivo, è in corso la revisione delle norme esistenti per aumentare la loro efficacia. Inoltre, la Commissione ha avviato proposte per
• tetti più severi alle emissioni (v. proposta di Direttiva sulla qualità dell’aria dell’ottobre 2022)
• l’estensione delle autorizzazioni ambientali degli allevamenti intensivi anche a specie (i bovini) che fino ad ora ne sono stati esclusi (v. proposta di revisione della Direttiva sulle Emissioni Industriali – IED)
• il ripristino dello stato naturale di una parte del suolo, per compensare almeno in parte gli squilibri generati dal suo sfruttamento intensivo.

 Le politiche nazionali

In Italia, le iniziative dei governi nel campo della qualità dell’aria sono in larga misura attivate da
innovazioni legislative o da procedure di infrazione che provengono da Bruxelles. Occorre comunque segnalare che, in allegato al Programma nazionale di controllo dell’inquinamento atmosferico (PNCIA, 2021) è stato approvato il cosiddetto ‘Codice Agricoltura’, cioè il Codice nazionale indicativo di buone pratiche agricole per il controllo delle emissioni di ammoniaca, un documento importante anche ai fini dell’attuazione dei Piano regionale per la Politica Agricola Comune. Inoltre, tra le misure comprese nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, figura l’obiettivo di produrre almeno 2,3 miliardi di metri cubi di biometano entro giugno 2026 grazie a nuovi impianti e alla riconversione e all’efficientamento di quelli esistenti. La materia prima utilizzata nella maggioranza di questi impianti è costituita dal letame. Anche per questo, “il settore biogas/biometano risulta particolarmente strategico sul territorio lombardo, per la rilevanza degli impianti installati (che corrispondono al 35% della produzione elettrica nazionale dal biogas), sia nel settore agricolo che nel settore della digestione anaerobica dei rifiuti” (Regione Lombardia, Preac 2022).

Il livello inter-regionale: gli accordi del Bacino del Po

Un ruolo importante hanno avuto gli accordi intercorsi tra i ministeri centrali e le quattro regioni padane Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia, i cui livelli di inquinamento dell’aria sono all’origine di alcune condanne dell’Unione Europea. Grazie a questa convergenza, le regioni sono riuscite a coordinare e rafforzare le loro politiche ambientali, anche con il pagamento di incentivi finanziati dal governo nazionale e destinati ai contadini che adottano tecniche che riducono le emissioni.

Il livello regionale

La Regione Lombardia, come le altre Regioni, adempie alle sue responsabilità in tema di qualità dell’aria con una serie di interventi riconducibili a cinque diverse categorie:
– la misurazione e la certificazione dei livelli delle sostanze inquinanti
– la redazione di piani e programmi, con le conseguenti attività di aggiornamento periodico, per collocare le diverse azioni regionali in una prospettiva temporale più ampia
– l’erogazione di incentivi e altri benefici, attraverso interventi di tipo distributivo, in genere assegnati con bandi: la loro funzione è rendere attraenti e convenienti scelte istituzionali, aziendali e individuali che altrimenti sarebbero penalizzate dai mercati o da altre regole pubbliche
– la gestione delle autorizzazioni per impianti e opere con un significativo impatto ambientale, che
richiedono un’Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.).

Nella zootecnia, le AIA attualmente sono richieste per gli allevamenti intensivi che ricadono in una di queste condizioni:

• più di 40.000 posti pollame;
• più di 2.000 posti suini da produzione (di oltre 30 kg);
• più di 750 posti scrofe.

Il Piano Regionale degli Interventi per la qualità dell’Aria (PRIA) del 2018 colloca la riduzione delle emissioni di ammoniaca dall’agricoltura tra le tre misure fondamentali per migliorare la qualità dell’aria, accanto alla riduzione delle emissioni dai veicoli diesel e dalle combustioni legnose (stufe, camini, residui agricoli..).

Una delle prime e più importanti politiche per ridurre l’impatto negativo dell’agricoltura intensiva
sull’ambiente è l’applicazione regionale della ‘direttiva nitrati’, che tuttavia in origine non riguardava l’aria e il suolo, bensì l’acqua. Questa politica è interessante anche perché dà un’idea dei delicati equilibri che sono in gioco quando si alterano i ritmi naturali. Infatti la mancanza di nutrimenti organici abbassa la fertilità dei terreni, ma la loro abbondanza danneggia l’acqua, l’aria e lo stesso suolo. Così, dal 2006, le Regioni devono regolare le attività di spandimento degli effluenti degli allevamenti nelle zone con un elevato carico di bestiame, per evitare il passaggio dei nitrati nelle acque di superficie e in quelle sotterranee, a cui attingono anche gli acquedotti. Come è facile immaginare, anche questi rischi colpiscono le zone della bassa pianura. Zone Vulnerabili ai Nitrati (ZVN) di origine agricola. Ma ben presto ci si è accorti che le norme sulla qualità delle acque incrociano anche il problema della qualità dell’aria, perché le principali perdite di azoto dal letame e dai fertilizzanti sintetici non riguardano solo il passaggio dei nitrati verso i corsi d’acqua, ma anche le emissioni di ammoniaca nell’atmosfera.

Lo studio dedica poi ampio spazio all’analisi delle politiche sinora attuate a livello comunitario e nazionale e regionale per un’agricoltura sostenibile, le strategie seguite e le soluzioni sperimentate, l’agricoltura di precisione, il sequestro del carbonio nei suoli agricoli, le tecniche innovative per gli allevamenti, le potenzialità e i limiti delle soluzioni adottate, e delinea il futuro.

La situazione della qualità dell’aria in Lombardia nel breve periodo riduce il rischio di costi
per le casse dello Stato per eventuali sanzioni da parte dell’Unione Europea. Ma non mette al riparo i polmoni dei cittadini dai provati effetti deleteri degli inquinanti per la salute.
Più in generale, come le ricerche sulla pandemia di covid-19 hanno dimostrato, le emissioni da fonte agricola mantengono due caratteristiche:
• sono sostanzialmente stabili, se non in crescita
• la loro riduzione è indispensabile per migliorare effettivamente la qualità dell’aria non solo nelle
campagne, ma anche nelle grandi città.

 

Qui sotto il link del documento completo elaborato dall’Università degli studi di Milano

ContrastareInquinamentoFonteAgricola_ExecutiveSummary

 

 

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