L’auto e la filosofia

8 Settembre 2022

L’automobile, a volte, costituisce il perno su cui ruotano episodi che restano scolpiti per sempre nella memoria. Un professore di filosofia del Liceo Classico “Daniele Manin” di Cremona, uno dei rari insegnanti noto a generazioni di studenti, che tentava di far capire le teorie filosofiche attraverso esempi concreti, al termine della lezione rivolgeva alla classe domande apparentemente estranee al rigore che impone una disciplina come la filosofia. Gli alunni si ingegnavano nel rispondere in quanto si illudevano che i quesiti non facessero parte del programma che si doveva aver studiato, ma fossero un espediente per far arrivare la fine dell’ora.

“Secondo voi – disse una volta camminando tra i banchi – Socrate, oggi, che macchina avrebbe acquistato?”. Le risposte indicarono le marche e i modelli più disparati, ma tutti i tipi di auto scelti dagli studenti della prima A vennero bocciati dal professore, il quale pose fine al baccano che si era generato tornando sulla cattedra e aprendo il registro, non di classe ma delle interrogazioni. Estratta la penna stilografica dal taschino, mise un 4 di fianco a ognuno dei nominativi dell’elenco, “Se foste preparati, dovreste sapere che il motore della conoscenza della realtà per Socrate era il dubbio – spiegò con la calma che lo distingueva – e quindi Socrate non avrebbe mai acquistato alcuna macchina perché ogni scelta gli avrebbe procurato dei continui dubbi sulla validità del modello, impedendogli alla fine di prendere una decisione”, aggiunse con la sua voce baritonale.

L’applicazione pratica della filosofia, che era alla base del suo metodo d’insegnamento, richiedeva continue prove. Qualche tempo dopo, in terza A, ricorse a una nuova verifica dell’efficacia del suo ostinato collegamento tra teoria e pratica. Interrogando un maturando, chiese a bruciapelo: “Secondo te perché Kant non sarebbe mai passato con il semaforo rosso?”. Il viso del giovane studente si illuminò per la semplicità implicita nella risposta: “Per non essere investito” rispose con sicurezza il ragazzo. L’insegnante lo guardò negli occhi  con un’espressione che non prometteva niente di buono. “Vai a posto, ti metto 4”. L’incredulità s’impossessò dell’intera scolaresca, non solo del malcapitato. “Kant non sarebbe passato con il rosso perché voleva che tutti rispettassero le norme della civile convivenza, anche se l’incrocio fosse stato deserto – spiegò e aggiunse – rileggetevi la Critica della Ragion Pratica”. Deluso, il professore non si arrese e continuò a credere nell’efficacia del suo metodo, con cui cercava di gettare un legame tra scuola e vita, tra teoria e realtà, anche se i risultati erano deludenti.

Era l’ultimo giorno di scuola e si avvicinava l’inizio degli esami. Durante la lezione finale, senza ormai più lo spauracchio del voto, l’atmosfera in classe era quella di un divertente passatempo. Allora, il professore, anch’egli vittima della rilassatezza generale, mettendo in disparte la sua materia, chiese quale sarebbe stato il mezzo di trasporto moderno preferito da Dante Alighieri. Nel silenzio si alzò uno studente dei meno bravi, piccolo di statura, timido e introverso. Rispose: “L’elicottero!”. Tra le risate dei compagni, il volto dell’insegnante ebbe quasi un’espressione di gratitudine. “Bravo!” gli disse e ricordò che nel Canto XVII dell’Inferno, Dante è il diretto protagonista di un volo, esperienza che non poteva avere precedenti nella realtà, sulla groppa di Gerione, orrendo mostro, che volava per mezzo di ali che gli permettevano di nuotare lentamente nell’aria e che, nello scendere, come riferisce il Poeta, compiva larghi giri all’interno delle pareti del burrone, proprio come fa un elicottero. Una volta posatosi a terra, lasciava scendere i passeggeri e volava via con la rapidità di una freccia.

Il metodo del professore di filosofia aveva funzionato, non importa se in un’altra materia e all’ultimo giorno di scuola.

 

Sperangelo Bandera

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