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Le evoluzioni della criminalità informatica. In agguato c’è un raffinatissimo sistema che proviene dal Sudest asiatico. Sbarcato anche in Europa

L’anno scorso sono stato vittima di una truffa telefonica fortunatamente non andata a buon fine. Avevo appena chiamato mio figlio che vive all’estero ma il suo cellulare non rispondeva. Qualche minuto dopo – fatto in realtà del tutto casuale – ricevo il classico “Papà, ho perso il telefono e ti chiamo dal numero di un amico. Ho avuto un guaio e mi servono soldi”. Normalmente avrei fatto una verifica ma, visto che lo avevo appena chiamato senza ricevere risposta, ci sono cascato. Sono dunque andato in una tabaccheria di Trieste, dove mi trovavo, per trasferirgli del denaro ma nel Paese delle tre I di berlusconiana memoria (internet, inglese, impresa) il web è pieno di buchi e il trasferimento non sono riuscito a farlo. Fortuna sfacciata, perché qualche ora dopo mio figlio mi ha chiamato e la truffa si è così svelata.

Nel tornare a Crema però tengo il mio truffatore attaccato via whatsapp dicendogli che ora proverò di nuovo, una volta a casa. E qui è lui che ci casca così che posso andare alla polizia a denunciarlo e, chissà mai, a scovarlo. Ma il giorno dopo, quando vado al commissariato, il truffatore è sparito:  ho comunque i suoi messaggi, il numero di telefono e insomma tutta la trafila.

Davanti a me c’è un altro truffato anche lui graziato dal Paese delle tre I, così che a entrambi il piantone consiglia di andare a casa senza sporgere denuncia. E’ inutile, dice, se la truffa non è andata a buon fine. Insomma ha da fare. Vado via chiedendomi come faranno la polizia italiana, i carabinieri, la guardia di finanza a sapere quanto è grande il business delle truffe se ignorano le denunce di tentata truffa. La statistica – è stato il mio primo esame di università –  è la prima risorsa per capire cosa fare. 

Se mi avete seguito sin qui, forse state facendo spallucce anche se mediamente ognuno di noi riceve messaggi quotidiani che offrono lavori ben pagati o semplicemente un abbordaggio denso di promesse: amore, investimenti sicuri, soldi facili senza fatica.

Questo genere di truffe è comune. Provengono dall’Africa o dai Balcani e sono spesso facili da dribblare, ma in agguato c’è altro: le raffinatissime truffe che vengono dalle Scam City (città della truffa) del Sudest asiatico. Sono tre anni che seguo questo fenomeno di cui ho  riassunto il  sistema, col collega Massimo Morello, in un libro uscito in giugno: “Asia criminale. I nuovi triangoli d’oro tra scam city, armi, droga, pietre preziose ed esseri umani”. Qui non siamo più a “Papà ho perso il telefono” e a una truffa che se va bene porta a casa 500 euro o anche meno. Qui siamo a un sistema raffinato e tecnologico che funziona così. Ti arriva un messaggio (soprattutto su Telegram) dove un’avvenente cinesina (o cinesino a seconda della vittima) posta la sua foto sexy in bella mostra e finge di aver sbagliato numero. Poi, se rispondi, comincia giorno dopo giorno a cucire la storia di una giovane benestante di Singapore che è in Italia a studiare design, moda, arredamento. Quando la relazione si sviluppa e,  dopo una normale conversazione, si passa a piccoli segnali sempre più affettuosi (buon risveglio amico mio, buonanotte caro, buona giornata tesoro…) si arriva al dunque: investire una piccola cifra in criptovalute su un conto virtuale condiviso. Investi 10 euro e ne guadagno 20. Provi con 20 e sul conto ne arrivano 40. Diamine, il giochino funziona e lei ci sa proprio fare! La fiducia guadagnata si trasforma in rischio su risparmi, pensione, stipendio. E quando si tenta il colpo grosso ecco che il conto sparisce e così l’account delle bella cinesina che, grazie all’intelligenza artificiale, ti parlava in italiano e  ti mandava messaggi video costruiti con arte e competenza. C’è chi ha perso i risparmi di una vita. In un giro d’affari che l’Interpol ha stimato in 3mila miliardi di dollari l’anno.

Le Scam City sono intere città, piccoli agglomerati urbani o semplici edifici, che “ospitano” masse di cybertruffatori, spesso assoldati contro la loro volontà con réclame sui social dove ti promettono un lavoro informatico ben retribuito. Adescati con l’inganno, i giovani informatici vengono fatti passare clandestinamente dalle frontiere porose che circondano la Thailandia, di solito la base di partenza dove sei stato convocato: poi si va in Myanmar, Cambogia, Laos dove, grazie alla guerra, a complicità locali e corruzione, sorgono gli “scam compound”, edifici sigillati con sbarre alle finestre e mura col filo spinato guardate a vista. E’ da qui che una forza lavoro stimata in circa 300mila cyber schiavi passa ore al telefono. Hanno cominciato a frodare i cinesi, poi son passati agli americani, poi agli europei.

La tecnica è raffinata e l’obiettivo è a grandi numeri. Funziona e bisogna stare attenti a una truffa “evoluta” e sempre più abile nel raggiro. Potete fare spallucce, ma state in guardia: se vi arriva sul telefono una cinesina/o usate il tasto “delete account”. Poi segnalate alla polizia chiedendo che almeno prenda nota.

Limitarsi a ignorare le Scam Citry non ci salverà dalla loro evoluzione.

 

Emanuele Giordana

Il libro. Reportage nelle tenebre del Sudest asiatico

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