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GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI

Tutti insieme appassionatamente per candidare Cremona a capitale della cultura italiana 2028. Che dire? Che il patriottismo è d’obbligo, come quando da bambini ci infliggevano la famosa domanda “Vuoi bene alla mamma?”. Nessun dubbio peraltro che la città, che dopo i passati incidenti di percorso correrà da sola, disponga dei quarti di nobiltà necessari all’ambizioso traguardo. Un prestigioso passato ha sparso arte e bellezza a piene mani. Capitale mondiale della liuteria, Cremona vanta stagioni musicali di sperimentato impatto e poli universitari in grado di attivare quel dialogo fra saperi umanistici e tecnico scientifici di cui il nostro tempo ha disperato bisogno. Specie per impedire alla tecnologia di ergersi a pericoloso luogo totale di presunto progresso. Notevole carta strategica, questa, di cui sfruttare al meglio le molteplici potenzialità.

E, passando dal sacro al profano, o viceversa, che dire di una millenaria e sapiente civiltà del cibo, forte di eccellenze che il mondo ci invidia e invano si studia di imitare? Ma qui mi fermo. Guai se si cede alla spirale autocelebrativa. Un’ occasione di promozione del territorio potrebbe convertirsi nell’ ennesimo pretesto per eludere e rimuovere le sue pur evidenti criticità. Guarda caso, le parole promozione e rimozione sono pericolosamente simili. Tanto più che l’ obbiettivo, che ha già mandato in spasmodica fibrillazione Palazzo e dintorni, mobilita un bel po’ di quattrini vincolati a progetti ovviamente difendibili ma, per dirla tutta, tutt’ altro che prioritari a fronte di ben altre urgenze.
Visto che di cultura si tratta, perché dunque non partire dalla prima domanda che la circostanza idealmente pone non solo ai diretti registi dell’operazione ma a chiunque sia titolare di cittadinanza cremonese. Cos’ è cultura? Troppo spesso amiamo riempirci bocca e orecchie di questa parola dal magico suono elegante e rotondo. Parola che, per quanto versatile e spesso fantasiosamente declinata, è e resta innegabilmente imparentata al concetto di civiltà: intreccio di fattori materiali e immateriali che vanno ben oltre la semplice dimensione estetica e museale di una città d’arte. Una città d’arte si visita. Una civiltà urbana si vive, di giorno in giorno partecipando alla sua costruzione e nei casi peggiori alla sua violazione. E’ dunque un cantiere permanente in cui a chi governa tocca l’ardua sfida di far volgere al meglio le cose sia per il territorio che per il suo ‘capitale umano’.
Senonché, vista così, la faccenda si complica e parecchi nodi irrisolti vengono impietosamente al pettine. Basta coniugare la parola cultura alla parola ambiente ed ecco che il Vaso di Pandora scoperchiato mette in severo imbarazzo classi dirigenti che per decenni hanno eluso, minimizzato, insabbiato un disastro ambientale di impressionanti conseguenze per la vita e la salute di generazioni di cremonesi. Ammettiamolo: più che per i suoi violini Cremona sale spesso all’onore della cronaca per il suo inquinamento. Mai che al riguardo si sia levata dai vari responsabili istituzionali e individuali del disastro un’ammissione di responsabilità.E dunque di quale ‘cultura’ istituzionale stiamo parlando? Se cultura è sapere, fingere di non sapere merita tutt’altra classificazione.
Cattivi custodi di terra, aria e acqua, accade spesso che siamo anche maldestri custodi del prezioso bene che è la fisionomia storica di Cremona. Alludo a quel valore inconfondibile che rende unica l’ atmosfera del centro storico di ogni città. Al riguardo ci si imbatte in brutture che nessun diritto a modernizzare e rivisitare il patrimonio monumentale può giustificare. Parlerei casomai di impunita e violenta prevaricazione estetica del presente sul passato. Custodi spesso infedeli, dunque, e per giunta parecchio distratti. Tanto distratti da non accorgerci che la tranquilla e bonaria Cremona a lungo coltivata e idealizzata nell’immaginario collettivo sta diventando tutt’altro. Come se ogni precedente ‘patto di convivenza’ in grado di garantire la vivibilità e il decoro di un’antica civiltà urbana si fosse spezzato aprendo la strada al ‘tutti contro tutti ‘.
È in atto un evidente imbarbarimento delle relazioni interpersonali di cui il deprecato bullismo delle baby gang è solo l’aspetto più clamoroso e muscolare. Sotto la punta dell’iceberg si estende l’inesplorato universo di quel disagio giovanile che in campagna elettorale (guarda caso) figurava fra le priorità su cui investire impegno, mezzi e sforzo di adeguata indagine conoscitiva. Dopo di che la montagna ha partorito il topolino e siamo ai soliti contentini di miope paternalismo: qualche nuovo spazio per il ‘sociale’ e per fare musica. Tant’è che fra i programmi collegati a Cremona capitale figura la trasformazione del settore 1 della Fiera in padiglione per musica e giovani.
Lo so, è più facile criticare che governare. Ma a fronte di un problema di natura ormai ‘antropologica’ come l’avanzare in punta di Social di uno sconosciuto materiale umano di cui urge intercettare testa e pensieri, l’idea di cavarsela concedendogli un po’ di metri quadri in cui mandarlo a giocare, francamente appare di demoralizzante minimalismo. Se siamo in corsa come capitale della cultura perché non puntare proprio su quella sua componente di evidenza universalmente accessibile che è la bellezza e tentare di farne strumento di seduzione e coinvolgimento dei ‘diversi’ e dei ‘lontani’?
Si dice che sarà la bellezza a salvare il mondo. E grazie a Dio di bellezza Cremona non difetta. Proviamo a crederci e a investire la posta più alta là dove più alto è il potenziale di rischio sociale ma più alta sarebbe anche la portata morale dello sforzo rieducativo e redimente da mettere in campo. Il sindaco Andrea Virgilio, accogliendo a suo tempo la proposta del centro destra relativa alla candidatura cremonese, ha indicato in “coerenza, continuità e visione” gli ingredienti necessari al buon esito dell’ impresa. Proposito saggio ma, politicamente parlando, temerario autogol. Se le virtù declinate al futuro fossero state adeguatamente praticate al passato il fardello dei problemi locali sarebbe certo meno pesante.
Come concludere? Che, orgogliosa di una Cremona candidata a capitale della cultura, ancora più orgogliosa sarei di una Cremona tanto originale e ‘spiazzante’ da candidarsi a capitale di “ravvedimento operoso”.
Ada Ferrari

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