Se hai un nemico fallo sindaco. Una sintesi perfetta, conferma della saggezza dei proverbi.
Il sindaco è tutto e il contrario di tutto. È yin e yang, zenit e nadir. È inferno e paradiso, nord e sud. È ambizioso, egotista, martire, frustrato, incosciente, idealista. Spesso autolesionista. È don Chisciotte e Sancho Panza. È Darth Fener e Luke Skywalker. Ma senza sindaci sarebbe il caos e la democrazia ne patirebbe.
Non esistono sindaci fenomeni. Tutti travet, siano essi ballerini di fila dei piccoli comuni, étoile della metropoli e vorrei ma non posso delle realtà medio-grandi. E anche i pochi montati a neve, come un albume d’uovo, sono dei capo ufficio che giocano ai grandi manager. Ubiquitari, i Chuck Norris allignano in ogni provincia, anche nella nostra, ma sarebbe ingiusto lapidarli senza concedere loro le attenuanti legate alla società attuale e ai moderni metodi di selezione dei candidati al ruolo. Criteri che puntano quasi esclusivamente alla vittoria e non al governo. Un protocollo che prevede prima l’occupazione della sedia, poi le azioni per mantenerla e stabilizzare il consenso. Operazioni non necessariamente finalizzate al bene comune, che da obiettivo prioritario è declassato ad argomento per dibattiti e interviste. Prevalgono l’aspetto, la forma, l’esteriorità, la visibilità, il lignaggio. Comunicazione, marketing e pubbliche relazioni dettano i tempi e decidono le musiche per il ballo. Sostanza e background personale non guastano, ma non sono determinanti. L’apparenza, le lobby impongono le scelte. La politica, nel suo significato più nobile, non è dirimente.
Al mercato dell’immagine lo sconosciuto rampollo della famiglia bene, con una spruzzata di aristocrazia cittadina nel sangue e zero in politica, vale infinitamente di più di un noto militante con un bagaglio amministrativo di prim’ordine, ma poco fotogenico e meno manovrabile. Un tizio ha definito i sindaci coloro ai quali prima viene conferita la laurea e poi affrontano gli esami. Geniale. Resta il problema dell’impossibilità di ritirare la laurea in caso di esami disastrosi.
I sindaci sono tutti sulla stessa barca a navigare in acque infide, infestate da leggi, leggine, decreti, circolari. Tutti in trincea a guerreggiare con la burocrazia, leviatano che succhia sangue, energie, distrugge illusioni e mina la fiducia nel cambiamento. Tutti tendenzialmente autarchici, ma impossibilitati ad esserlo. Tutti legati al proprio orticello, ma consapevoli che – al pari degli uomini – oggi più di ieri, nessun comune è un’isola e anche Thomas Merton sarebbe d’accordo. Tutti ad arrabattarsi per costruire ponti che uniscano per poi accorgersi che quelli costruiti hanno diviso. L’Area omogenea cremasca, genitrice di grandi aspettative e nelle intenzioni foriera di cambiamenti epocali, si è rivelata poco più di un ectoplasma. Non migliore la situazione della provincia: divisa in tre è alla ricerca di un collante che la tenga insieme, impresa più ardua che trovare il sacro Graal
I sindaci sono tutti nel medesimo coro a rivendicare pari dignità nei rapporti aggreganti per poi scoprire che è una bella favola, con i pesi leggeri trattati da gregari e i pesi massimi a spadroneggiare. Con i primi costretti a subire e i secondi a imporre la propria leadership indipendentemente dalle capacità per svolgere la funzione con equilibrio ed equità.
La misura della stazza non è l’unico e nemmeno il più importante parametro per esercitare il comando. Grande, grosso e ciula vale anche per i comuni e per i sindaci. Non è un principio assoluto, anzi è molto relativo, ma considerarlo nelle valutazioni può evitare errori.
Il sindaco è primo cittadino e ultima ruota del carro. È il terminale delle decisioni di Roma, Milano e Cremona. Nella nostra provincia, anche di quella di Mantova.
I sindaci assomigliano ai carabinieri usi ad ubbidir tacendo. Alle assemblee che li vede protagonisti quasi sempre alzano la mano senza fiatare, oppure intervengono timorosi e con voce flebile. Al termine tornano nel loro feudo, felici per avere compiuto il proprio dovere. Inconsapevoli di avere ceduto le aziende di famiglia al forestiero di turno. Incuranti di avere votato un consiglio di amministrazione imposto da accordi tra partiti. Indifferenti per una continuità che vede presidenti e amministratori delegati al loro posto da anni, immutabili e inossidabili. Gratificati per una pacca sulla spalla e una promessa di aiuto che il beneficiario del voto scorderà un minuto dopo il ciao e l’arrivederci.
Nel proprio comune il sindaco è responsabile del mondo intero anche dello stormir delle fronde, ma spesso non dispone dei mezzi per svolgere il compito. È fuscello nella tempesta. È pallina di flipper. È punching ball.
Neppure il tempo di brindare per la vittoria alle elezioni che arriva in ufficio il direttore generale della multinazionale per comunicare la chiusura dello stabilimento con 80 dipendenti, volano per l’economia del comune. Sic transit gloria mundi. Cascano le braccia, crolla un castello.
Neppure il tempo di gioire per un finanziamento concesso dalla Regione che al bar il giustiziere della notte lancia l’accusa infame. «Il comune non fa un cazzo per sanzionare quelli che non raccolgono gli stronzi del proprio cane». Inutile spiegargli che probabilmente lo stronzo è lui, che è difficile cogliere in flagrante gli autori del reato, che la buona educazione e il senso civico non si possono imporre.
Neppure il tempo di rilassarsi per un’estenuante maratona con il segretario comunale per superare gli infiniti ostacoli della selva legislativa e approvare un intervento dei servizi sociali che, cinque minuti dopo questo risultato, un amico sorridente avverte: «Sai… la gente si lamenta perché non fate un cazzo per aiutare gli sfigati».
Non fare un cazzo è la maledizione dei sindaci, il marchio che li accompagna. Se fanno qualcosa, avrebbero potuto fare di più. Comunque avrebbero potuto farlo meglio. Se il meglio lo hanno raggiunto, l’avrebbero potuto ottenere in tempi più rapidi. Se… fanculo.
Il sindaco è un ostaggio. E non c’è riscatto che possa liberarlo dal giogo. Non c’è stipendio che compensi i sacrifici e le responsabilità che gli competono. E non vero che è da augurare ad un nemico. Meglio consigliarlo ad un amico. Sarebbe un attestato di stima.
Il sindaco è una missione. È il granello di sabbia che insieme ai suoi colleghi può cambiare la nostra provincia. Servono coraggio e determinazione. Perché non provarci? Hic sunt leones. Lo sappiano Milano, Roma e Mantova. Se così sarà, il vessillo di Cremona ritornerà a garrire alto e rispettato nel cielo della Lombardia.
Antonio Grassi