Dal primo volo solista, con poco più di 3 ore a doppio comando, al tentato golpe dell’agosto 1991 contro Michail Gorbaciov, a Mosca, passando per l’incidente del Sukhoi Su-27 nel 1990 sull’aviosuperficie di Salgareda (Treviso), in cui perse la vita il pilota lituano Rimantas Stankevicius, già collaudatore del Buran, lo Space Shuttle russo. Il giornalista aeronautico Fabrizio S. Bovi ha incantato, con i suoi racconti, la platea di ospiti del 133° Club Frecce Tricolori di Cremona, invitato dal presidente, Aurelio Lamonica, nei locali del ristorante Al Volo dell’aeroporto del Migliaro.
Capo ufficio stampa di Agusta Elicotteri e, soprattutto, giornalista della storica rivista Volare dell’Editoriale Domus, un autentico caposaldo per ogni amante dell’aviazione, Bovi ha trascorso la sua intera vita letteralmente “appeso” a un paio d’ali. Nel suo incontro a Cremona, ha condiviso con le numerose persone intervenute, alcune delle emozioni provate nella sua lunga e ricca carriera professionale.
“Come quella volta che volai sull’F-104 – ha ricordato – o sul G-91 delle Frecce Tricolori. Decollammo da Rivolto, ai comandi c’era Beppe Liva e, dopo un giro in zona, passammo in volo con l’aereo ‘a coltello’, a quasi 500 nodi, tra le cime di Lavaredo, sulle Dolomiti”.
Per anni, Bovi è stato responsabile del servizio Prove di Volare e, a Cremona, ha ricordato alcune imprese effettuate con il comandante Jack Zanazzo, ex pilota sperimentatore e solista della Pattuglia Acrobatica Nazionale.
“Ricordo i voli con i primi, rudimentali, ultraleggeri. Alcuni erano fatti addirittura con i tubi per innaffiare… altri tempi – ha spiegato – e poi i voli in montagna, con il Pa-18. Un modo di volare completamente nuovo e anti-istintivo. Si atterra in salita, risalendo letteralmente i pendii innevati con dentro tutto motore finché non senti il carrello sfiorare la neve e poi si va su, senza poter frenare”.
Tra gli aneddoti raccontati dal giornalista, quello del suo casuale incontro, su un aereo di linea, proprio al ritorno dalla Russia, con un progettista aeronautico della Yakovlev che voleva presentare un nuovo addestratore a potenziali clienti occidentali.
“Quei disegni, ancora eseguiti con la tecnica cianografica, mi erano sembrati interessanti – ha spiegato –. Chiamai, senza troppe speranze, per la verità, la segretaria del mio ex capo in Agusta. Temevo che mi mandasse a quel paese, invece ci invitò in ufficio per il giorno dopo. Oggi, quell’aereo si chiama M-346 e rappresenta l’asse portante delle scuole d’addestramento dell’Aeronautica Militare, sul quale vengono formati i piloti militari destinati a volare sui caccia di 5ª e 6ª generazione italiani e di tanti altri Paesi. Grazie a quell’incontro, del tutto fortuito, l’Alenia-Aermacchi, oggi confluita in Leonardo e la Yakovlev salvarono migliaia di posti di lavoro”.
A fine serata, tra gli applausi, il giornalista ha regalato al Club Frecce Tricolori di Cremona un disegno a china di un aereo da lui stesso realizzato negli anni Settanta, congedandosi con un messaggio, dedicato in particolare ai giovani. “Ricordatevi che il volo non è solo mettersi ai comandi e portare per aria un aeroplano ma è uno stile di vita – ha detto – è senso di responsabilità, umiltà, condivisione, voglia di imparare, sempre… è così che io l’ho sempre interpretato e, dopo oltre 50 anni di carriera, non sono ancora stanco di staccare l’ombra da terra”.
Una risposta
Eccezionale, ho un magnifico ricordo di Fabrizio che ha tutta la mia stima. Concordo con la sua definizione di volo.
Complimenti