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Vigili del Fuoco di Cremona, eroi di casa nostra: 230 anni in un libro

10 Ottobre 2023

GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI

“Il più emozionante spettacolo che nei suoi 38 anni di vita il teatro Ricci abbia offerto ai cremonesi”: con questo stupefacente cinismo un osservatore descriveva il disastroso rogo che nel dicembre del 1896 distrusse il teatro Ricci a pochi decenni dall’inaugurazione. Erano eventi frequenti nella Cremona dell’Ottocento e del primo Novecento che vide andare in fumo fabbriche, luoghi d’intrattenimento, botteghe, cascine, abitazioni private… Nel 1880 uno spaventoso incendio ridusse in fiamme il nuovo Palazzo dell’Esposizione artistica e industriale di cui Cremona andava orgogliosa come “opera d’arte magnificamente riuscita”. L’incendio del 1921 al mulino Rapuzzi che riforniva, oltre Cremona, anche Brescia, Milano, Como e Bergamo lasciò sul lastrico gli operai per un anno, produsse quattro milioni di danni, distruzione di macchinari e fabbricato e perdita di settecento quintali di farina. Nel ’25 un corto circuito radeva al suolo il pastificio Sartori.  Bilanci di distruzione e morte che sarebbero certamente stati ben più pesanti senza il prezioso, spesso eroico, intervento del corpo dei Vigili del Fuoco. La loro storia, fino ieri affidata a frammentarie memorie, è ora felicemente ricostruita con ampio corredo fotografico e documentario  nell’avvincente volume I Vigili del Fuoco e la città di Cremona, nato dall’unione di intenti fra la passione storica e l’orgoglio identitario dell’ingegner Antonio Pugliano, attuale comandante del Corpo dei Vigili del Fuoco di Cremona e la consumata perizia dell’autrice, professoressa Liliana Ruggeri, ricercatrice di memoria locale e autentica sommozzatrice di Archivi.

Il volume, da poco edito col patrocinio e la collaborazione del Comune e dell’associazione Culturale ‘Il Peverone’ nonché della Provincia di Cremona, ripercorre 230 anni di storia: dalle origini comunali e settecentesche dei pompieri fino ai giorni nostri, dalla prima e poco funzionale caserma in via Cavallotti (in quel che restava dopo la soppressione dell’antica chiesa di San Nicolò) all’attuale e attrezzatissimo quartier generale di via Nazario Sauro,  funzionalmente concepito in quella logica di ‘difesa e protezione civile’ cui la seconda guerra mondiale aveva dato spinta decisiva costringendo il Corpo a fronteggiare bombardamenti e disastri di dimensioni storicamente inedite. Leggere questa lunga storia è, nel mio caso, piacere non privo di suggestioni sentimentali e familiari risvegliate dalla solidarietà storica e umana che l’autrice ha fin dalle prime righe riservato alla figura del mio bisnonno materno. Era quel Pietro Penna che nel lontano 1890 fu chiamato da Milano nella nostra città per occuparsi della formazione teorica e pratica dei Vigili del Fuoco di cui ebbe il comando fino al 1921. Istruttore nato per testa e anima, ogni domenica per 30 anni si dedicò alla formazione di pompieri ausiliari e avventizi, avendo già in mente quel modello di corpo modernamente addestrato che presentiva, pur nei limiti del contesto ottocentesco, una concezione di difesa e protezione civile ancora di là da venire.  Essere pionieri non è mai pagante e non procurò rose e fiori nemmeno a Pietro Penna, ogni giorno costretto a  fare i conti con le risicate risorse finanziarie e le logiche spesso rigidamente anacronistiche di amministrazioni cittadine che gli negarono l’autonomia a suo dire necessaria  per disporre al meglio del personale e ottimizzarne i risultati. Per non dire delle difficoltà dovute alla qualità del ‘materiale umano’ che gli toccava addestrare e plasmare: uomini spesso refrattari sia per l’insufficiente formazione scolastica che raramente superava la terza elementare, sia perché, di precarie condizioni economiche, tentavano l’arruolamento nel Corpo più che altro come via d’uscita da fame e miseria. Pompieri per caso, dunque, più che per vocazione.  Solo dai primi del ‘900 crescono i patentati che aspirano a diventare meccanici chaffeur finché dal 1915 il concorso di caposquadra pompieri prevede la licenza di quinta elementare. Via, via dunque le cose cambiano e da pompieri per caso e per miseria diventano personale addestrato, motivato  e dotato di crescente consapevolezza di ruolo. Eterno modello di Cremona è quello della vicina Milano  coi suoi operatori “splendidamente disciplinati, addestrati e militarizzati”. 

La storia del Corpo dei Vigili del Fuoco diventa dunque punto di osservazione da cui seguire le più generali dinamiche di una Cremona via via più coinvolta nei grandi processi della modernizzazione.  E mutano, nella percezione dell’opinione pubblica locale,  ruolo e rilievo dei Vigili del Fuoco, inizialmente “poveri paria” tutto fare, come loro stessi si definivano, addetti alle più svariate mansioni: dalla pubblica illuminazione alla sorveglianza e innaffiatura dei pubblici giardini.  A metà Ottocento in materia di difesa civile dominava ancora la più totale disorganizzazione e in molti casi nel pieno di devastanti tragedie  buontemponi e incoscienti  “si godevano lo spettacolo mentre il fuoco si faceva grande”.  Ma in seguito si modifica la preparazione teorica e pratica del Corpo e cresce la dotazione di attrezzature cui una sezione del libro riserva ampia documentazione fotografica, dalle prime pompe idrauliche trainate da cavalli sul modello francese all’alta tecnologia dei giorni nostri. 

Da poveri paria che erano, diventano ammirati e coraggiosi eroi popolari.  E l’eroismo è in effetti il costante filo rosso di questa storia. Fu il caso di Giuseppe Scandolara, pompiere avventizio che nel luglio del 1913 si tuffò nel Po per salvare un amico che stava annegando e perse la vita tradito dai profondi e infidi gorghi del fiume. L’anno successivo l’artista Aldo Balestreri gli dedicò il monumento, recentemente restaurato, che tuttora si ammira nel cimitero cittadino.

Nel giugno del 1914 fu inaugurata la bandiera del Civico Corpo dei pompieri di Cremona. Ma la data di gran lunga più significativa è il 1939, quando, alla vigilia della seconda guerra mondiale, l’originario Corpo comunale diventa il 27° Corpo provinciale dei Vigili del fuoco di Cremona. Venti di guerra soffiano già impetuosi in Europa e anche Cremona come altre città sceglie la via del rinnovamento, dell’incremento di uomini, mezzi, attrezzature e professionalità per fronteggiare le prevedibili e imminenti tragedie. Qui come nel resto d’Europa nasce il moderno concetto di civil defence.

Durante la seconda guerra mondiale Cremona subì 23 bombardamenti. Micidiale – 119 morti e innumerevoli feriti –  fu quello del luglio ’44, quando spezzoni di rotaie dalla stazione ferroviaria volarono sui tetti delle case di porta Milano investita in pieno con viale Trento e Trieste, via Dante, il cimitero e la fabbrica Cavalli  e Poli. E si replicò nel gennaio 1945: belle e impressionanti le fotografie dei devastati interni della ditta Cavalli e Poli con l’orologio fermo all’ora del bombardamento. Sei anni dopo queste durissime prove, a infierire fu la natura e il Corpo dei pompieri  si trovò a fronteggiare  la catastrofica alluvione del Polesine del novembre ‘51. Nella notte fra Il 10 e l’11 novembre il Po registrava l’aumento di due metri del volume delle acque. E il quotidiano ‘La Provincia’ commentava: “I vigili del fuoco in questi giorni han fatto prodigi. Si sono addirittura moltiplicati…con quell’abnegazione che è loro propria. Le chiamate che sono affluite ieri alla caserma di porta Venezia sono state innumerevoli. Le uscite dei mezzi di soccorso non si contano”.   

Questa storia, fatta non di parole e di retorica autocelebrativa, ma di concreta testimonianza di servizio alla comunità  non si è mai fermata e oggi più che mai ci accompagna e protegge. Dagli interventi più circoscritti alle più disastrose catastrofi naturali e belliche, il Corpo è in prima linea nel soccorso e nella prevenzione in un raggio che va ormai ben oltre i tradizionali confini territoriali.  Auguro dunque a questo libro meritata fortuna e  soprattutto larga circolazione fra la popolazione scolastica, sempre più estranea a quella storia locale in cui affondano le radici della nostra identità e le ragioni civiche e morali di un’appartenenza alla comunità cremonese responsabilmente condivisa.  

 

Ada Ferrari

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